«Scusa», disse la ragazza. «Non sapevo che ti saresti alzato di scatto.»
Anawak la fissò. Alicia? Ah, sì. Lentamente i ricordi si ricomposero. Si tenne la testa, fece un grugnito tormentato e si lasciò cadere all'indietro. «Che ore sono?»
«Le nove e mezzo.»
«Dannazione.»
«Hai un aspetto terribile. Hai fatto un brutto sogno?»
«Mah, cose assurde.»
«Posso preparare il caffè.»
«Un caffè? Ottima idea.» Si toccò il punto in cui aveva battuto la testa e sussultò. Sarebbe spuntato un bel bernoccolo. «Dov'è quella stupida sveglia? Doveva suonare alle sette.»
«Non l'hai sentita. E non c'è da meravigliarsi, dopo quello che e successo.» Alicia andò nella piccola cucina e si guardò intorno. «Dov'è…»
«Nel pensile, a sinistra. Caffè, filtri, latte e zucchero.»
«Hai fame? So preparare colazioni fantastiche…»
«No.»
Lei scrollò le spalle e riempì d'acqua la caldaia della macchina del caffè. Anawak la osservò per qualche secondo, poi si sollevò dalla cuccetta. «Girati, devo infilarmi qualcosa.»
«Non fare tante scene. Non ti guardo mica.»
Lui aggrottò la fronte mentre osservava i suoi jeans. Erano appallottolati sulla panca vicino alla cuccetta. Vestirsi si rivelò molto difficile. Aveva le vertigini e la gamba ferita gli faceva male se la piegava. «John ha chiamato?» chiese.
«Sì. Prima.»
«Dannazione.»
«Che cosa c'è?»
«Anche un vecchio decrepito ci mette meno tempo a infilarsi i pantaloni. Al diavolo, perché non ho sentito la sveglia? Volevo assolutamente…»
«Sai una cosa? Sei uno scemo, Leon. Un vero scemo. Due giorni fa sei sopravvissuto a un incidente aereo. Hai un ginocchio gonfio e, secondo me, qualche rotella del tuo cervello è andata fuori posto. Abbiamo avuto una fortuna incredibile. Potremmo essere morti come Danny e il pilota, invece siamo vivi. E tu ti lamenti per la tua dannata sveglia e perché non riesci a fare la ruota. Hai finito?»
Anawak si sedette sulla panca. «Sì, ho finito. Cos'ha detto John?»
«Ha raccolto tutti i dati e ha guardato i video.»
«Fantastico. E allora?»
«Niente. Ti devi formare da solo la tua opinione.»
«È tutto?»
Alicia riempì il filtro con la polvere di caffè, lo mise sulla caldaia e accese la macchinetta. Dopo qualche secondo, la stanza si riempì di leggeri schiocchi e gorgoglii. «Gli ho detto che stavi ancora dormendo», disse. «Ha risposto che non ti dovevo svegliare.»
«Perché?»
«Perché devi guarire. Ha detto così, e a ragione.»
«Io sono guarito», ribatté Anawak, testardo. Ma non ne era sicurissimo. Quando il DHC-2 era entrato in collisione con la balena grigia aveva perso la superficie portante. Danny, il tiratore, era probabilmente morto sul colpo; gli uomini del Whistler non avevano trovato il suo cadavere, ma sul fatto che fosse morto non c'erano dubbi. Non era riuscito a rientrare in tempo e il portellone laterale dell'idrovolante era rimasto aperto durante la caduta. Anawak doveva ringraziare quella circostanza se era ancora vivo. Con l'impatto era stato scaraventato fuori. Non ricordava nulla di ciò che era accaduto in seguito, neppure come si era procurato quel brutto stiramento al ginocchio. Era rinvenuto solo a bordo del Whistler a causa del dolore pulsante.
Subito dopo, aveva visto Alicia sdraiata vicino a lui, e il dolore aveva perso ogni importanza. Sembrava morta. Prima che l'orrore lo sopraffacesse, gli avevano spiegato che non era morta e che aveva avuto ancora più fortuna di lui. Il corpo del pilota aveva attutito il colpo. Benché fosse semincosciente, Alicia era uscita dal relitto che si stava inabissando. L'idrovolante era affondato nel giro di un minuto. L'equipaggio del Whistler era riuscito a recuperare Anawak e Alicia, ma lo sfortunato pilota era sparito negli abissi col suo DHC-2.
Nonostante la tragedia, l'operazione si poteva comunque definire un successo. Danny aveva piazzato la sonda. L'URA aveva seguito la balena ed era stato possibile registrare ventiquattr'ore di filmati senza che gli animali attaccassero il robot. Anawak sapeva che le riprese erano state mandate di prima mattina a John Ford e si era fermamente riproposto di recarsi all'acquario. Inoltre il Centre National d'Etudes Spatiales aveva fornito i dati telemetrici ricevuti fino a quel momento dal cronotachigrafo che Lucy portava sul dorso. Se l'idrovolante non fosse precipitato, avrebbero avuto tutti i motivi per essere contenti.
E invece la situazione stava peggiorando. Morivano sempre più uomini. Anawak stesso era stato per due volte vicinissimo alla morte. Forse aveva elaborato così in fretta la morte di Susan Stringer perché la rabbia contro Greywolf aveva cauterizzato tutti gli altri sentimenti. Ora, due giorni dopo la caduta dell'aereo, si sentiva malissimo. Come colpito da una malattia che, dopo essere stata repressa per anni, esplodeva, reclamando il proprio diritto di manifestarsi. Si sentiva insicuro, aveva dubbi su se stesso e avvertiva un'inquietante mancanza di energia. Probabilmente era ancora sotto shock, ma lui non ci credeva. Si trattava di ben altro. Da quand'era stato scaraventato fuori dall'idrovolante, di tanto in tanto aveva le vertigini, dolori al petto e attacchi di panico.
No, non era guarito, e lo stiramento del ginocchio non era il vero problema.
Anawak si sentiva mutilato dentro.
Aveva trascorso quasi tutto il giorno precedente dormendo. Erano venuti a trovarlo Davie, Shoemaker e gli skipper. Ford aveva telefonato più volte, chiedendo sue notizie. Nessun altro si era particolarmente preoccupato per lui. Mentre i genitori di Alicia e un mucchio di suoi amici — compreso un suo ex fidanzato deciso a far valere i diritti maturati nel corso di una relazione durata due anni — avevano fatto pressione su di lei affinché lasciasse Vancouver Island, la partecipazione al destino di Anawak si esauriva nella cerchia dei colleghi.
Era malato e sapeva che nessun medico avrebbe potuto aiutarlo.
Alicia gli mise davanti una tazza di caffè appena fatto e lo fissò attraverso i suoi occhiali blu. Anawak ne bevve un sorso, si scottò la lingua e si allungò per prendere il radiotelefono.
«Posso farti una domanda personale, Leon?» disse lei.
Lui si fermò e scosse la testa. «Più tardi.»
«Più tardi quando?»
Anawak sospirò e compose il numero di Ford.
«Non abbiamo ancora finito con le osservazioni», spiegò il direttore. «Prenditi del tempo e riposati.»
«Hai detto ad Alicia che mi devo formare un'opinione senza essere influenzato.»
«Sì, dopo che abbiamo esaminato tutto. La maggior parte è roba noiosa. Prima che tu venga qui, è meglio se ci guardiamo il resto. Forse potresti risparmiarti la strada.»
«Va bene, quando finirete?»
«Non ne ho idea. Siamo qui in quattro a guardare i nastri. Dacci un paio d'ore. No, tre. È meglio se mando un elicottero a prenderti oggi nel primo pomeriggio. Elegante, vero? Questo è il vantaggio dell'unità di crisi. C'è sempre un elicottero a disposizione.» Ford rise. «Però non ci dobbiamo abituare a questi lussi.» Fece una pausa. «In compenso ho un'altra cosa per te. Adesso non ho il tempo di raccontartela, ma sarebbe meglio che tu chiamassi Rod Palm.»
«Palm? Perché?»
«Ha parlato un'ora fa con Nanaimo e con l'Istituto di scienze oceanografiche. Puoi parlare anche con Sue Oliviera, ma visto che Palm è a due passi da casa tua…»
«Maledizione, John! Perché, quando c'è qualcosa da raccontare, non mi chiama mai nessuno?»
«Volevo aspettare che ti svegliassi.»
Anawak chiuse bruscamente la chiamata e telefonò a Palm. Il direttore della stazione di ricerca sulla Strawberry Island rispose subito.
«Ah!» esclamò. «Ford ti ha parlato.»
«Sì, l'ha fatto. A quanto pare, avete trovato qualcosa che scuoterà il mondo. Perché non mi hai chiamato?»
«Lo sanno tutti che hai bisogno di riposo.»