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Ford se ne stava seduto davanti a un monitor nero e sbadigliava sino a far schioccare le mascelle.

Raccolse le ultime patate fritte.

Le sue dita unte si bloccarono. Lui lasciò cadere le patate fritte e socchiuse le palpebre.

Il monitor rivelava una variazione dei dati.

Fino a quel momento, la profondità aveva oscillato tra zero e trenta metri. Ora erano quaranta… cinquanta. Lucy stava cambiando posizione. Nuotava verso il mare aperto e intanto s'inabissava. Le altre balene la seguivano. Avevano smesso di ciondolare: ora si muovevano con la velocità della migrazione.

Dove vai così di fretta? pensò Ford.

Il battito cardiaco di Lucy rallentò. S'immergeva rapidamente. A quel punto, i suoi polmoni contenevano soltanto iì dieci per cento delle riserve di ossigeno, forse meno. Il resto era accumulato nel sangue e nei muscoli. Una sistemazione perfetta per grandi profondità.

Lucy era sotto i cento metri.

Fino a quel momento, la balena non aveva sganciato dal sistema circolatorio nessuna delle parti vitali del corpo. L'eccedenza di pressione sanguigna veniva stipata in una rete di vene estremamente elastiche; muscoli e metabolismo funzionavano senza ossigeno. Nel corso di milioni di anni si era sviluppato l'effetto combinato di una serie di processi sorprendenti, consentendo a quelli che una volta erano animali terrestri di muoversi senza problemi tra la superficie e centinaia o, addirittura, migliaia di metri di profondità, mentre la maggior parte dei pesci rischiava la vita già con una differenza di cento metri. Lucy continuava a scendere — centocinquanta metri, duecento — e intanto si allontanava dalla terraferma.

«Bill? Jackie?» disse Ford, senza voltarsi verso i due assistenti. «Venite a vedere.»

I due si raccolsero intorno ai monitor.

«Scende.»

«Sì e molto in fretta. È già a quasi due miglia dalla terraferma. Tutto il branco va verso il mare aperto.»

«Forse si stanno solo spostando un po' più in là.»

«Ma perché a quella profondità?»

«Perché di notte il plancton affonda, non è così? Anche il krill. Tutte le prelibatezze si spostano più in basso.»

«No.» Ford scosse la testa. «Avrebbe senso per altre balene, non per quelle che arano il fondale, non c'è motivo…»

«Guardate! Trecento metri.»

Ford si appoggiò allo schienale. Le balene grigie non erano particolarmente veloci. Potevano fare un breve scatto, ma al massimo raggiungevano i dieci chilometri all'ora e solo nelle zone più superficiali. Se non dovevano fuggire, in genere si trascinavano pigramente.

Da che cosa erano spinte?

Era senza dubbio un comportamento anomalo. Le balene grigie si nutrivano quasi esclusivamente degli animali presenti sul fondale. Raramente si spostavano a più di un miglio dalla costa, e in genere restavano molto più vicine. Ford non sapeva che cosa avrebbero trovato a trecento metri di profondità. Verosimilmente qualcosa di buono. Ma era strano che le. balene grigie s'immergessero oltre i centoventi metri.

Gli scienziati fissavano i monitor.

Improvvisamente qualcosa luccicò nella parte inferiore del reticolato virtuale. Un lampo verde che s'infiammò per un attimo e poi sparì.

Uno spettrogramma! La rappresentazione grafica di un'onda sonora.

Poi un'altra.

«Che cos'è?»

«Rumori! Un segnale particolarmente forte.»

Ford arrestò la rappresentazione in tempo reale e fece ripartire il programma. Osservarono la sequenza una seconda volta. «È un segnale fortissimo», esclamò. «Come un'esplosione.»

«Non può essere stata un'esplosione, l'avremmo sentita. È un infrasuono.»

«Lo so anch'io. Mi chiedo solo chi…»

«Là! Eccola ancora!»

I punti verdi nella griglia delle coordinate si erano fermati. La potente emissione si ripeté una terza volta, poi sparì.

«Si sono fermate.»

«A che profondità sono?»

«Trecentosessanta metri.»

«Incredibile. Che ci fanno là sotto?»

Lo sguardo di Ford si spostò sul monitor di sinistra, dove continuavano le riprese video dell'URA. In teoria, avrebbe dovuto essere tutto nero. La bocca dello scienziato si aprì e rimase spalancata. Poi lui sussurrò: «Guardate là».

Il monitor non era più nero.

Vancouver Island

Anawak trovava la compagnia di Frank molto rilassante.

Avevano bighellonato lungo la spiaggia davanti al Wickaninnish Inn e parlato dei progetti ambientali in cui era impegnato Frank. Il taayii hawil, nato da una famiglia di pescatori, era proprietario di un ristorante. Ma coi tla-o-qui-hat aveva dato vita a un'iniziativa per ridurre gli effetti del diboscamento. «Salmon Coming Home» era un tentativo di riportare alle condizioni originarie il complesso ecosistema del Clayoquot Sound, in buona parte distrutto dalle industrie del legno. Nessuno tra i tla-o-qui-hat s'illudeva di poter riportare in vita la foresta pluviale, ma c'era comunque molto da fare. A causa del diboscamento, il sole faceva seccare il terreno, che veniva spazzato via dalle piogge, finiva nel fiume e nei laghi e li intasava, insieme con le pietre e coi resti dei giganteschi alberi abbattuti. I salmoni sparivano perché non trovavano più luoghi in cui deporre le uova e la loro scomparsa toglieva il cibo agli altri animali. L'associazione Salmon Coming Home addestrava volontari per pulire i fiumi e riaprirne il corso. Lungo i corsi d'acqua si costruivano argini di protezione, che venivano piantumati con ontani a crescita rapida. Gli attivisti cercavano faticosamente di ricostruire almeno in parte l'equilibrio tra foresta, animali e uomo. Era un impegno assiduo, non confortato dalla speranza di un rapido successo.

«Lo sai che molti vi guardano con ostilità perché volete riprendere la caccia alle balene?» disse Anawak dopo un po'.

«E tu?» chiese Frank. «Cosa ne pensi?»

«Che non è molto saggio.»

Frank annuì, pensieroso. «Forse hai ragione. Le balene sono protette, perché cacciarle? Molti di noi sono contrari. Non sappiamo più come si caccia una balena. Non conosciamo quasi più il rito del uusimich, la preparazione spirituale alla caccia. D'altra parte, sono quasi cento anni che non cacciamo balene e oggi chiediamo di catturare cinque o sei animali. È una quota irrilevante. Noi siamo pochi. I nostri antenati hanno vissuto grazie alle balene. I cacciatori di balene si sottoponevano a rituali che duravano mesi o addirittura anni. Prima di andare a caccia, purificavano lo spirito per essere degni del dono della vita che la balena faceva loro. Non arpionavano la balena migliore, ma quella che era loro destinata, quella cui loro erano destinati da una forza misteriosa, da una visione in cui la balena e il cacciatore si riconoscevano. Capisci? È questa spiritualità che vogliamo conservare.»

«D'altra parte, una balena porta un bel mucchio di denaro», borbottò Anawak. «Il direttore della pesca dei makah ha stimato il valore di una balena grigia in mezzo milione di dollari americani. Ha detto schiettamente che oltreoceano la carne e l'olio sono molto richiesti, e naturalmente si riferiva all'Asia. Poi ha sottolineato i problemi economici dei makah e l'elevata disoccupazione. Non mi pare sia stato molto saggio, anzi direi addirittura che è stato molto gretto. Nelle sue parole non c'era traccia di spiritualità.»

«È vero anche questo, Leon. Puoi pensare che i makah vogliano tornare a cacciare per vero amore della tradizione o che lo vogliano fare per avidità di denaro, ma rimane certo che non hanno mai fatto valere un loro diritto e che in questi decenni sono stati i bianchi a portare i cetacei sull'orlo dell'estinzione. E non mi pare l'abbiano fatto per motivi spirituali, vero? I bianchi sono stati i primi a considerare la vita alla stregua di merce. È un'idea da cui non eravamo mai stati neppure sfiorati. E ora, dopo che tutti si sono serviti, uno di noi osa parlare di denaro, e subito veniamo attaccati come se fossimo noi a minacciare la sopravvivenza della natura. Non te ne sei accorto? Gli uomini primitivi hanno sempre vissuto con parsimonia di ciò che poi i bianchi hanno distrutto. Prima distruggono, poi improvvisamente si svegliano e vogliono proteggere l'ambiente. Si atteggiano a salvatori, ma in realtà proteggono l'ambiente soltanto da chi non lo minaccia. La responsabilità dello sterminio delle balene è di Paesi come il Giappone e la Norvegia, ma loro possono continuare a lanciare gli arpioni. Noi non abbiamo estinto neanche una specie, eppure veniamo puniti. È sempre stato così. È così in tutto il mondo.»

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