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«Quei paramenti appartenevano a papa Pio XII» disse il pontefice. «Li indossò qui nel 1939, dopo l’elezione. Li abbiamo fatti togliere dal museo Vaticano e sistemare qui. Di tanto in tanto veniamo a guardarli.»

«Papa Pio XII» ripeté, pensieroso, il cardinale Lourdusamy. Cercò di ricordare se nel pontificato di quel papa defunto da secoli ci fosse qualcosa di particolarmente significativo. Riuscì solo a pensare alla statua di Pio XII, scolpita circa due millenni prima, nel 1964, da Francesco Messina e ora relegata in un corridoio nei sotterranei del Vaticano. Pio XII era stato rappresentato da Messina a tratti appena sbozzati, occhiali tondi vuoti come le orbite di un teschio, braccio destro alzato nel gesto (dita ossute allargate) di tenere a bada il male del suo tempo.

«Un papa guerriero?» azzardò Lourdusamy.

Papa Urbano XVI scosse la testa. Aveva l’aria stanca e un livido sulla fronte, il segno lasciato dalla pesante mitra dai fregi dorati, tenuta in testa per tutta la lunga cerimonia dell’investitura. «Non è di nostro interesse il suo pontificato durante la guerra mondiale della Vecchia Terra» spiegò «ma i complessi rapporti che fu costretto a stabilire con il cuore stesso delle tenebre per preservare la Chiesa e il Vaticano.»

Lourdusamy annuì lentamente. «Nazisti e fascisti» mormorò. «Ma certo.» Il paragone con il Nucleo non era senza merito.

I domestici del pontefice avevano preparato il tè sull’unico tavolo e ora il segretario di Stato servì di persona Sua Santità e versò l’infuso in una fragile tazza di porcellana. Papa Urbano XVI lo ringraziò con uno stanco cenno e sorseggiò la fumante bevanda. Lourdusamy tornò al suo posto al centro della stanza, accanto agli antichi paramenti appesi, e guardò con occhio critico il pontefice. "Il suo cuore fa di nuovo i capricci" pensò. "Dovremo affrontare presto un’altra risurrezione e un nuovo conclave?"

«Hai notato chi è stato scelto come rappresentante dei cavalieri?» domandò il papa, con voce ora più forte. Alzò gli occhi, intensi, tristi.

Preso alla sprovvista, Lourdusamy rifletté un secondo. «Oh, sì» disse infine. «L’ex PFE della Pax Mercatoria. Isozaki. Sarà il cavaliere a capo della crociata Cassiopea 4614.»

«Facendo così ammenda» sorrise Sua Santità.

Lourdusamy si strofinò le guance. «Potrebbe rivelarsi una penitenza più severa di quanto non si aspettasse il signor Isozaki, Santità.»

Il papa alzò gli occhi. «Sono previste gravi perdite?»

«Circa il quaranta per cento di morti» borbottò Lourdusamy. «Metà dei quali irrecuperabili con la risurrezione. In quel settore gli scontri sono stati molto, molto pesanti.»

«E dalle altre parti?»

Lourdusamy sospirò. «La sommossa si è estesa a circa sessanta pianeti della Pax, Santità. Circa tre milioni di persone hanno subito il contagio e hanno rigettato il crucimorfo. Ci sono scontri, ma niente di cui le autorità della Pax non possano occuparsi. Vettore Rinascimento è il caso peggiore, circa ottocentomila infetti. E il contagio si diffonde molto rapidamente.»

Il papa annuì e sorseggiò il tè. «Comunicaci qualcosa di positivo, Simon Augustino.»

«La navetta automatica è traslata dal sistema di T’ien Shan proprio prima della cerimonia» disse il cardinale Lourdusamy. «Abbiamo decrittato immediatamente l’olomessaggio del cardinale Mustafa.»

Il papa tenne la tazzina a qualche centimetro dal piattino, senza portarsela alle labbra, e attese.

«Hanno incontrato la Figlia del Demonio» disse Lourdusamy. «Nel palazzo del Dalai Lama.»

«E…» lo incitò il papa.

«Non c’è stato alcun intervento, per la presenza del demone Shrike» disse Lourdusamy, con un’occhiata agli appunti nel comlog da polso. «Ma l’identificazione è sicura. La bambina di nome Aenea — ora naturalmente è sulla ventina standard — la sua guardia del corpo, Raul Endymion, che abbiamo arrestato e perduto su Mare Infinitum più di nove anni fa, e gli altri.»

Il papa si toccò le labbra, sottili come le dita. «E lo Shrike?»

«È comparso solo quando la bambina è stata minacciata dagli… ufficiali… della Guardia nobile di Albedo» rispose Lourdusamy. «Poi è scomparso. Non c’è stato scontro.»

«Ma il cardinale Mustafa non è riuscito a cogliere l’attimo.»

Lourdusamy annuì.

«E pensi ancora che Mustafa sia la persona giusta per questo compito?» mormorò papa Urbano XVI.

«Sì, Santità. Tutto procede secondo il piano. Ci auguravamo di stabilire un contatto prima dell’arresto vero e proprio.»

«E la Raffaele?» domandò il papa.

«Ancora nessun segno. Però Mustafa e l’ammiraglio Wu sono sicuri che de Soya comparirà nel sistema di T’ien Shan prima del tempo concesso per andare a prendere la ragazza.»

«Senza dubbio preghiamo che sia questo il caso» disse il pontefice. «Sai, Simon Augustino, quanto danno ha fatto alla nostra crociata quella nave fuorilegge?»

Lourdusamy sapeva che la domanda era retorica. Da cinque anni lui e il Santo Padre e i tremebondi ammiragli della Flotta della Pax studiavano attentamente rapporti di combattimenti, elenchi di vittime, perdite di naviglio. La Raffaele, col suo capitano voltagabbana de Soya, era stata quasi catturata o distrutta una ventina di volte, ma era sempre riuscita a fuggire nello spazio degli Ouster, lasciandosi alle spalle convogli dispersi, scafi ridotti a carcasse e navi da guerra distrutte. La mancata cattura di una singola Arcangelo fuorilegge era diventata la vergogna della Flotta e il segreto meglio custodito in tutta la Pax.

Ma ora stava per terminare.

«Elementi di Albedo calcolano pari al novantaquattro per cento la probabilità che de Soya abbocchi alla nostra esca» disse il cardinale Lourdusamy.

«Quanto tempo è trascorso da quando la Flotta e il Sant’Uffizio hanno fatto filtrare l’informazione?» disse il papa. Terminò di bere il tè e posò con cura sulla sponda del divano il piattino e la tazza.

«Cinque settimane standard» rispose Lourdusamy. «L’ammiraglio Wu ha fatto in modo che l’informazione si trovasse, in codice, nella IA di bordo di una delle navi torcia di scorta che la Raffaele ha assalito ai margini del sistema di Ofiuco. Ma in un codice non tanto impenetrabile da costituire un ostacolo per i sistemi di bordo della Raffaele, migliorati dagli Ouster.»

«De Soya e i suoi compari non fiuteranno la trappola?» rifletté l’uomo che un tempo era stato padre Lenar Hoyt.

«Poco probabile, Santità. Abbiamo già usato lo stesso schema di codice per fornire a de Soya informazioni attendibili e…»

Il papa alzò di scatto la testa. «Cardinale Lourdusamy» disse, brusco «vuoi farci capire di avere sacrificato navi della Pax e vite innocenti, vite cui è negata la risurrezione, solo per garantirti che i fuorilegge ritengano attendibile anche questa informazione?»

«Sì, Santità.»

Il papa sospirò e annuì. «Deplorevole, ma comprensibile, data la posta in palio.»

«Inoltre» proseguì il cardinale «alcuni ufficiali dell’equipaggio della nave predisposta per cadere nelle mani della Raffaele sono stati… condizionati… dal Sant’Uffizio in modo che avessero anche loro l’informazione sui tempi del nostro piano di attacco contro la ragazza Aenea e il pianeta T’ien Shan.»

«Tutto preparato con mesi d’anticipo?»

«Sì, Santità. Un vantaggio fornitoci dal consigliere Albedo e dal Nucleo, che alcuni mesi fa ha rilevato l’attivazione del teleporter su T’ien Shan.»

Il pontefice si posò le mani sulle ginocchia coperte dalla tonaca. Aveva dita bluastre. «E quella via di fuga è stata negata alla Figlia del Diavolo?»

«Assolutamente» confermò il cardinale. «La Jibril ha scorificato l’intera montagna intorno all’arcata del teleporter. Il teleporter in sé è indistruttibile, Santità, ma al momento è sepolto sotto venti metri di roccia.»

«E il Nucleo è certo che quello sia l’unico teleporter su T’ien Shan?»

«Certissimo, Santità.»

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