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Laboratorio

Karen continuò a tenere stretto Rubin e a puntargli la lama alla gola, ma non riuscirono ad uscire. La porta del laboratorio scivolò di lato. Tre soldati muniti di armi balzarono all'interno e le puntarono contro di loro. Karen sentì Sue emettere un grido di terrore e si fermò, senza tuttavia mollare Rubin.

Judith Li entrò nel laboratorio seguita da Peak. «Lei non andrà da nessuna parte, Karen.»

«Jude», ansimò Rubin. «Era ora che arrivaste! Mi liberi da questa pazza.»

«Stia zitto», gli ordinò Peak. «Senza di lei non saremmo in una situazione così difficile.»

Judith Li sorrise. «Davvero, Karen», disse con tono affabile. «Non crede che la sua reazione sia un po' esagerata?»

«Rispetto a quello che ha raccontato Mick?» Karen scosse la testa. «No, non credo.»

«E che ha raccontato?»

«Oh, Mick è stato molto loquace. Non è vero, Mick? Ci hai traditi tutti.»

«Mente», gracchiò Rubin.

«Ha parlato di una reazione a catena, di veleno nelle testate dei siluri e del Deepflight 3. Ha anche accennato al fatto che voi due volete fare una gita, entro un paio d'ore.»

«Mah», fece Judith Li e avanzò di un passo. Karen afferrò Rubin e lo trascinò indietro, verso Sue. La biologa stava vicino al tavolo del laboratorio ed era come pietrificata. Aveva ancora in mano la valigetta con le provette che contenevano il feromone. «Sa una cosa? Mick Rubin è forse il miglior biologo del mondo, però soffre di un complesso d'inferiorità», riprese Judith Li. «Vorrebbe tanto essere famoso. L'idea che il suo nome non venga tramandato ai posteri lo fa impazzire. Questo spiega il suo esagerato bisogno di comunicare. Lo guardi. Sarebbe capace di vendere sua madre per un po' di notorietà.» Si fermò. «Ma ormai non ha più importanza. Visto che sa che cosa vogliamo fare, si renderà anche conto delle necessità che dobbiamo affrontare. Ho fatto il possibile per evitare un'escalation, ma, giacché tutti sono al corrente del nostro piano, non mi rimane altra scelta.»

«Ragioni, Karen», la supplicò Peak. «Lo lasci andare.»

«Non lo farò», replicò lei. «Mi è utile. Con la sua copertura, potremo parlare di tutto.»

«No, non parleremo più.» Judith Li estrasse la pistola e la puntò su Karen. «Lo liberi, Karen. Immediatamente, altrimenti le sparo. È la mia ultima offerta.»

Karen guardò la piccola bocca nera della pistola. «Non arriverà a tanto», disse.

«Ah, no?»

«Non ha nessun motivo per farlo.»

«Sta commettendo un errore, Jude», intervenne Sue con voce roca. «Non può usare quel veleno. Ho già spiegato a Mick che…»

Judith spostò l'arma, la puntò contro Sue e sparò. La biologa fu scaraventata contro il tavolo e poi scivolò a terra. La valigetta con le provette le cadde di mano. Per un secondo, la donna fissò con sguardo incredulo il buco, grande come un pugno, che si era formato nel suo petto, poi i suoi occhi divennero vitrei.

«No!» gridò Peak. «Per l'amor del cielo, che sta facendo?»

L'arma ritornò su Karen. «Lo lasci andare», ripeté Judith Li.

Elevatore esterno

«Dottor Johanson!»

Johanson si girò e vide Vanderbilt e Anderson. Stavano venendo verso di lui lungo la piattaforma. Anderson sembrava apatico, distaccato, con le pupille nere fisse in un punto indefinito, mentre Vanderbilt sfoggiava un largo sorriso. «Deve essere furioso con noi», disse, con un tono e con un atteggiamento amichevole. Johanson scrutò i due uomini. Si trovava alla fine della piattaforma, a pochi metri dal bordo. Violenti colpi di vento gli sferzavano il viso. Sotto di lui, le onde rombavano. Un istante prima, aveva deciso di rientrare. «Cosa la porta qui, Jack?»

«Niente di particolare.» Vanderbilt sollevò le mani in un gesto di scusa. «Sa, volevo semplicemente dirle che ci dispiace. È assolutamente inutile litigare. Tutta questa stupida storia… Non trova anche lei?»

Johanson rimase in silenzio. Vanderbilt e Anderson si avvicinavano sempre di più. Lui fece un passo di lato e i due nuovi arrivati si fermarono.

«Dobbiamo discutere di qualcosa?» chiese Johanson.

«Prima l'ho offesa», disse Vanderbilt. «Volevo scusarmi.»

Johanson aggrottò la fronte. «Molto nobile da parte sua, Jack. Le accetto. C'è altro?»

Vanderbilt sollevò il volto nel vento. I radi capelli biondi svolazzavano come erba sottile. «C'è un freddo maledetto, qui fuori», disse, rimettendosi lentamente in movimento. Anderson lo imitò. I due si erano disposti in modo tale da circondare Johanson. Lui non sarebbe riuscito a passarci in mezzo, e neppure a destra o a sinistra.

Quello che avevano intenzione di fare era così evidente che quasi non si sorprese. Ebbe solo una paura tremenda, contro cui non poté fare nulla. Paura unita a una rabbia disperata. Involontariamente fece un passo indietro e si rese subito conto che era stato un errore. Ormai era molto vicino al bordo. Non avrebbero dovuto sforzarsi troppo. Con un colpo violento, lui sarebbe finito in una delle reti sottostanti o addirittura oltre, in mare.

«Jack… Non è che ha intenzione di uccidermi?»

«Mio Dio, come le viene in mente?» Vanderbilt spalancò gli occhi, fingendo stupore. «Voglio parlare con lei.»

«E che ci fa qui Anderson?»

«Oh, era da queste parti. È stato un caso. Pensavamo…»

Johanson scattò verso Vanderbilt, poi si abbassò, scartando verso destra. Si era allontanato dal bordo. Anderson balzò verso di lui. Per un momento, quell'improvvisata manovra diversiva sembrò avere successo; poi Johanson si sentì afferrare e trascinare indietro. Il pugno di Anderson partì e lo colpì sul volto.

Incespicò, scivolando sulla piattaforma.

Con calma, Anderson gli si avvicinò. Le sue mani enormi sparirono sotto le ascelle di Johanson e lo sollevarono. Johanson cercò d'infilare le dita sotto quelle di Anderson, per liberarsi dalla presa, ma era come se fosse rinchiuso in una gabbia di cemento. I suoi piedi si staccarono dalla passerella. Agitava selvaggiamente le gambe mentre Anderson lo portava verso il bordo, dove Vanderbilt li aspettava, guardando in basso con aria sprezzante.

«Moto ondoso di merda», borbottò il dirigente della CIA. «Spero che non abbia niente in contrario se la buttiamo giù, dottor Johanson. Dovrà nuotare un po'.» Girò la testa e digrignò i denti. «Ma non tema, non sarà per molto. La temperatura dell'acqua è al massimo di due gradi. Troverà addirittura piacevole il modo in cui tutto diventerà tranquillo, come perderà la sensibilità, come rallenterà il battito cardiaco…»

Johanson iniziò a gridare. «Aiuto!» strillava con tutte le sue forze. «Aiuto!»

I suoi piedi ormai sporgevano oltre il bordo. Sotto di lui c'era la rete. Usciva per meno di due metri. Non abbastanza. Anderson l'avrebbe gettato oltre senza la minima fatica.

«Aiuto!»

E, con sua enorme sorpresa, l'aiuto arrivò.

Prima sentì Anderson che ansimava. Poi avvertì di nuovo la piattaforma sotto di sé. Infine il cielo si rovesciò. Anderson era caduto sulla schiena, trascinandolo con sé. Per qualche istante le mani dell'uomo lo strinsero ancora, poi si sciolsero. Johanson rotolò di lato, strisciò via e poi balzò in piedi.

«Leon!» esclamò.

La scena davanti ai suoi occhi era grottesca. Anderson cercava di rialzarsi, imprecando. Anawak, da dietro, si era aggrappato alla sua giacca e i due erano finiti a terra. E adesso Anawak stava cercando di strisciare via da sotto l'uomo caduto, ma senza lasciarlo: un'impresa impossibile.

Johanson fece per muoversi.

«Fermo!» Vanderbilt gli sbarrò la strada. Nella sua mano era apparsa una pistola. Lentamente girò intorno ai due uomini a terra finché non arrivò con la schiena rivolta all'ingresso della piattaforma. «Bel tentativo», disse. «Ma ora basta. Dottor Anawak, sarebbe così gentile da permettere a Mister Anderson di rialzarsi? Sta solo facendo il suo dovere.»

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