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Per un istante aveva pensato di essere il primo ad accettare quell'invito e buttarsi in mare.

Invece era diventato un abitante del Canada occidentale. I suoi genitori adottivi si erano infatti stabiliti a Vancouver. Erano gentili e l'avevano sempre sostenuto, ma, tra loro, non c'era mai stata una vera intimità. Una coppia che stava insieme per convenienza, insomma. Quando Leon aveva compiuto ventiquattro anni, si erano trasferiti ad Anchorage, in Alaska. Una volta all'anno gli spedivano una cartolina, cui lui rispondeva con poche frasi convenzionali. Non era mai andato a trovarli e non sembrava neppure che loro se lo aspettassero. Anzi, se fosse andato ad Anchorage, forse se ne sarebbero meravigliati. E non si poteva neppure sostenere che erano diventati come estranei, perché, semplicemente, non erano mai stati vicini.

Quella non era la sua famiglia.

La proposta di Akesuk aveva risvegliato in Anawak nuovi ricordi. Le lunghe serate accanto al fuoco, per esempio, durante le quali c'era sempre qualcuno che raccontava una storia e tutto il mondo sembrava animarsi. Quand'era piccolo, naturalmente, c'erano la regina delle nevi e il re degli orsi. Aveva sentito di donne e uomini che erano venuti al mondo negli igloo e aveva immaginato che, una volta cresciuto, si sarebbe spostato sul ghiaccio in armonia con se stesso e col mito dell'Artico. Dormire se si è stanchi. Lavorare e andare a caccia se il clima lo permette o semplicemente quando se ne ha voglia. Mangiare se lo stomaco brontola e non durante la pausa di mezzogiorno. Succedeva che la caccia durasse svariati giorni, benché si fosse partiti con l'intenzione di star via solo per poco. Talvolta ci si preparava e poi la caccia non aveva luogo. Ai qallunaat, quell'apparente disorganizzazione degli inuit era sempre sembrata sospetta. I qallunaat non capivano come si potesse vivere senza pianificare il tempo e valutare le prestazioni. I qallunaat si costruivano un mondo al di fuori del mondo. Sostituivano il corso naturale delle cose con un ordine artificiale e tutto ciò che non rientrava nel loro modo di pensare veniva ignorato o estirpato.

Anawak pensò allo Château e al lavoro che cercavano di fare laggiù. Penso a Jack Vanderbilt. A come il vicedirettore della CIA si aggrappasse testardamente all'idea che gli avvenimenti degli ultimi mesi dovessero essere ricondotti a piani e atti umani. Chi voleva comprendere gli inuit, doveva staccarsi dalla psicosi del controllo tipica della società civile.

Almeno, però, si aveva a che fare con esseri umani, mentre l'entità sconosciuta che si nascondeva dietro gli avvenimenti che stavano studiando non possedeva nulla di umano. Anawak si era convinto che Johanson aveva ragione. Continuando a seguire l'ordine e i valori umani, c'era il rischio di perdere quella guerra. Individui come Vanderbilt l'avrebbero persa, perché incapaci di comprendere che esistevano diversi modi di pensare. Probabilmente l'uomo della CIA era addirittura consapevole di quella sua inadeguatezza, ma sarebbe stato incapace di forzare la propria natura di membro della compagine civile per percorrere la strada della comprensione di una specie addirittura non umana.

In un delfino non c'era nulla da comprendere. E allora, che c'era da capire in una specie che Johanson, con un tocco dadaista, aveva definito yrr?

Improvvisamente Anawak comprese che non avrebbero potuto svolgere il loro compito finché non avessero formato la squadra giusta.

Mancava qualcuno. E lui sapeva chi.

Mentre Akesuk preparava il necessario per la partenza, Anawak, nel Polar Lodge, cercava di mettersi in contatto con lo Château. Dopo qualche minuto, lo deviarono su una linea a prova d'intercettazione e lo collegarono con diversi telefoni, l'uno dopo l'altro. Judith Li non era nell'hotel, si trovava a bordo di un incrociatore della Marina al largo di Seattle. Dovette attendere quindici minuti prima di averla in linea.

Le chiese se poteva restare ancora due o tre giorni e lei, dopo aver sentito che doveva occuparsi dei parenti, gli rispose che poteva fermarsi quanto voleva. Benché non si sentisse a posto con la coscienza, Anawak si convinse che probabilmente la salvezza del mondo non dipendeva dalla sua assenza di tre giorni. Inoltre rimaneva comunque a disposizione. E la sua testa continuava a lavorare, anche se si trovava nell'estremo nord.

Judith Li gli comunicò che gli attacchi col sonar alle balene erano proseguiti. «So che non le piace, ma…»

«Funzionano?» chiese Anawak.

«Siamo in procinto di sospendere gli esperimenti, perché non raggiungono gli effetti desiderati. Però dobbiamo tentare tutto. Più a lungo teniamo alla larga le balene, maggiore è la possibilità di mandare sott'acqua sommozzatori ed equipaggiamenti.»

«Vuole aumentare le possibilità? Allora allarghi il team.»

«Con chi?»

«Con tre persone.» Fece una pausa, poi decise di passare all'offensiva: «Abbiamo bisogno di più collaboratori che si occupino di fare ricerche sul comportamento e sull'intelligenza. E io ho bisogno di qualcuno che mi assista e di cui mi possa fidare. Voglio che sia convocata Alicia Delaware. È una studentessa che si occupa di ricerche sull'intelligenza. D'estate, risiede a Tofino».

«Va bene», replicò Judith Li con sorprendente velocità. «Il secondo?»

«Vive a Ucluelet e, se consulta i dossier del programma MK0, lo troverà sotto il nome di Jack O'Bannon. Sa come comportarsi coi mammiferi marini. E sa pure altre cose che ci potrebbero essere utili.»

«È un accademico?»

«No, è un ex addestratore dalla Marina. Ha partecipato all'US Navy's Marine Mammal System.»

«Capisco, ma dovremo discuterne», disse Judith Li. «Abbiamo tutta una serie di esperti in questo settore. Perché vuole proprio lui?»

«Voglio lui e basta.»

«E la terza persona?»

«È la più importante. In un certo senso, abbiamo a che fare con degli alieni. Ci sarà bisogno di qualcuno che abbia ragionato esclusivamente sul problema di come comunicare con intelligenze non umane. Prenda contatto con la dottoressa Samantha Crowe. Dirige il progetto SETI ad Arecibo.»

Judith Li sorrise. «Lei è un ragazzo intelligente, Leon. Avevamo già intenzione di coinvolgere qualcuno del SETI. Conosce la dottoressa Crowe?»

«Sì. È a posto.»

«Bene.»

«Soddisferà le mie richieste?»

«Vedrò che cosa posso fare.» In sottofondo qualcuno la chiamò. «Stia bene, Leon. E torni da noi sano e salvo. Ora devo tornare al fronte.»

L'aereo a turboelica Hawker Siddeley non si portò subito a nord, ma volò per un tratto in direzione est. Akesuk aveva convinto il pilota a fare quella piccola deviazione in modo che Anawak potesse ammirare la Great Plain of the Koukdjuak, una riserva naturale piena di stagni rotondi, in cui viveva la più grande colonia di oche del mondo. Sull'aereo c'erano altri passeggeri provenienti da Cape Dorset e Iqaluit, e tutti stavano andando a Pond Inlet. La maggior parte conosceva il panorama e pensava ai fatti propri, senza neanche sbirciare dal finestrino.

Anawak, invece, non si stancava più di guardare.

Per lui era come svegliarsi da un sonno durato anni.

Per un po' volarono lungo la costa e attraversarono il Circolo Polare. Dal punto di vista geografico, l'Artico iniziava lì. Sotto di loro, si stendeva il paesaggio ghiacciato del bacino di Foxe, coi suoi crepacci di ghiaccio grandi e piccoli, interrotti da superfici d'acqua. Dopo un breve tratto, tornarono a sorvolare la terra, frastagliata e con pareti montuose scoscese e falesie verticali. La neve brillava sul fondo di gole profonde e ombreggiate. Nei laghi ghiacciati si riversavano i rigagnoli dell'acqua del disgelo. Nella luce del sole basso, il paesaggio diventava sempre più splendido. Montagne scure si alternavano a valli innevate; davanti a loro si allungavano catene montuose coperte quasi per intero da manti di neve. Poi, repentinamente, l'aereo passò su una linea di costa azzurrognola, interrotta da macchie bianche, e apparve l'Eclipse Sound.

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