Il maggiore Piet si alzò il visore e si grattò il mento con la barba di un giorno. «Eppure, eccellenze, da qui spedivano qualcosa, in grande quantità. Otto navette… un sofisticato sistema di griglia… sicurezza automatizzata.»
«Se lo Shrike, o qualsiasi cosa fosse, non avesse distrutto i computer e le apparecchiature di registrazione…» iniziò il comandante Browning.
Il maggiore Piet scosse la testa. «Non è stato lo Shrike. I computer erano già stati distrutti da cariche sagomate e da virus DNA fatti su misura.» Girò lo sguardo sull’edificio amministrativo deserto: la rossa sabbia marziana aveva già trovato il modo di entrare dalle porte e dagli interstizi. «Sospetto che abbiano distrutto le registrazioni prima dell’arrivo dello Shrike. Penso che fossero sul punto di andarsene. Per questo le navette erano pronte al decollo, con i computer di bordo già programmati.»
Padre Farrell annuì. «Ma le coordinate orbitali sono tutto ciò che abbiamo. Nessuna registrazione di chi o che cosa dovevano incontrare qui.»
Il maggiore Piet guardò dalla finestra la tempesta di polvere. «In quel parcheggio ci sono venti autoveicoli da trasporto» mormorò come se parlasse tra sé. «Ciascuno può portare fino a ottanta persone. Una piccola esagerazione logistica, se il contingente dell’Opus Dei comprendeva solo le 326 persone di cui abbiamo trovato i cadaveri.»
Il governatore Clare Palo corrugò la fronte e incrociò le braccia. «Non sappiamo quanto personale dell’Opus Dei si trovasse qui, maggiore. Come ha fatto notare, le registrazioni sono state distrutte. Forse erano migliaia…»
Il comandante Browning intervenne nella discussione dei maggiorenti. «Chiedo scusa, governatore, ma gli alloggiamenti nel perimetro del campo potevano ospitare circa quattrocento persone. Il maggiore potrebbe avere ragione: forse i cadaveri da noi trovati sono l’intero personale dell’Opus Dei.»
«Ma non può esserne sicuro, comandante» replicò Clare Pole, in tono tutt’altro che contento.
«No, signora.»
Clare Pole indicò la tempesta di sabbia che in pratica nascondeva gli autoveicoli parcheggiati. «Lì c’è la prova che avevano bisogno di mezzi di trasporto per un numero di persone molto superiore.»
«Forse si trattava di un contingente in avanscoperta» ipotizzò il comandante Browning. «Per preparare la strada a un distaccamento più numeroso.»
«Allora perché distruggere le registrazioni e le IA limitate?» disse il maggiore Piet. «Come mai si ha l’impressione che fossero sul punto di andarsene per sempre?»
Il Grande Inquisitore alzò la mano guantata di nero. «Per il momento poniamo fine alle ipotesi. Domani il Sant’Uffizio comincerà a raccogliere deposizioni e a effettuare interrogatori. Governatore, possiamo usare il suo ufficio al palazzo?»
«Ma certo, eccellenza.» Clare Palo chinò il capo, per mostrare deferenza, o per nascondere gli occhi, o l’uno e l’altro.
«Molto bene» disse il Grande Inquisitore. «Comandante, maggiore, chiamate gli skimmer. Lasceremo qua fuori le squadre di medicina legale e i tecnici della morgue.» Scrutò dalla finestra la tempesta che non smetteva di peggiorare: il suo ruggito attraversava con chiarezza i dieci strati di plastica trasparente. «Qual è il termine locale per indicare le tempeste di sabbia?»
«Simùn» rispose il governatore Clare Palo. «Un tempo tempeste come questa coprivano l’intero pianeta. Ora aumentano d’intensità anno dopo anno.»
«Gli indigeni dicono che sono gli antichi dèi marziani» mormorò l’arcivescovo Robeson. «Reclamano ciò che era loro.»
A meno di tredici anni luce dal sistema solare della Vecchia Terra, nello spazio sopra il pianeta Vitus-Gray-Balianus B, un’astronave che un tempo si chiamava Raffaele, ma che ora non aveva nome, concluse la decelerazione e si pose in orbita geosincrona. Le quattro creature viventi a bordo della nave galleggiavano a gravità zero e guardavano con attenzione l’immagine del pianeta desertico comparsa sul quadro col grafico di rotta.
«Quanto sono attendibili i tuoi rilevamenti di perturbazioni nei campi teleporter in questo periodo?» disse la femmina di nome Scilla.
«Più attendibili di molti altri indizi» disse quella che pareva la sua gemella, Rhadamanth Nemes. «Controlleremo.»
«Cominciamo da una delle basi della Pax?» domandò il maschio di nome Gige.
«Dalla più grande» rispose Rhadamanth Nemes.
«Allora dalla base Bombasino» disse Briareo, controllando il codice sul quadro. «Emisfero nord. Lungo il percorso del canale centrale. Popolazione di…»
«La popolazione non conta» lo interruppe Rhadamanth Nemes. «Conta solo se la bambina Aenea e l’androide e quel bastardo di Endymion sono passati da questa parte.»
«Navetta pronta» disse Scilla.
Con i quattro a bordo, la navetta entrò sibilando nell’atmosfera e protese le ali mentre attraversava il terminatore; tramite il radiofaro, usò il codice diskey vaticano per ottenere via libera per l’atterraggio; scese fra Scorpioni, skimmer militari e VEM blindati. Un innervosito tenente venne ad accogliere i quattro passeggeri e li scortò nell’ufficio del comandante della base.
«Fate parte della Guardia nobile?» disse il comandante Solznykov, scrutandoli in viso e nello stesso tempo esaminando i dati comparsi sul diskey interfase.
«L’abbiamo già detto» replicò Rhadamanth Nemes, in tono piatto. «I nostri documenti, i chip di ordini e il diskey lo confermano. Quante volte dobbiamo ripeterlo, comandante?»
Sopra l’alto colletto della giubba militare, il viso e il collo di Solznykov divennero paonazzi. Invece di rispondere, il comandante abbassò gli occhi sull’ologramma interfase. Tecnicamente, quegli ufficiali della Guardia nobile, appartenenti a una delle nuove unità speciali del papa, potevano far valere su di lui il proprio grado. Tecnicamente, potevano farlo fucilare e scomunicare, dal momento che il loro grado di capo coorte della Guardia nobile comprendeva i poteri della Flotta della Pax e del Vaticano. Tecnicamente, secondo la formulazione e il codice di priorità del diskey, potevano far valere il proprio grado su un governatore planetario o imporre la politica della Chiesa all’arcivescovo residente di un pianeta. Tecnicamente, Solznykov desiderò che quei lividi scherzi di natura non si fossero mai mostrati sul suo arretrato pianeta.
Si costrinse a sorridere. «Le nostre forze sono a vostra disposizione» disse. «Cosa posso fare per voi?»
La donna magra e pallida di nome Nemes tenne sopra la scrivania del comandante una olocard e l’attivò. All’improvviso, nello spazio fra lei e il comandante comparvero a mezz’aria tre teste formato naturale: due di esseri umani, la terza chiaramente di un androide dalla pelle azzurra.
«Non credevo che nella Pax fossero rimasti degli androidi» disse Solznykov.
«Ha ricevuto rapporti sulla presenza nel suo territorio di una di queste tre persone, comandante?» disse Nemes, senza badare alle parole di Solznykov. «È probabile che ne sia stata riferita la presenza lungo il grande fiume che scorre dal polo nord all’equatore.»
«In realtà è un canale…» cominciò Solznykov e si interruppe. Aveva l’impressione che nessuno dei quattro forestieri fosse interessato alla normale conversazione o a dati non pertinenti. Chiamò nell’ufficio il suo aiutante, colonnello Vinara.
«Nomi?» domandò, mentre Vinara preparava il comlog.
Nemes disse tre nomi che non significavano nulla per il comandante.
«Non sono nomi locali» disse Solznykov, mentre il colonnello Vinara controllava gli archivi. «I membri della cultura indigena — si chiama Spettroelica di Amoiete — hanno la tendenza ad accumulare nomi come i miei cani da caccia a Patawpha raccoglievano zecche. Vede, hanno quella triplice unione matrimoniale dove…»
«Non sono persone del luogo» lo interruppe Nemes. Sopra il colletto rosso dell’uniforme, le labbra parevano esangui come il resto del viso cereo. «Provengono da un altro pianeta.»