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E invece sarebbe finita, e pure in fretta. La quantità di pescato e le estrazioni di petrolio erano diminuite in tutto il mondo. Quello che si era formato in milioni di anni sarebbe scomparso in meno di quarant'anni. Molti giacimenti nel mare dello zoccolo continentale erano pressoché esauriti. Cominciava a delinearsi il fantasma di un gigantesco deposito di rottami: non si sapeva che cosa fare delle piattaforme abbandonate, perché nessuna forza al mondo sarebbe stata in grado di smuoverle. Solo una via di salvezza sembrava ancora aperta: al di là dello zoccolo continentale, sulla scarpata continentale e negli estesi bacini abissali, si trovavano giacimenti inviolati. Tuttavia le piattaforme tradizionali non erano adatte a sfruttarle, così Tina e il suo gruppo stavano progettando impianti di altro tipo. Non sempre la scarpata era ripida, infatti c'erano punti in cui digradava in terrazze che offrivano un terreno ideale per stazioni sottomarine. Ciò nonostante, a causa dei rischi legati a un progetto che prevedeva una simile distanza dal margine continentale, bisognava prevedere una forza lavoro ridotta al minimo. In fondo, con la diminuzione della quantità di estratto, aveva subito una battuta d'arresto anche la fortuna dei lavoratori petroliferi che, nel corso degli anni '70 e '80, erano stati assai richiesti e ben retribuiti. Per la Gullfaks C, per esempio, si progettava una riduzione del personale fino a due dozzine di unità. E c'erano piattaforme come quella chiamata «L'uomo sulla luna», un impianto nel canale norvegese, che ormai funzionavano quasi completamente in automatico.

Alla fine gli affari petroliferi del mare del Nord erano diventati deficitari. Ma interromperli avrebbe comportato problemi ancora più gravi.

Quando Johanson uscì dalla sua cabina, a bordo della Thorvaldson regnava un'atmosfera tranquilla. La nave non era particolarmente grande. Un gigante delle ricerche come la Polarstern, del porto di Brema, avrebbe permesso anche l'atterraggio di un elicottero, ma la Thorvaldson aveva bisogno di spazio per le attrezzature e così Sigur e Tina l'avevano raggiunta via mare. Johanson andò verso il parapetto e guardò fuori. Nelle due ore precedenti, si erano lasciati alle spalle tutto l'insediamento di piattaforme, le cui isole erano collegate da trasporti aerei. Ormai si trovavano oltre le isole Shetland, al di là del margine continentale e, così al largo, non c'erano più costruzioni. Si riconoscevano in lontananza i profili delle isolate torri di perforazione, ma non si aveva più l'impressione di essere in una sovraffollata zona industriale. Sotto la nave, poi, si stendevano approssimativamente settecento metri d'acqua. La scarpata continentale era misurata e cartografata, ma si aveva solo una vaga idea della zona delle tenebre eterne. Grazie alla luce di potenti proiettori, era stato possibile osservarne alcuni settori, però il quadro generale ancora mancava. Era come se in tutta la Norvegia, la notte, fosse stato acceso un unico lampione.

Johanson pensò al suo Bordeaux e alla piccola «collezione» di formaggi francesi e italiani che aveva in valigia. Si mise alla ricerca di Tina e la trovò impegnata nelle operazioni di controllo del robot. L'automa era appeso al braccio della gru: era un aggeggio rettangolare con un telaio di tubi, alto almeno tre metri e tecnologicamente all'avanguardia. Sulla parte superiore, chiusa, c'era scritto il nome: Victor. Nella parte anteriore, Johanson vide una telecamera e un braccio prensile ritratto.

Tina lo guardò, raggiante. «Impressionato?»

Johanson girò intorno a Victor. «Un grande aspirapolvere giallo», commentò.

«Sei un disfattista.»

«Va bene, ne sono affascinato. Quanto pesa questo affare?» chiese Johanson.

«Quattro tonnellate. Ehi, Jean!»

Un uomo magro, coi capelli rossi, sbucò da dietro un groviglio di cavi. Tina gli fece un cenno. «Jean-Jacques Alban è il primo ufficiale di questo rottame galleggiante. Senti, Jean, devo sistemare ancora alcune cose. Ma Sigur è spaventosamente curioso e vuole sapere tutto su Victor. Occupati di lui, per favore.»

Tina sparì di corsa e Alban la seguì con lo sguardo in cui si leggeva un'aria di divertita rassegnazione.

«Credo che lei abbia di meglio da fare che raccontarmi la storia di Victor», borbottò Johanson.

«Nessun problema.» Alban sorrise. «Un giorno Tina riuscirà anche a superare se stessa. Lei è l'uomo dell'NTNU, vero? È lei quello che ha esaminato i vermi.»

«Ho solo espresso la mia opinione. Come mai quegli animaletti vi creano tanti problemi?»

Alban fece cenno di no. «Ci preoccupiamo della composizione del suolo qui sulla scarpata. I vermi li abbiamo scoperti per caso e occupano quasi esclusivamente le fantasie di Tina.»

«Pensavo che immergeste il robot per i vermi», si meravigliò Johanson.

«Gliel'ha detto Tina?» Alban guardò l'automa e scosse la testa. «No, quella è solo una parte della missione. Naturalmente qui non prendiamo nulla alla leggera: stiamo preparando l'installazione di una stazione di misurazione di lungo periodo. La piazziamo esattamente sopra il giacimento petrolifero che abbiamo rilevato. Se arriviamo alla conclusione che il luogo è sicuro, allora ci mettiamo una stazione di estrazione sottomarina.»

«Tina ha accennato a una SWOP.»

Alban lo guardò come se non sapesse cosa dire. «Non credo. È ormai praticamente certo che si farà una stazione sottomarina. Se poi è cambiato qualcosa, mi deve essere sfuggito.»

Ah-ah. Non ci sarà una piattaforma galleggiante, allora, pensò Johanson. Ma forse era meglio non approfondire l'argomento. Allora rivolse ad Alban alcune domande sul robot subacqueo.

«È un Victor 6000, un Remotely Operated Vehicle, abbreviato in ROV», spiegò l'altro. «Può arrivare fino a seimila metri e lavorare alcuni giorni a quella profondità. Lo guidiamo dalla superficie e riceviamo i dati in tempo reale per mezzo di cavi. Stavolta resterà sott'acqua quarantott'ore. Tra le altre cose, naturalmente, deve anche prendere una bella bracciata di vermi. La Statoil non vuole essere accusata di minacciare la biodiversità.» Fece una pausa. «Che cosa ne pensa di quelle bestiole?»

«Nulla, per ora», rispose Johanson, evasivo. Poi sentì un rumore di macchinari e vide che il braccio della gru si metteva in movimento, sollevando Victor.

«Venga», disse Alban. A metà della nave passarono davanti a cinque container alti come un uomo. «La maggior parte delle navi non è attrezzata per l'utilizzo di Victor. L'abbiamo preso a noleggio dalla Polarstern, perché è proprio quello che ci serve.»

«Cosa c'è nei container?» domandò Johanson.

«Le unità idrauliche per l'argano, i gruppi motore, tutte le carabattole possibili. In quello davanti, si trova la sala di controllo del ROV. Stia attento alla testa.»

Entrarono nell'angusto container attraverso una porta bassa. Johanson si guardò intorno. Più della metà dello spazio era occupato dal quadro di comando, con due file di monitor; alcuni erano spenti, altri mostravano i dati del ROV e informazioni sulla navigazione. Davanti a essi c'erano diverse persone, tra cui anche Tina.

«Quello al posto di guida è il pilota», spiegò Alban a voce bassa. «Alla sua destra c'è il copilota, che si occupa anche del braccio prensile. Victor è sensibile e preciso, ma bisogna essere molto abili per farlo funzionare come si deve. La postazione successiva è quella del coordinatore. Tiene i contatti con l'ufficiale di guardia sul ponte in modo che la nave e il robot possano lavorare in sincronia. Dall'altra parte siedono gli scienziati. Questo è il posto di Tina, che si occuperà della telecamera e di salvare le immagini. Siamo pronti?»

«Potete immergerlo», disse Tina.

L'uno dopo l'altro, anche gli ultimi monitor si accesero. Johanson vide parte della poppa, del braccio della gru, il cielo e il mare.

«Ora vede quello che vede Victor», gli spiegò Alban. «Dispone di otto telecamere: una telecamera principale con lo zoom, due obiettivi di pilotaggio per la navigazione e cinque telecamere supplementari. La qualità delle immagini è straordinaria: anche a diverse migliaia di metri di profondità riceviamo immagini nitide e dai colori brillanti.»

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