Le balene sono soltanto la parte del problema che ci è concesso vedere.
Osservò lo spazio circostante con maggiore attenzione e, un po' in disparte, vide diversi fuoristrada parcheggiati davanti a una delle baracche. Le finestre erano illuminate. Rimase immobile. Erano veicoli militari. Che ci facevano lì i militari? Improvvisamente si rese conto che si trovava nel mezzo di uno spiazzo illuminato e si mise a correre, chino in avanti. Si fermò solo al bacino di carenaggio. Era così concentrato sulla presenza dei militari che, per qualche secondo, rimase a fissare il bacino senza rendersi conto di quello che vedeva. Poi spalancò gli occhi per la sorpresa. Dimenticò i veicoli e si avvicinò.
Il bacino era pieno.
La Barrier Queen non era in secca. Dove si sarebbe dovuta vedere la nave sostenuta da impalcature, s'increspavano minuscole onde. Il livello dell'acqua era a otto-dieci metri dal fondo del bacino.
Anawak si mise in ginocchio e fissò l'acqua nera.
Perché l'avevano riempito? Avevano finito di riparare il timone? Ma allora avrebbero potuto portare fuori la Barrier Queen.
Rifletté.
E improvvisamente comprese.
Per l'eccitazione, fece scivolare a terra la borsa così velocemente che provocò un gran rumore. Spaventato, guardò lungo il molo deserto. Il cielo si scuriva a vista d'occhio. Fasci luminosi rischiaravano il bacino con una fredda luce verdastra. Anawak si mise in ascolto, in attesa di sentire dei passi, ma udì solo i rumori della città, portati fin lì dal vento.
Poi, scrutando il bacino pieno, fu assalito dai dubbi. A spingerlo fin lì era stata la rabbia scatenata dalla reticenza dell'unità di crisi, ma chi era lui per mettere in discussione quelle decisioni? Stava facendo un'azione da Rambo, probabilmente troppo grande per lui. Prima non ci aveva pensato.
D'altra parte, ormai era lì. Cosa poteva mai succedere? Nel giro di venti minuti sarebbe sparito, portandosi appresso qualche informazione.
Anawak aprì la sacca sportiva. C'era tutto. Non aveva escluso la possibilità di doversi immergere. Se la Barrier Queen fosse stata nel bacino galleggiante, sarebbe stato meglio avvicinarsi dal mare aperto. Ma lì era più facile.
Era perfetto!
Si liberò dei jeans e del resto del vestiario, prese la maschera, le piane, la torcia elettrica e un contenitore che si fissò ai fianchi. La custodia del coltello, legata a una gamba, completava l'attrezzatura. Non avrebbe avuto bisogno dell'ossigeno. Nascose la sacca sotto un blocco per gli ormeggi. Con l'equipaggiamento stretto sotto il braccio, si affrettò lungo il bacino, finché non raggiunse una scaletta che conduceva verso il basso. Lanciò un'ultima occhiata al molo. Le finestre della baracca erano sempre illuminate. Non si vedeva nessuno. Veloce e silenzioso, scese la scaletta, s'infilò maschera e pinne e si lasciò scivolare in acqua.
Un freddo tagliente gli arrivò fin nelle ossa. Senza la tuta di neoprene doveva fare in fretta; a ogni buon conto, non aveva intenzione di restare a lungo sott'acqua. Con potenti colpi di pinna s'immerse e, con la torcia accesa, si diresse verso la carena. L'acqua era un po' meno torbida rispetto alla precedente immersione nel bacino del porto e lui vedeva chiaramente davanti a sé lo scafo d'acciaio. La luce della lampada faceva risplendere la vernice rossa. Passò le dita sulla superficie, si bloccò per un attimo, si staccò e riprese a nuotare.
Solo pochi metri più avanti, la parete spariva sotto una spessa incrostazione di cozze.
Affascinato, continuò a nuotare. La carena era incrostata esattamente come prima. Dopo aver percorso circa la metà della distanza dalla prua, gli sembrò addirittura che le incrostazioni fossero aumentate. Allora non le avevano staccate! Avevano studiato il materiale e quello che poteva nascondersi dentro direttamente sulla nave. Ecco perché la Barrier Queen si trovava nel bacino di carenaggio: a differenza del bacino galleggiante, in caso di emergenza esso poteva essere chiuso ermeticamente, in modo che nulla finisse in mare. La Barrier Queen era stata trasformata in un laboratorio. E avevano riempito il bacino affinché quello che c'era attaccato e ciò che ci viveva dentro rimanesse in vita.
Improvvisamente Anawak comprese anche il motivo dei veicoli militari. Se Nanaimo, come istituto civile, era stato tagliato fuori, ciò significava una cosa sola. L'esercito aveva avocato a sé le ricerche. Tutto il resto procedeva a porte chiuse.
Anawak esitò, di nuovo assalito dai dubbi. Era ancora in tempo per lasciar perdere. Poi scacciò quel pensiero. Non gli sarebbe servito molto tempo. Estrasse velocemente il coltello e cominciò a staccare alcune cozze. Faceva attenzione a non danneggiarle: toglieva gli animali passando con cautela la lama sotto il bisso filamentoso e li staccava con un colpo deciso. Concentrato e sistematico. Nel suo contenitore, finivano un mitilo dopo l'altro. Bene. Sue gli avrebbe gettato le braccia al collo.
Il bisogno di respirare divenne opprimente. Anawak rinfoderò il coltello e riemerse per prendere fiato. Nei suoi polmoni penetrò il freddo. Sopra di lui si levava lo scafo, ritto e scuro. Respirò diverse volte profondamente. Doveva cercare un punto simile a quello da cui si era scagliata contro di lui quella cosa lampeggiante. Forse quell'essere si nascondeva ancora tra le incrostazioni. Stavolta sarebbe stato pronto.
Mentre si stava preparando a immergersi, sentì alcuni passi leggeri.
Si voltò, sbirciando oltre il bordo del bacino. Due figure lo stavano percorrendo ed erano a metà strada tra due lampioni.
Guardavano in basso.
Senza far rumore, si lasciò sprofondare sotto la superficie dell'acqua. Probabilmente erano guardiani. O lavoratori che avevano fatto tardi. Sicuramente c'erano molte persone con un buon motivo per passare di lì a quell'ora. Avrebbe dovuto fare molta attenzione nel lasciare il bacino.
Poi gli venne in mente che, sebbene lui fosse sott'acqua, la luce della torcia rimaneva visibile.
La spense. Fu circondato dall'oscurità.
Che stupido. Da che parte stavano andando quei due? Verso poppa… Forse poteva nuotare verso la prua e riprendere le ricerche da lì. Si mise in movimento con colpi regolari di pinna. Dopo un po' riemerse, si girò sulla schiena, respirò con lo sguardo indirizzato al muro della banchina, ma non vide nessuno.
All'altezza dell'ancora, si lasciò di nuovo sprofondare e toccò prudentemente la parete. Anche lì i mitili formavano bizzarre incrostazioni. Cercava una fessura o una grande cavità, ma non trovò nulla del genere. L'ideale sarebbe stato prenderne altri e poi sparire velocemente. A causa della fretta, staccò gli animali con minor cura. Le mani gli tremavano. Si rese conto che il suo era un piano da dilettante. Aveva un freddo terribile e la punta delle dita era quasi insensibile.
La punta delle dita…
Improvvisamente si rese conto che riusciva a vederla. Si guardò. Scorgeva anche le braccia e le gambe. Splendevano… No, era l'acqua che aveva iniziato a risplendere. Era fluorescente, di un colore blu scuro.
Mio Dio, pensò.
Un attimo dopo, venne abbagliato da una luce violenta e, d'istinto, sollevò le braccia per proteggersi gli occhi. Lampi di luce. La nuvola. Che cosa stava succedendo? Perché era andato lì?
Ma non erano lampi. La luce violenta aveva un'intensità costante. Anawak si rese conto che era illuminato da un proiettore subacqueo. Altri riflettori si erano accesi lungo la soletta del bacino e rischiaravano lo scafo della Barrier Queen. Vide chiaramente l'incrostazione solcata e ondulata dei mitili e rabbrividì.
I fari si erano accesi per lui. L'avevano scoperto!
Per un attimo non seppe cosa fare. Ma c'era solo una strada. Doveva andare verso poppa, raggiungere la scaletta e risalire nel punto in cui aveva lasciato la sacca. Col cuore martellante, passò in fretta davanti alle luci violente. Sentiva l'acqua scrosciargli nelle orecchie. Cominciava a mancargli l'aria, ma non voleva riemergere prima di aver raggiunto la scala.