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«Strano…» mormorò Karen. «Qualcosa di simile si prova da ubriachi. Quando sei talmente pieno che qualsiasi posizione ti fa stare male, non importa come ti giri, se stai sulla schiena o sulla pancia.» S'interruppe. «Scusa. Ho detto una stupidaggine.»

«No, per niente! Hai ragione. Stai meglio solo dopo aver vomitato. Mi sento esattamente così. Probabilmente devo proprio vomitare, ma non so come.» Fece scorrere le mani sul bordo del bicchiere. La musica continuava, incessante.

«Avevi un buon rapporto con tuo padre?»

«Non avevo il minimo rapporto con lui.»

«Davvero?» Karen aggrottò la fronte. «Ma è possibile? È possibile non avere il minimo rapporto con una persona che si conosce?»

Anawak si strinse nelle spalle. «E tu?» chiese. «Cosa fanno i tuoi genitori?»

«Sono morti.»

«Oh. Mi dispiace.»

«Non preoccuparti, non c'è niente di strano. È successo quando avevo dieci anni. Un incidente durante un'immersione, in Australia. Io ero rimasta all'hotel. Sono morti per una corrente profonda molto violenta. Sai come sono quelle correnti: prima è tutto tranquillo, poi, improvvisamente vieni afferrato e trascinato in mare aperto. Loro erano cauti ed esperti, ma…» Scrollò le spalle. «Il mare cambia sempre.»

«Li hanno trovati?» chiese Anawak sottovoce.

«No.»

«E tu? Come te la sei cavata?»

«Per qualche tempo è stata molto dura. Avevo avuto un'infanzia splendida, sai com'è. I miei genitori erano insegnanti e affascinati dall'acqua. Abbiamo fatto di tutto: vela alle Maldive, immersioni nel mar Rosso, nelle grotte dello Yucatan… Ci siamo immersi anche in Scozia e in Islanda. Naturalmente, quand'ero con loro, restavano vicini alla superficie e, se le immersioni erano pericolose, non mi portavano. E durante una di quelle più pericolose sono morti.» Sorrise. «Ma, come vedi, me la sono cavata.»

«Sì.» Ricambiò il suo sorriso. «Non si può non notare.»

Era un sorriso triste, disperato. Per un po', Anawak si limitò a guardarla. Poi scese dallo sgabello. «Dovrei cercare di dormire. Domani c'è il funerale.» Esitò. «Allora, buonanotte e… grazie.»

«E di che? Buonanotte.»

Karen rimase seduta davanti al suo Baileys bevuto per metà e ripensò ai suoi genitori, al giorno in cui la direttrice le aveva detto che doveva essere molto coraggiosa. Una ragazzina coraggiosa. Piccola, forte Karen.

Fece ondeggiare il liquore nel bicchiere.

Non aveva raccontato ad Anawak fino a che punto era stata dura. La nonna l'aveva presa con sé, una bambina scossa e impaurita che aveva trasformato il suo dolore in rabbia, al punto che l'anziana donna non sapeva mai cosa fare. I suoi risultati a scuola erano rapidamente peggiorati e lo stesso si poteva dire del resto della sua vita. Non aveva raccontato ad Anawak delle continue fughe, della prima canna e delle droghe che aveva preso quando viveva per strada. Era sempre completamente ubriaca o sballata e andava a letto con chiunque fosse disponibile, e nessuno si tirava indietro. Poi i piccoli furti, l'espulsione dalla scuola, un aborto clandestino, le droghe pesanti, i furti nelle auto, i servizi sociali. Sei mesi in un istituto di correzione. Il corpo pieno di piercing. La testa rasata e cicatrici ovunque. L'anima e il corpo ridotti a un campo di battaglia.

Però l'incidente non aveva spezzato il suo amore per il mare, al contrario. Il mare esercitava su di lei un fascino oscuro, sembrava quasi chiamarla, invitarla ad andare sul fondo, dove la aspettavano i suoi genitori. Il mare la affascinava a tal punto che, una notte, era andata in autostop a Brighton e aveva nuotato fino al largo. Quando l'acqua, liscia come l'olio, nera, illuminata solo dalla luna, aveva come inghiottito le luci della località balneare, si era lasciata sprofondare lentamente sotto la superficie, provando ad annegare.

Ma non era così facile.

Era rimasta sospesa nell'oscurità, trattenendo il fiato e contando i battiti del cuore finché non le erano rimbombati nelle orecchie. E invece, anziché prendersi la sua forza vitale, il mare le aveva dimostrato quanta ne possedeva: quel cuore così forte… Eppure lei voleva assolutamente abbandonarsi al suo freddo abbraccio. Di colpo era arrivato l'istinto di respirare, che l'avrebbe costretta a prendere acqua nei polmoni. Suo padre le aveva parlato spesso di quel fenomeno. Nei polmoni si sarebbe formata della schiuma, la rete di alveoli si sarebbe sgonfiata a poco a poco e infine l'acuta mancanza di ossigeno l'avrebbe condotta alla morte. Due minuti per arrivare ai crampi del diaframma, che avrebbero reso impossibile il respiro. In cinque minuti, il cuore si sarebbe fermato.

Era schizzata verso l'alto, riemersa dall'incubo cominciato quando lei aveva dieci anni. Di anni ne aveva ormai sedici. L'equipaggio di un cutter, che passava lì vicino, l'aveva tirata fuori dall'acqua e portata in ospedale con una grave ipotermia. Lì, Karen aveva avuto tempo sufficiente per trasformare il coraggio e la disperazione in un progetto. Dopo essere stata dimessa, si era osservata per un'ora allo specchio, concludendo che non voleva più vedersi così. Si era tolta i piercing e aveva deciso di non rasarsi più i capelli. Poi aveva fatto dieci flessioni ed era crollata.

Una settimana dopo, era riuscita a farne venti.

Si era impegnata al massimo per recuperare quello che aveva perso. La scuola l'aveva riammessa, a condizione che si sottoponesse a una terapia, e lei aveva acconsentito. Si era dimostrata volenterosa e disciplinata. Era premurosa e gentile. Leggeva tutto quello che le capitava tra le mani, soprattutto sull'ecosistema della Terra e sugli oceani. Non passava giorno senza che si allenasse. Da quando il mare l'aveva liberata, lei correva, nuotava, faceva boxe e si arrampicava per cancellare anche le ultime tracce del tempo perduto. Alla fine, la ragazza magra e con gli occhi incavati era sparita: il suo corpo ricordava quello di una statua greca. A diciannove anni, con un anno di ritardo, si era diplomata brillantemente e si era iscritta a Biologia.

Karen era diventata una persona nuova.

Con una vecchia nostalgia.

Per comprendere meglio il mondo e come funzionava, si era occupata anche d'informatica. La rappresentazione di relazioni complesse attraverso il computer la entusiasmava, e non si era data pace finché non era riuscita a rappresentare virtualmente i movimenti dell'oceano e dell'atmosfera. Il suo primo lavoro era stato un ampio quadro delle correnti marine, una cosa che non avrebbe portato nulla di nuovo al sapere universale, ma che rivelò grande lucidità e rigore logico. Era un omaggio a due persone che lei aveva amato e che aveva perso troppo presto. Quando Karen metteva la testa sott'acqua e faceva ricerche, restituiva qualcosa di quello che aveva ricevuto in abbondanza: amore e sapere. Aveva fondato una società di pubbliche relazioni, la Deepbluesea; scriveva per Science e per il National Geographic; teneva rubriche su periodici di divulgazione scientifica. In tal modo, era riuscita ad attirare l'attenzione di vari istituti, che l'avevano invitata a partecipare a varie spedizioni, perché avevano bisogno di una voce che desse forma alle loro idee. Con il MIR avera raggiunto il Titanic; l'Alvin l'aveva portata ai camini idrotermali della dorsale abissale atlantica; la Polarstern le aveva permesso di svernare nell'Artico. Lei c'era sempre e faceva sempre del suo meglio, perché, dopo quella notte, non conosceva più la paura. Niente e nessuno le faceva più paura.

Tranne l'essere sola. Ogni tanto.

Si guardò nello specchio del bar: era bagnata e avvolta nell'accappatoio di spugna. Aveva un'aria perplessa.

Bevve in fretta il Baileys e andò a letto.

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