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«Eolocicli» disse Ces Ambre.

Alcune persone, uomini e donne, in vesti verde smeraldo e alti stivali, preparavano per la partenza tre di quei veicoli. In fondo al cassone di uno di essi era legato il mio kayak.

Dem Loa e gli altri cominciarono a scendere la scaletta metallica, ma io rimasi fermo in cima. Il mio arresto fu così improvviso che il povero Bin e Ces Ambre rischiarono di urtarmi.

«Cosa c’è?» disse Alem Mikail.

Mi ero infilato nella cintura la pistola a fléchettes e ora allargai le braccia. «Perché vi prendete tanto disturbo? Perché tutti mi aiutano? Cosa succede?»

Dem Ria risalì di un gradino e si appoggiò alla ringhiera. Aveva occhi luminosi come quelli della figlia. «Se ti prendono, Raul Endymion, ti uccidono.»

«Come lo sai?» Non avevo alzato la voce, ma l’acustica del garage sotterraneo era tale che uomini e donne in verde alzarono gli occhi verso di noi.

«Hai parlato nel sonno» disse Dem Loa.

Piegai di lato la testa, senza capire. Avevo sognato la conversazione con Aenea. Che cosa poteva significare, per quelle persone?

Dem Ria risalì di un altro gradino e mi toccò il polso. «La Spettroelica di Amoiete ha profetizzato quella donna, Raul Endymion. Quella Aenea. Noi la chiamiamo Colei che insegna.»

Mi venne la pelle d’oca, in quel momento, nella livida luce dei fotoglobi di quel posto sotterraneo. Il vecchio poeta, zio Martin, aveva parlato della mia giovane amica come di un messia, ma il suo cinismo filtrava in tutto ciò che diceva o faceva. La comunità di Taliesin West aveva rispettato Aenea, ma come potevo credere che quella energica ragazza di sedici anni fosse davvero una Figura storica mondiale? Pareva inverosimile. Inoltre, Aenea e io ne avevamo parlato nella vita reale e nei miei sogni sotto ultramorfina, però, oddio, mi trovavo in un pianeta distante decine e decine di anni luce da Hyperion e un’eternità dalla Piccola Nube di Magellano dove era nascosta la Vecchia Terra. Come facevano, quelle persone, a…

«Quando compose la sinfonia Elica, Halpul Amoiete sapeva di Colei che insegna» disse Dem Loa. «Tutta la gente dello Spettro discende da ceppo empatico. L’Elica era ed è un modo di raffinare la capacità empatica.»

Scossi la testa. «Mi spiace, non capisco…»

«Per favore, Raul Endymion, cerca di capire almeno questo» disse Dem Ria, stringendomi il polso quasi dolorosamente. «Se non scappi da qui, la Pax avrà il tuo corpo e la tua anima. E Colei che insegna ha bisogno di tutt’e due queste cose.»

Fissai a occhi socchiusi Dem Ria, pensando che scherzasse. Ma il suo viso piacevole e liscio era serio, deciso.

«Per favore» disse il piccolo Bin, posando la manina sulla mia e tirandomi. «Per favore, Raul, fai presto.»

Scesi in fretta la scala. Un uomo in verde mi diede una veste rossa. Alem Mikail mi aiutò a indossarla sopra i vestiti. Con una decina di rapidi colpi mi sistemò il burnus rosso e il cappuccio: non sarei mai stato capace di avvolgerlo correttamente. Mi accorsi con sorpresa che l’intera famiglia, le due donne, Ces Ambre e il piccolo Bin, si era tolta le vesti azzurre e indossava vesti rosse. Capii allora di essermi sbagliato a pensare che assomigliassero ai lusiani: anche se erano di statura inferiore alla media della Pax e avevano grande muscolatura, erano perfettamente proporzionati. Gli adulti non avevano peli, né in testa né altrove. La cosa rendeva più attraente il loro corpo compatto, perfettamente intonato.

Distolsi lo sguardo, rendendomi conto d’essere arrossito. Ces Ambre si mise a ridere e mi diede di gomito. Adesso eravamo tutti in rosso. Alem Mikail fu l’ultimo a vestirsi. Una sola occhiata al suo torace muscoloso mi disse che non avrei resistito quindici secondi in un combattimento contro di lui, anche se era più basso di me. Ma non avrei resistito trenta secondi neanche contro Dem Loa o Dem Ria.

Porsi ad Alem Mikail la pistola a fléchettes, ma lui mi fece segno di tenerla e mi mostrò come infilarla in una delle fasce del burnus. Pensai che, come armi, nello zaino non avevo molto, un coltello da caccia navajo e la piccola torcia laser, e lo ringraziai con un cenno.

Fui spinto, con le donne e i bambini, in fondo al cassone dell’eolociclo che già conteneva il mio kayak; un telone rosso fu teso sui montanti, sopra di noi. Fummo costretti ad accovacciarci, perché un secondo strato di tessuto, alcune assi di legno e varie casse e barili furono sistemati intorno a noi e sopra di noi. Riuscivo appena a scorgere un barlume di luce fra la sponda ribaltabile e la copertura del cassone. Ascoltai il rumore di passi sulla pietra, quando Alem salì davanti e si sistemò su una delle due selle a pedali. Sentii anche uno degli altri uomini, adesso in rosso pure loro, unirsi a lui sul sellino da ciclista dall’altro lato della barra centrale.

Con l’albero maestro ancora abbassato su di noi e le vele di stoffa terzarolate, cominciammo a risalire un lungo piano inclinato che portava fuori del garage.

«Dove andiamo?» bisbigliai a Dem Ria, distesa accanto a me. Il legno profumava di cedro.

«L’arcata teleporter a valle del canale» mi rispose in un bisbiglio.

Rimasi sorpreso. «Sapete anche questo?»

«Ti hanno dato la ventina» bisbigliò Dem Loa, dall’altra parte di una cassa. «E hai parlato nel sonno.»

Bin era disteso proprio accanto a me. «Sappiamo che Colei che insegna ti ha mandato in missione» disse quasi allegramente. «Sappiamo che devi raggiungere la prossima arcata.» Diede un colpetto al kayak sistemato accanto a noi. «Mi piacerebbe venire con te.»

«Troppo pericoloso» sibilai, mentre dal tunnel il veicolo usciva all’aria aperta. I bassi raggi del sole illuminavano il telone che ci nascondeva. L’eolociclo si fermò per un attimo: i due uomini azionarono la manovella e drizzarono l’albero, poi spiegarono la vela. «Troppo pericoloso» ripetei. Mi riferivo ovviamente ai rischi che correvano loro nel portarmi al teleporter, non alla missione affidatami da Aenea.

Mi rivolsi a Dem Ria. «Se sanno chi sono» bisbigliai «di sicuro sorvegliano l’arcata.»

Scorsi il contorno del suo cappuccio, mentre lei annuiva. «Saranno di guardia, Raul Endymion. Ed è pericoloso. Ma fra poco sarà buio. Fra quattordici minuti.»

Diedi un’occhiata al comlog. Dalle mie osservazioni nei due giorni precedenti, mancava non meno di un’ora e mezzo al crepuscolo e un’altra ora a notte.

«Ci sono solo sei chilometri da qui all’arcata» bisbigliò Ces Ambre, distesa dall’altro lato del kayak. «I villaggi saranno pieni di gente dello Spettro in festa.»

Finalmente capii. «La duplice tenebra?» bisbigliai.

«Sì» disse Dem Ria. Mi diede un colpetto sulla mano. «Ora dobbiamo stare in silenzio. Stiamo per entrare nel traffico della strada di sale.»

«Troppo pericoloso» bisbigliai ancora una volta, mentre il veicolo iniziava a cigolare e scricchiolare nel traffico. La trasmissione a catena rumoreggiava sotto l’assito e il vento premeva sulla vela. "Troppo pericoloso" dissi, solo a me stesso.

Se avessi saputo che cosa accadeva intanto a qualche centinaio di metri da noi, avrei capito quant’era davvero pericoloso quel momento.

Mentre l’eolociclo percorreva rumorosamente la strada di sale, scrutai dalla fessura tra il cassone di legno e il telo. Per quanto potevo capire, quella strada di grande traffico era una striscia di sale duro come roccia fra i villaggi raggruppati intorno al canale sopraelevato e il deserto a reticolo che si estendeva verso nord a perdita d’occhio.

«Il deserto Wahhabi» bisbigliò Dem Ria, mentre il veicolo acquistava velocità e puntava a sud. Altri eolocicli ci sorpassarono, diretti a sud, con la vela gonfia di vento, i due pedalatori strenuamente impegnati. Un numero maggiore di veicoli dai teloni a colori vivaci andava a nord: le vele erano orientate in maniera diversa, i pedalatori si sporgevano all’esterno per mantenere l’equilibrio, mentre i carri cigolanti si alzavano su due sole ruote, con le altre due che giravano inutilmente in aria.

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