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«Lasciamo perdere il nascondiglio diplomatico. Qual è la tua opinione?»

Yvonne lo guardò. «Non ne ho.» Fece una breve pausa. «Se tre formiche legionarie finiscono sotto un grande mammifero, sicuramente moriranno; se lo stesso mammifero finisce in mezzo a qualche migliaio di loro, sarà spolpato vivo. Per quanto riguarda i vermi e i microrganismi, immagino una cosa del genere. Capito?»

«Chiama Johanson», ripeté Suess. «Digli che temiamo un effetto Storegga.»

Bohrmann espirò lentamente.

Poi, senza dire una parola, annuì.

Trondheim, Norvegia

Erano sul bordo della pista d'atterraggio, da dove si poteva vedere il fiordo. La riva di fronte quasi non si scorgeva. L'oceano si stendeva davanti a loro, come una lastra di acciaio opaco sotto un cielo che diventava sempre più grigio.

«Sei uno snob», disse Tina, gettando un'occhiata all'elicottero in attesa.

«Certo che sono uno snob», ribatté Johanson. «Quando si è reclutati con la forza, ci si può permettere anche un certo snobismo, non credi?»

«Non ricominciare.»

«Anche tu sei una snob. Nei prossimi giorni potrai andare in giro con un elegante fuoristrada.»

Tina sorrise. «Allora dammi la chiave.»

Johanson frugò nelle tasche del cappotto, tirò fuori le chiavi della jeep e gliele mise in mano. «Fa' attenzione, mentre sono via.»

«Non aver paura.»

«E non pensarci neppure, a imboscarti lì sopra con Kare.»

«Non c'imboschiamo nelle macchine.»

«V'infratterete ovunque. Comunque hai fatto bene a seguire il mio consiglio e spezzare una lancia in favore del povero Stone. Ora può andare a ripescare la sua stazione.»

«A costo di disilluderti, il tuo consiglio non ha giocato il minimo ruolo. Graziare Stone è stata esclusivamente una decisione di Skaugen.»

«Allora è stato graziato?»

«Se riesce a riportare la situazione sotto controllo, potrebbe sopravvivere all'interno del gruppo.» Guardò l'orologio. «Più o meno in questo momento si sta immergendo col batiscafo. Incrociamo le dita.»

«Come mai non manda un robot?»

«Perché non ha tutte le rotelle a posto.»

«Davvero?»

«Credo voglia dimostrare che una crisi del genere si può risolvere solo alla sua maniera. E che Clifford Stone è insostituibile.»

«E voi glielo permettete?»

«Perché no? È ancora il capo progetto. Inoltre su un punto ha ragione. Se scende di persona, potrà valutare meglio la situazione.»

Johanson immaginò la Thorvaldson in un grigio senza contorni, e Stone che s'immergeva, circondato dal buio verso un mistero. «Sembra che sia proprio coraggioso.»

«Sì.» Confermò Tina. «È uno stronzo, ma non si può dire che non sia coraggioso.»

«Allora forza.» Johanson prese la borsa da viaggio. «Non fare danni alla mia macchina.»

«Non preoccuparti.»

Andarono insieme verso l'elicottero. Skaugen gli aveva affettivamente messo a disposizione il fiore all'occhiello del gruppo petrolifero, un grande Bell 430, il non plus ultra nel comfort e nella tranquillità di volo.

«Che tipo è questa Karen Weaver?» chiese Tina davanti al portellone.

Johanson le fece l'occhiolino. «È giovane e bellissima.»

«Idiota.»

«Che ne so? Non ne ho idea.»

Tina esitò un attimo, poi lo abbracciò. «Sta' attento, d'accordo?»

Johanson le diede qualche pacca affettuosa sulla schiena. «Va tutto a rotoli… Cosa vuoi che mi succeda?»

«Nulla.» Rimase in silenzio per un momento. «Se non altro, il tuo consiglio ha prodotto qualche effetto. Quello che hai detto è stato determinante.»

«La decisione di andare da Kare?»

«Osservare le cose da un altro punto di vista… Sì, la decisione di andare da Kare.»

Johanson sorrise. Poi la baciò sulle guance. «Ti telefono non appena arrivo.»

«Okay.»

Lui salì sul velivolo e gettò la borsa sul sedile dietro al pilota. L'elicottero aveva posto per dieci passeggeri, ma tutto lo spazio era a sua esclusiva disposizione. Sarebbe stato un viaggio di tre ore.

«Sigur!»

Lui si voltò verso di lei.

«Sei… Credo che tu sia davvero il mio migliore amico.» Sollevò le braccia in un gesto quasi disperato e le lasciò ricadere. Poi sorrise. «Cioè, quello che voglio dire è…»

«Lo so già», sorrise Johanson. «Non sei brava in queste cose.»

«No.»

«Neanch'io.» Si chinò in avanti. «Più qualcuno mi piace, più mi sento stupido a dirglielo. Per quello che ti riguarda, probabilmente sono l'uomo più stupido di tutti i tempi.»

«Era un complimento?»

«Più o meno.»

Chiuse il portellone e il pilota azionò i rotori. Lentamente il Bell si sollevò e la figura di Tina divenne sempre più piccola. Poi l'elicottero abbassò il muso e volò fuori dal fiordo. Il centro di ricerca che si lasciavano alle spalle sembrava un giocattolo. Johanson si mise comodo e guardò fuori, ma non c'era molto da vedere. Trondheim era sparita nella nebbia. L'acqua e le montagne scorrevano sotto di loro come macchie senza colori e sembrava che il cielo li volesse inghiottire.

Gli ricadde addosso quella cupa sensazione.

Paura.

Paura di che cosa?

È solo un volo in elicottero, si disse. Alle isole Shetland. Che cosa può succedere?

Ogni tanto gli capitava di avere simili sbalzi d'umore. Troppo metano e troppa robaccia mostruosa. Inoltre quel tempaccio. Forse avrebbe dovuto fare una colazione più abbondante.

Prese dalla borsa il volume di poesie e cominciò a leggere.

Sulla sua testa i rotori scoppiettavano, ma il rumore arrivava attutito. Il suo cappotto, nella cui tasca era infilato il cellulare, stava appallottolato sulla fila di sedili dietro di lui. Tutto ciò e il fatto che fosse sprofondato nella lettura di Walt Whitman fecero sì che non sentisse il telefono quando esso si mise a suonare.

Thorvaldson, scarpata continentale norvegese

Stone aveva deciso di pronunciare qualche parola prima di salire sul batiscafo. Il cameraman lo riprendeva e l'altro tipo scattava fotografie. Doveva essere una documentazione completa sull'impresa, in modo che la Statoil si rendesse conto quanto Clifford Stone fosse professionale e come prendesse sul serio l'idea di responsabilità.

«Un passo a destra», disse il cameraman.

Stone obbedì e scacciò due tecnici dall'inquadratura. Poi ci ripensò e fece loro cenno di avvicinarsi.

«Mettiti dietro di me», disse. Probabilmente avrebbe fatto un effetto migliore se nell'inquadratura ci fossero stati anche due tecnici. Nulla doveva dare l'impressione che fossero all'opera giocatori d'azzardo e avventurieri.

L'uomo alzò la telecamera.

«Abbiamo finito?» gridò Stone.

«Ancora un momento. Non va bene. Copre il pilota.»

Stone fece un altro passo di lato. «Adesso?»

«Meglio.»

«Non dimenticare le foto», disse Stone all'altro. Il fotografo si avvicinò e, come per tranquillizzarlo, azionò l'otturatore.

«Okay», disse il cameraman. «Giriamo.»

Stone guardò deciso nell'obiettivo. «Ora scenderemo per vedere che cos'è successo al nostro prototipo. Al momento, sembra che la stazione, dalla sua posizione originaria… Ah… Dov'era prima… Accidenti.»

«Non c'è problema. Rifacciamo.»

Stavolta andò bene. Stone spiegò con parole molto concrete che avevano intenzione di cercare la stazione per un'ora. Fece un riassunto delle conoscenze acquisite, accennò al cambiamento della morfologia di quel settore della scarpata ed espresse la propria opinione secondo cui, a causa di una destabilizzazione dei sedimenti, la stazione doveva essere scivolata più in basso. Aveva un tono molto deciso e forse era un po' troppo arido, ma d'altronde non era uno showman. Gli venne in mente che tutti i grandi scopritori e inventori avevano pronunciato una frase particolarmente intelligente prima o dopo essersi rimboccati le maniche. Qualcosa di eccezionale. «È solo un piccolo passo per me, ma un grande passo per l'umanità…» Qualcosa del genere. Quella era stata roba di gran classe. Naturalmente avevano raccomandato a Neil Armstrong di dirlo come se fosse stato un pensiero spontaneo, ma non cambiava niente. «Veni, vidi, vici…» Giulio Cesare. Niente male. Colombo aveva detto qualcosa? E Jacques Picard?

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