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«Bene, gente», barrì Frost, mentre prendeva posto fra i tecnici. «Che il Signore ci aiuti. Se qui funziona tutto, poi ci dedicheremo alle Hawaii. Ieri è sceso un robot e, sul versante sudorientale, ha scoperto vermi in quantità mostruosa. Saranno attaccate in maniera mirata anche altre isole vulcaniche, almeno questo è ciò che penso. Ma il male non avrà scampo! Lo spazzeremo via col nostro aspiratore. Ripuliremo il mondo da tutta quella robaccia!»

«Buona idea», disse Bohrmann sottovoce. «Qui abbiamo una zona facile da gestire. Forse vorresti ripulire con quest'unico aspiratore tutta la scarpata continentale americana?»

«Sciocchezze!» Frost lo guardò, stupito. «L'ho detto soltanto per motivare gli uomini.»

Bohrmann sollevò le sopracciglia e guardò i monitor. Sperava davvero che quella faccenda funzionasse. Anche se fossero riusciti a spazzare via i vermi, restava sempre aperta la questione di quante colonie di batteri si fossero insediate nel ghiaccio. In segreto, era tormentato dalla preoccupazione che ormai fosse troppo tardi per impedire il crollo del Cumbre Vieja. Di notte, sognava una gigantesca cattedrale d'acqua che si levava fino alle nuvole e sfrecciava sull'oceano verso di lui, e ogni volta si svegliava bagnato di sudore. Tuttavia Bohrmann faceva anche esercizi di ottimismo. Ce l'avrebbero fatta. E forse sull'Independence sarebbero riusciti a far arretrare l'entità sconosciuta. Se gli yrr erano in grado di provocare la frana di un'intera scarpata continentale, forse sarebbero anche stati in grado di porre rimedio al disastro.

Frost tenne un altro infuocato discorso contro tutti i nemici dell'umanità e si sperticò in lodi nei confronti del team della De Beer. Poi diede il segnale di calare l'aspiratore e l'isola luminosa.

L'isola luminosa era una struttura gigantesca, composta da potenti proiettori ad ampio fascio luminoso e ripiegata su se stessa. Al momento, dato che era appesa al braccio della gru, formava un compatto fascio di stanghe e puntoni, lungo dieci metri e pieno di luci e telecamere. Venne abbassata e scomparve in mare. Era collegata all'Heerema con cavi a fibra ottica. Dopo dieci minuti, Frost guardò l'indicatore del batimetro e disse: «Stop».

Van Maarten trasmise l'ordine ai piloti. «Aprire», aggiunse. «Prima solo metà della superficie. Se non urtiamo da nessuna parte, aprirla completamente.»

A quattrocento metri di profondità, avvenne un'elegante metamorfosi. Il fascio si dispiegò in una costruzione sottile. Se il telaio non avesse trovato resistenza, l'isola avrebbe continuato ad aprirsi. E così fu: il risultato fu una sorta di grata dalle dimensioni di mezzo campo da calcio.

«Pronto a entrare in azione», comunicò il pilota.

Frost gettò un'occhiata agli strumenti. «Dovremmo essere vicinissimi alla parete.»

«Luci e telecamere», ordinò van Maarten.

Sulla costruzione si accesero file e file di lampade alogene. Contemporaneamente le otto telecamere iniziarono il loro lavoro. Sui monitor apparve un panorama torbido. Il plancton galleggiava in mezzo all'immagine.

«Più vicino», disse van Maarten.

I riflettori si spostarono in avanti, mossi da piccole eliche orientabili. Dopo qualche minuto, dall'oscurità uscì una struttura frastagliata: una parete di lava nera dalla forma bizzarra.

«Più in basso.»

L'isola si abbassò. Il pilota la guidava con estrema cautela. Il sonar rivelò la presenza di una sporgenza a forma di terrazza. D'un tratto, vicinissimo, apparve un ampio crinale, letteralmente tappezzato di corpicini formicolanti. Bohrmann fissò gli otto monitor e sentì crescere lo scoramento. Stava incontrando nuovamente l'incubo che lo aveva accompagnato fin dal collasso della scarpata continentale norvegese. Se tutto era come nei quaranta metri che gli elementi luminosi riuscivano a strappare all'oscurità, allora potevano anche lasciare perdere.

«Schifosi, piccoli, sudici vermi», ringhiò Frost.

Siamo arrivati troppo tardi, pensò Bohrmann.

Poi si vergognò della propria paura. Non era detto che i vermi avessero già depositato il loro carico di batteri e soprattutto c'era la possibilità che tale carico non fosse sufficiente. Inoltre c'era ancora quel misterioso fattore che aveva dato il colpo definitivo per lo smottamento. Non era troppo tardi. Ma dovevano fare molto in fretta.

«Va bene», disse Frost. «Pieghiamo l'isola di quarantacinque gradi e solleviamola un po', per vedere meglio. E poi giù con l'aspiratore. Spero che abbia un buon appetito.»

«Ha una fame terribile», sibilò van Maarten.

Completamente srotolata, la proboscide raggiungeva il mezzo chilometro di profondità. Era un mostro di tre metri di diametro, segmentato, isolato col caucciù, che terminava con un'apertura simile a un'enorme bocca, intorno alla quale c'erano proiettori, telecamere ed eliche orientabili. Col comando a distanza, la fine della proboscide poteva essere spostata in alto e in basso, avanti, indietro e di fianco. Nella cabina del pilota arrivavano le immagini delle telecamere dell'isola luminosa e dell'aspiratore, offrendo sia totali sia dettagli. Nonostante la buona visuale, il successo del lavoro dipendeva dalla sensibilità delle dita sul joystick e da un attento copilota, pronto a segnalare qualsiasi cosa fosse sfuggita all'uomo che manovrava.

Per un lungo tratto, la proboscide scese in un'oscurità impenetrabile. I proiettori restarono spenti. Poi l'isola luminosa entrò nel campo visivo. Prima fu solo un vago bagliore nelle tenebre degli abissi marini, poi cominciò a splendere, prese la sua forma rettangolare e infine rivelò il pendio. Era così grande che a Bohrmann ricordava una stazione spaziale. Il tubo continuò a scendere, avvicinandosi ai vermi, finché la loro immagine non riempì completamente i monitor. Ogni minimo particolare dei corpi pelosi era visibile. Scivolavano l'uno sull'altro e s'intrecciavano, con la mandibola estroflessa che sminuzzava il ghiaccio.

Nella sala di controllo era calato un silenzio assoluto.

«Fantastico», sussurrò van Maarten.

«La donna delle pulizie non dovrebbe essere affascinata dalla polvere che c'è in casa.» Con aria truce, Frost scosse il capo. «Si decida a mettere in funzione il suo aspirapolvere e spazzi via quell'orda.»

La proboscide era in realtà una pompa d'aspirazione, che creava una depressione e trascinava dentro di sé tutto ciò che capitava davanti alle sue fauci. Quando si mise in funzione, in realtà non accadde nulla. Evidentemente la pompa aveva bisogno di un po' di tempo per entrare in azione. Bohrmann almeno sperava che fosse così. Nel frattempo i vermi continuavano indisturbati la loro attività distruttrice. Sulla sala di controllo calò un velo di delusione. Nessuno aprì bocca, ma lo stato d'animo di tutti era evidente. Angosciato, Bohrmann fissò i due monitor delle telecamere della proboscide.

Da che cosa dipendeva? La costruzione era troppo lunga? La pompa non era sufficientemente potente?

Mentre stava ancora rimuginando, qualcosa sui monitor cambiò. Pareva che i vermi fossero trascinati via. La parte posteriore dei loro corpi si sollevava, si mettevano verticali, tremavano…

Improvvisamente sfrecciarono davanti alla telecamera.

«Funziona!» Bohrmann sollevò i pugni. Contrariamente alle sue abitudini, aveva lanciato un grido. Avrebbe voluto mettersi a ballare e, perché no?, fare qualche capriola.

«Alleluia!» Frost annuiva freneticamente. «È un giocattolo magnifico! Oh, Signore, permettici di ripulire il mondo dal male!» Si tolse il berretto da baseball, si passò la mano sui capelli e poi lo rimise sulla testa. «E con questo li facciamo fuori!»

Seguirono molti altri vermi, aspirati così velocemente e in tale quantità che sugli schermi si vedevano solo superfici indistinte. Anche le telecamere dell'isola luminosa mostravano quello che avveniva sotto l'imboccatura dell'aspiratore. Vennero aspirati anche dei sedimenti, che si sollevavano in vortici.

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