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«Senza dubbio principale.»

«Era quello che mi aspettavo. Corrisponde alla prospettiva umana. Se molti rami di una famiglia di animali si dividono e uno sopravvive, mentre tutti gli altri muoiono, noi definiamo i sopravvissuti come ramo principale. Perché? Solo perché sono ancora vivi? Ma forse quella che vediamo è solo una linea secondaria che riesce a sopravvivere un po' più delle altre. Noi uomini siamo l'unica specie sopravvissuta di un ceppo evolutivo originariamente molto rigoglioso. Ciò che resta di uno sviluppo che ha seccato gli altri rami, l'ultimo sopravvissuto di un esperimento chiamato Homo. Homo australopithecus: estinto. Homo habilis: estinto. Homo sapiens neanderthalensis: estinto. Homo sapiens sapiens: c'è ancora. Per il momento, abbiamo noi il dominio del pianeta, ma attenzione! I parvenu dell'evoluzione non devono confondere il dominio con la superiorità intrinseca e la sopravvivenza a lunga scadenza. Potremmo sparire molto più velocemente di quanto ci piaccia pensare.»

«Probabilmente ha ragione», disse Peak. «Ma ha dimenticato un fattore decisivo. Questa specie sopravvissuta è anche l'unica specie ad avere una coscienza altamente sviluppata.»

«D'accordo. Però mi faccia la cortesia di osservare l'evoluzione nel panorama complessivo della natura. Quello che vede è davvero uno sviluppo o un trend eccezionale? L'ottanta per cento degli organismi pluricellulari vanta un successo evolutivo di gran lunga migliore di quello umano, senza che questo presunto trend li abbia portati alla formazione di un'elevata complessità nervosa. Tutto il nostro corredo di spirito e coscienza è un progresso esclusivamente in rapporto alla nostra soggettiva visione del mondo. Finora, questa bizzarra, inverosimile apparizione marginale di nome 'uomo' ha portato all'ecosistema Terra solo una cosa: una valanga di guai.»

«Sono sempre convinto che vi siano dietro degli uomini», stava dicendo Vanderbilt al tavolo vicino. «Ma va bene, mi lascio convincere. Se non ci sono alternative, c'impegneremo al massimo per capire questi yrr. Metteremo quella disgustosa robaccia sotto l'osservazione della CIA finché non sapremo cosa pensa e cosa progetta.»

Era con Alicia Delaware e Leon Anawak. Intorno a loro, c'erano soldati e membri dell'equipaggio.

«Se lo scordi», sbottò Alicia. «Non otterrà niente con la CIA.»

«Puah!» disse Vanderbilt ridendo. «Se sei paziente, riesci a infilarti in ogni testa. Anche se è quella di un maledetto unicellulare. È solo questione di tempo.»

«No, è questione di obiettività», disse Anawak. «Cosa le fa pensare di essere in grado di assumere il ruolo di un osservatore obiettivo?»

«Possiamo, eccome. È per questo che siamo intelligenti e civilizzati.»

«Lei sarà anche intelligente, ma non è in grado di percepire obiettivamente la natura.»

«Per essere precisi, è soggettivo e privo di libertà come un animale», aggiunse Alicia.

«A che animale stavate pensando?» ridacchiò Vanderbilt. «A un tricheco?»

Anawak sorrise. «Dico sul serio. Siamo sempre più vicini alla natura di quanto crediamo.»

«Io no. Io sono cresciuto in una grande città. Non sono mai stato in campagna. E neppure mio padre.»

«Non importa», disse Alicia. «Le faccio un esempio: i serpenti. Sono temuti e nel contempo adorati. Oppure gli squali… C'è una gran quantità di divinità squalo. Questo legame emotivo con le altre forme di vita è innato nell'uomo, forse addirittura determinato geneticamente.»

«Voi parlate di uomini primitivi. Io parlo di uomini che vivono nelle metropoli.»

«Okay.» Anawak rifletté per un attimo. «Ha una fobia, o qualcosa che possa essere definito come tale?»

«Be', sì, non esattamente una fobia…» cominciò Vanderbilt.

«Una repulsione?»

«Sì.»

«Per che cosa?»

«Oddio, non è così originale. Probabilmente ce l'hanno tutti. Per i ragni. Le odio quelle bestie.»

«Perché?»

«Perché…» Vanderbilt scrollò le spalle. «Sono disgustosi. Non trova anche lei che siano disgustosi?»

«No, ma il punto non è questo. Il punto è che, nel nostro mondo civilizzato, la causa principale delle fobie è data dai pericoli che correvamo prima di vivere nelle città. Sviluppiamo fobie verso le pareti di roccia che incombono su di noi, per i temporali, le acque impetuose, per la superficie dell'acqua impenetrabile allo sguardo, per i serpenti, per i cani e per i ragni. Perché non verso i cavi elettrici, i revolver, i coltelli a serramanico, le auto, gli esplosivi e le prese di corrente che, nel complesso, sono molto più pericolosi? Perché nel nostro cervello è impressa una regola: devi stare all'erta di fronte a oggetti a forma di serpente e a esseri con molte zampe.»

«Il cervello umano si è sviluppato in un ambiente naturale, non meccanico», aggiunse Alicia. «La nostra evoluzione spirituale si è svolta nel corso di oltre due milioni di anni in strettissimo rapporto con la natura. Forse le regole di sopravvivenza di quell'epoca si sono addirittura impresse nei geni… In ogni caso, un minuscolo frammento della nostra storia evolutiva è passato nella nostra cosiddetta civiltà. Crede davvero che tutte le informazioni arcaiche presenti nel suo cervello siano sparite solo perché suo padre e suo nonno hanno sempre vissuto in città? Perché abbiamo paura dei piccoli animali che strisciano nell'erba, perché prova disgusto per i ragni? Perché, nel corso della nostra evoluzione, quella paura ha permesso di sopravvivere. Perché gli uomini, che sono più paurosi di tutti gli altri, sono raramente in pericolo e possono generare più discendenti. È così. Ho ragione, Jack?»

Lo sguardo di Vanderbilt si spostava da Alicia ad Anawak. «E tutto questo che c'entra con gli yrr?» chiese.

«C'entra perché forse somigliano ai ragni», rispose Anawak.

«Ah! Allora non venga a parlarci di obiettività. Finché proveremo ripugnanza per gli yrr — qualunque aspetto abbiano, che siano gelatina, unicellulari o granchi velenosi — non scopriremo nulla sul loro modo di pensare, semplicemente perché non potremo farlo. Saremo unicamente interessati a distruggere le altre specie, in modo che non striscino nelle nostre caverne e non si prendano i nostri bambini.»

Un po' in disparte, nell'oscurità, sedeva Johanson. Stava cercando di ricordare i dettagli della notte precedente, quando arrivò Judith Li e gli porse un bicchiere di vino rosso.

«Pensavo che ci fossero solo analcolici», si meravigliò Johanson.

«Certo», annuì lei, toccando il bicchiere di Johanson col suo. «Ma non siamo così rigidi. Inoltre sono molto attenta alle preferenze dei miei ospiti.»

Johanson sorseggiò il vino. Era davvero buono. «Che tipo di persona è lei, generale Li?» chiese.

«Mi chiami pure Jude. Lo fanno tutti quelli che non devono stare sull'attenti davanti a me.»

«Non riesco a capirla, Jude.»

«Dove sarebbe il problema?»

«Non mi fido di lei.»

Judith sorrise divertita e bevve. «È reciproco, Sigur. Cos'è successo ieri notte? Vuole davvero farmi credere che non ricorda niente?»

«In effetti non ricordo proprio niente.»

«Che ci faceva sul ponte dell'hangar a un'ora così tarda?»

«Volevo rilassarmi.»

«Si era già rilassato con Sue.»

«Sì, quando si lavora molto, di tanto in tanto bisogna farlo.»

«Hmm.» Judith lo oltrepassò con lo sguardo e fissò il mare. «Ricorda di cosa avete parlato?»

«Del nostro lavoro.»

«Di nient'altro?»

Johanson la guardò «Cosa vuole davvero, Jude?»

«Risolvere questa crisi. E lei?»

«Non so se lo voglio nello stesso modo in cui lo vuole lei», rispose Johanson dopo una breve esitazione. «Che cosa resterà, una volta che questa crisi sarà risolta?»

«Resteranno i nostri valori. I valori della nostra società.»

«Intende la società umana? O quella americana?»

Lei girò la testa verso di lui. Gli occhi azzurri sembravano risplendere nel bel viso asiatico. «C'è differenza?»

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