«Ah, sciocchezze.»
«Va bene, va bene, volevo aspettare che ti svegliassi.»
«È la seconda volta nel giro di un minuto che me lo sento dire. No, è la terza, se si conta anche la preoccupazione permanente di Alicia. Sto bene, maledizione.»
«Perché non fai un salto qua?» propose Palm.
«Con la barca?»
«Sono soltanto poche centinaia di metri. E poi nella baia non è ancora successo nulla.»
«Va bene, sarò lì tra dieci minuti.»
«Fantastico. A presto.»
Alicia lo guardò da sopra il bordo della tazza e aggrottò la fronte. «Qualche novità?»
«Tutti mi trattano come un invalido», brontolò Anawak.
«Non mi pare.»
Lui si alzò, aprì il cassetto sotto la cuccetta e frugò alla ricerca di una camicia pulita. «Evidentemente a Nanaimo hanno scoperto qualcosa», borbottò.
«E cosa?» chiese Alicia.
«Non lo so.»
«Ah.»
«Vado da Palm.» Esitò, poi disse: «Se hai voglia e tempo puoi venire anche tu, okay?»
«Mi vuoi con te? Quale onore!»
«Non essere sciocca.»
«Non lo sono.» Arricciò il naso. I bordi dei suoi incisivi sfregavano il labbro inferiore. Dovrebbe proprio fare qualcosa per quei denti, pensò Anawak. Ogni volta che la guardava, si sorprendeva a controllare se c'era una carota nei dintorni. «Da due giorni hai la luna di traverso. È quasi impossibile fare una conversazione educata», lo rimproverò lei.
«L'avresti anche tu se…» s'interruppe.
Alicia lo guardò. «C'ero anch'io sull'idrovolante», mormorò.
«Mi dispiace.»
«Sono quasi morta dalla paura. Un'altra sarebbe corsa subito a casa dalla mamma. Ma tu hai perso la tua assistente, quindi io non corro dalla mamma e ti rimango a fianco, stupido musone. Cosa mi volevi raccontare?»
Anawak si toccò il bernoccolo sulla testa. Faceva male e diventava sempre più grande. Anche il ginocchio faceva male.
«Nulla. Ti sei calmata?»
«Non sono affatto nervosa.»
«Bene. Allora vieni.»
«Comunque vorrei farti una domanda personale…»
«No.»
Andare alla piccola isola col Devilfish aveva qualcosa d'irreale. Quasi come se gli attacchi delle settimane precedenti non ci fossero stati. Strawberry Island era poco più di una collina ricoperta di abeti, il cui perimetro si poteva percorrere a piedi in cinque minuti. Quel giorno, il mare era liscio come una tavola e non c'era vento. Un sole caldo diffondeva una luce bianca. Anawak si aspettava in ogni momento di veder comparire una coda o una schiena nera con un'alta pinna dorsale. Ma, dall'inizio degli attacchi, a Tofino si erano viste solo due orche. Erano stanziali e non avevano mostrato segni di aggressività. Evidentemente la teoria di Anawak era vera: il mutamento di comportamento riguardava solo i cetacei che migravano.
Si chiese ancora per quanto.
Lo zodiac si accostò al molo di attracco dell'isola. La stazione di Palm era proprio di fronte. Si trovava all'interno di un vecchio veliero, che un tempo era il British Columbia Ferry e ora si allungava pittorescamente sulla riva, sostenuto da tronchi e circondato da pezzi di legno e ancore arrugginite. Serviva a Palm sia come ufficio sia come abitazione. Ci vivevano anche i suoi due figli.
Anawak si sforzava di non zoppicare. Alicia taceva. Evidentemente era arrabbiata con lui.
Poco dopo tutti e tre erano davanti alla nave, seduti intorno a un piccolo tavolo adornato con corteccia di betulla. Alicia beveva una Coca-Cola con la cannuccia. Intorno si vedevano le palafitte. Benché Strawberry Island fosse soltanto a poche centinaia di metri da Tofino, era molto più tranquilla. I rumori si sentivano solo in lontananza. In compenso era possibile sentire i suoni prodotti dalla natura.
«Come va il ginocchio?» chiese Palm. Era un uomo premuroso, con una barba bianca che sembrava quasi formata da fiocchi, la testa pelata e la pipa perennemente in bocca, tanto che si era portati a pensare che l'avesse avuta fin dalla nascita.
«Non parliamone.» Anawak allungò il braccio destro e cercò d'ignorare il bum bum che aveva nella testa. «Piuttosto dimmi che cosa avete scoperto.»
«A Leon non piace che ci s'informi sulla sua salute», commentò Alicia, tagliente.
Anawak borbottò qualcosa d'incomprensibile, ma, dentro di sé, ammise che lei aveva ragione. Il suo umore era come un barometro che segnava tempesta.
Palm si schiarì la voce. «Sono rimasto a lungo con Ray Fenwick e Sue Oliviera», disse. «Dopo l'autopsia pubblica di J-19 siamo rimasti in stretto contatto. Ma non solo per questo. Il giorno del vostro atterraggio di fortuna, si è arenata un'altra balena. Una balena grigia che non conoscevo. Non aveva segni particolari. Fenwick non poteva venire, così ho fatto io stesso l'autopsia con altre persone, così da mandare a Nanaimo i soliti campioni per le analisi. Un lavoraccio, ti dico. Ho operato in piedi nella cassa toracica e, dopo aver tolto il cuore, sono scivolato fuori. Il sangue e i liquidi che gocciolavano da sopra mi erano arrivati fin negli stivali. Sembravo uno zombie subito dopo pranzo. Questo è il lato romantico della mia attività. Naturalmente abbiamo preso anche un pezzo di cervello.»
Il pensiero di un'altra balena spiaggiata colmò Anawak di un dolore pungente. Non riusciva a odiare gli animali per quello che avevano fatto. Per lui restavano creature meravigliose che bisognava difendere e proteggere. «Di che cos'è morta?» chiese.
Palm allargò le braccia. «Direi di un'infezione. La stessa che Fenwick ha diagnosticato per Gengis. La cosa strana è che nell'animale abbiamo trovato anche altre cose che non c'entrano nulla.» S'indicò la testa e mosse in cerchio il dito. «Fenwick ha trovato una sorta di grumo nel cervello. Sul diencefalo, per essere precisi. Con propaggini suddivise tra la massa del cervello e la calotta cranica.»
Anawak rizzò le orecchie. «Coaguli di sangue in entrambi gli animali?»
«Il sangue non c'entra, anche se all'inizio l'avevamo pensato. Fenwick e Sue Oliviera pensano che il responsabile delle anomalie sia il rumore. Non vogliono parlarne finché non trovano altri indizi, ma nel frattempo Fenwick si è letteralmente aggrappato alle conseguenze delle ricerche col sonar…»
«Ti riferisci al Surtass LFA?»
«Esatto.»
«Scordatelo. Non è possibile.»
«Si può sapere di che parlate?» intervenne Alicia.
«Il governo americano, da un paio d'anni, ha riservato alla Marina un trattamento speciale», spiegò Palm. «Le ha dato il permesso di usare un sonar a bassa frequenza per la localizzazione di sommergibili. Si chiama Surtass LFA e viene testato con assiduità.»
«Davvero?» Alicia era inorridita. «Pensavo che la Marina fosse vincolata al trattato di protezione dei mammiferi marini.»
«Tutti siamo vincolati a tutti i trattati possibili», commentò Anawak con un sorriso cupo. «E ci sono tutte le possibili scappatoie. Gli Stati Uniti evidentemente non riescono a resistere alla tentazione di sorvegliare l'ottanta per cento dei mari della Terra, e questo col Surtass LFA è possibile. Così il presidente è stato assai solerte a svincolare la Marina da ogni trattato. Non dimenticare che il nuovo sistema è già costato trecento milioni di dollari e che, secondo i responsabili, non danneggia le balene.»
«Ma il sonar danneggia le balene. Lo sa anche un idiota.»
«Purtroppo non è sufficientemente dimostrato», disse Palm. «In passato si è rilevato che le balene e i delfini sono molto sensibili al sonar, ma non si può dire con certezza quali effetti abbia sulla caccia, sulla riproduzione e sulla migrazione.»
«Ridicolo», sbuffò Anawak. «A 180 decibel si sfondano i timpani delle balene. Ognuno degli altoparlanti subacquei del nuovo sistema produce un rumore di 215 decibel. La forza complessiva del segnale è anche superiore.»
Alicia guardava ora l'uno ora l'altro. «E… che cosa succede agli animali?»
«È appunto per questo che Fenwick e Sue Oliviera sono arrivati alla teoria del rumore», disse Palm. «Già da anni gli scandagli sonar della Marina fanno spiaggiare delfini e balene in diverse parti del mondo. Molte balene sono morte. Mostravano copiosi versamenti di sangue nel cervello e nell'orecchio interno. Le tipiche ferite causate da forti rumori. Gli ambientalisti sono riusciti a dimostrare che, nelle immediate vicinanze dei luoghi in cui sono morte le balene, c'erano state delle esercitazioni NATO, ma prova a farlo ammettere ai tizi della Marina!»