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«Cosa c'era?»

«Velella velella, detta anche barchetta san Pietro. Molto carina, se non comincia a puzzare al sole proprio davanti a te. Una cosettina violetta. Tutta la spiaggia era lilla… Le hanno infilate con pale e rastrelli in centinaia di sacchi, non puoi fartene un'idea, e dal mare ne arrivavano in continuazione. Lo sai che sono un fan delle meduse, ma era troppo anche per me. Mi sono sentito urlare nelle orecchie da mattina a sera. Comunque, in Europa, abbiamo la piaga delle meduse in agosto o in settembre, ma in Australia è naturalmente il contrario. Quello che accade laggiù è singolare.»

«E cosa ci sarebbe di singolare?»

«Le vespe di mare si avvicinano alla spiaggia dov'è piatta», spiegò Olsen. «Al largo della costa è difficile trovarle. E non sono mai state viste prima nei pressi della Grande Barriera Corallina. Ma ho sentito che c'erano anche là. Per quanto riguarda le Velella è diverso. Normalmente stanno in mare aperto. Ancora oggi non sappiamo che cosa le porti sulle spiagge ogni due decenni… Anzi sappiamo poco delle meduse in generale.»

«Le spiagge non vengono protette con le reti?» domandò Johanson.

Olsen rise a squarciagola. «Sì, e la gente s'illude che funzionino, ma non servono a niente. Le meduse rimangono impigliate nelle reti, ma i tentacoli si staccano e passano attraverso le maglie. E quelli non si vedono.» Fece una pausa. «Perché sei così ansioso di sapere tutte queste cose? È un argomento che conosci bene.»

«Sì, ma non quanto te. M'interessa scoprire se abbiamo davvero a che fare con delle anomalie.»

«Ci puoi scommettere», ringhiò Olsen. «Guarda che la comparsa delle meduse è sempre legata alle alte temperature dell'acqua e allo sviluppo del plancton. Sai bene che, se c'è un bel calduccio, il plancton si sviluppa alla grande, e le meduse mangiano il plancton. Così il cerchio si chiude. Ecco perché quegli animaletti compaiono nella tarda estate e spariscono qualche settimana dopo. Questo è il corso delle cose… Aspetta un attimo.»

In sottofondo si sentiva urlare. Johanson si chiese quando andavano a letto i figli di Olsen e soprattutto se mai ci andassero. In passato, ogni volta che aveva telefonato a Olsen, le cose erano andate sempre nello stesso modo.

Olsen gridò qualcosa per contenere la lite. Le urla si fecero ancora più alte, poi cessarono e lui fu di nuovo al telefono. «Scusa. Litigano per i regali. Allora, se vuoi sentire il mio parere, simili invasioni di meduse derivano dall'eccessiva fertilizzazione del mare. La colpa è nostra. La fertilizzazione provoca la crescita del plancton e così via. Quando i venti soffiano da ovest o da nordovest, ce le troviamo davanti alla porta di casa.»

«Sì, ma quelle sono invasioni del tutto normali. Qui parliamo di…» cominciò Johanson.

«Aspetta. Volevi sapere se siamo di fronte a un'anomalia. La risposta è sì. E verosimilmente si tratta di un'anomalia che non riconosciamo come tale. A casa hai delle piante?»

«Che? Ah, sì.»

«Una yucca?»

«Sì. Due.»

«Anomalie. Capisci? La yucca è importata, e pensa un po' da chi.»

Johanson strabuzzò gli occhi. «Voglio sperare che non ti metterai a parlare di un'invasione di yucca. Le mie sono assolutamente pacifiche.»

«Non voglio dire questo. Voglio dire semplicemente che non siamo più in grado di giudicare cos'è naturale e cosa no. Nel 2000 sono stato nel golfo del Messico per fare ricerche sulle invasioni di meduse. Giganteschi banchi di roba tremolante minacciavano la sopravvivenza dei pesci. Avevano invaso la Louisiana, il Mississippi e l'Alabama e divoravano le uova e le larve dei pesci, come pure il plancton. La maggior parte dei danni è stata fatta da una specie che in realtà non doveva essere là: era una medusa australiana, la medusa del Pacifico. Importata.»

«Invasione biologica», disse Johanson.

«Esatto. Distruggono la catena alimentare e pregiudicano la pesca. Una catastrofe. Qualche anno prima, si è sfiorato il disastro ecologico nel mar Nero, perché, negli anni '80, qualche nave da carico aveva importato con l'acqua di zavorra alcune meduse. Non erano originarie di quella zona. All'inizio la situazione è stata sgradevole, poi il mar Nero si è ritrovato nella merda. C'erano oltre ottomila meduse per metro quadrato… Sai cosa vuol dire?» Era infuriato. «E ora questa faccenda delle caravelle portoghesi. Sono comparse in Argentina, e non è la loro zona. Certo, l'America centrale, anche il Perú, forse il Cile. Ma così a sud? Quattordici morti in un colpo! Sembra un attacco. E poi le vespe di mare. Che ci fanno così vicine alla costa? È come se qualcuno le avesse stregate.»

«Quello che mi dà da pensare è che si tratta proprio delle due specie più pericolose», disse Johanson.

«Proprio così», confermò Olsen. «Ma aspetta un attimo; qui non siamo in America, e non mi lancerei a fare ipotesi di una cospirazione. Ci sono altre spiegazioni. Alcuni pensano che sia colpa del Niño, altri dicono che sia colpa del riscaldamento della Terra. A Malibu c'è stata un'invasione di meduse come non se ne vedeva da decenni; a Tel Aviv sono comparsi dei cosi giganteschi. Riscaldamento, importazione, si spiega tutto.»

Johanson ormai lo ascoltava appena. Olsen aveva detto una cosa che continuava ad assillarlo: Come se qualcuno le avesse stregate.

«… si accoppiano nelle acque basse», stava continuando Olsen. «E un'altra cosa: se parliamo di una nascita insolitamente elevata, non parliamo di migliaia, bensì di milioni. E questo vuol dire che la situazione non è sotto controllo. Non sono morte solo quattordici persone, ma molte di più, te lo garantisco io.»

«Mmm…»

«Mi stai ancora ascoltando?»

«Certo. Ho l'impressione che sia tu ora a spacciare teorie su qualche cospirazione.»

Olsen rise. «Sciocchezze. Di certo si tratta di anomalie. Osservato in superficie, ha l'apparenza di un fenomeno ciclico, ma secondo me è qualcos'altro.»

«Te lo dice la tua pancia?» chiese Johanson.

«La mia pancia mi dice che stasera ho mangiato involtino di manzo. Non è in grado di dire altro. No, lo dice la mia testa.»

«Bene. Grazie. Volevo solo sentire la tua opinione.» Rifletté. Doveva raccontare a Olsen dei vermi? Forse la Statoil non sarebbe stata particolarmente felice di dare in pasto all'opinione pubblica quell'argomento, e Olsen parlava un po' troppo.

«Ci vediamo domani a pranzo?» chiese Olsen.

«Sì, volentieri.»

«Vedrò se riesco a raccogliere qualcos'altro sulla faccenda.»

«Va bene. A domani», disse Johanson e riagganciò. Solo in quel momento rammentò che avrebbe voluto chiedere a Olsen anche della navi scomparse. Ma non voleva ritelefonargli. Il giorno dopo ne avrebbe saputo abbastanza.

Si chiese se l'invasione delle meduse l'avrebbe elettrizzato allo stesso modo se non avesse saputo dei vermi.

No. Probabilmente no. Non erano le meduse.

Erano le connessioni. Ammesso che ce ne fossero davvero.

Il mattino seguente, durante il tragitto verso l'NTNU, Johanson aveva ascoltato il notiziario, non aveva scoperto niente di più di quanto già sapeva: c'erano barche e persone disperse in diverse parti del mondo. Si facevano speculazioni a non finire, ma nessuno forniva una vera spiegazione.

La sua prima lezione era alle dieci; aveva quindi tempo sufficiente per leggere le e-mail e la posta. Fuori pioveva a dirotto e un cielo plumbeo incombeva su Trondheim. Quando Olsen infilò la testa nel suo ufficio, Johanson aveva appena acceso la lampada da tavolo e si era messo alla scrivania con una tazza di caffè, necessaria per svegliarsi completamente.

«Folle, vero?» esclamò Olsen. «Non finisce.»

«Che cosa non finisce?»

«Una notizia funesta dopo l'altra. Non ascolti i notiziari?»

Johanson si dovette concentrare. «Parli delle navi scomparse? Volevo proprio chiedere la tua opinione. Ieri, a furia di parlare di meduse, me ne sono dimenticato.»

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