Sei "grilli" disarmati si scagliarono contro la task force. La Uriele li trasformò in plasma, da ottantaseimila chilometri di distanza. Un migliaio di angeli Ouster, alcuni dei quali con armi a energia a basso rendimento o carabine senza rinculo, spalancarono le ali a campo di forza e volarono verso le lontane navi della Pax in larghe ellissi bordeggianti sulla cresta del vento solare. La loro velocità era così bassa che avrebbero impiegato giorni a coprire la distanza. La Gabriele ebbe il compito di carbonizzarli con un migliaio di miniscariche a luce coerente.
Trasmissioni criptate saettarono fra le navi Arcangelo. La Raffaele e la Gabriele confermarono l’ordine ricevuto e si avvicinarono a mille chilometri dal silenzioso asteroide. I portelli di sortita si aprirono e dodici minuscole figure, sei per nave, furono illuminate dalla luce della nana arancione: commandos delle guardie svizzere, marines e soldati motorizzati si lanciarono, spinti dai monorazzi, verso il pianetino. Non ci fu resistenza. I soldati trovarono due portelli di camera stagna schermati. Con precisa tempestività, fecero esplodere il portello esterno ed entrarono a gruppi di tre.
«Mi benedica, padre, perché ho peccato. Da due mesi standard non mi confesso.»
«Continua.»
«Padre, l’azione di oggi… mi turba, padre.»
«Sì?»
«La sento… sbagliata.»
Il padre capitano de Soya rimase in silenzio. Aveva seguito sui canali tattici virtuali l’attacco del sergente Gregorius. Aveva ascoltato il rapporto dei suoi uomini dopo la missione. Ora avrebbe ascoltato un altro rapporto, nel buio del confessionale.
«Continua, sergente» disse piano.
«Signorsì» disse il sergente dall’altra parte del divisorio. «Voglio dire, sì, padre.»
Il padre capitano de Soya udì un respiro profondo.
«Siamo scesi sull’asteroide senza trovare opposizione» cominciò il sergente Gregorius. «Io e i cinque più giovani, voglio dire. Eravamo in contatto radio con la squadra del sergente Kluge della Gabriele. E con i comandanti Barnes-Avne e Uchikawa, naturalmente.»
Nella sua parte del confessionale, de Soya rimase in silenzio. Il confessionale era fatto a sezioni per essere riposto in magazzino quando la Raffaele era sotto spinta o in posizione di combattimento, come accadeva per la maggior parte del tempo, ma ora, come tutti i veri confessionali, odorava di legno e di sudore e di velluto e di peccato. Il padre capitano aveva trovato quella mezz’ora di tempo durante l’ultimo stadio dell’incremento di velocità verso il punto di traslazione per il sesto sistema Ouster, Mammone, e aveva dato all’equipaggio l’opportunità di confessarsi, ma solo il sergente Gregorius si era fatto avanti.
«Così, quando siamo atterrati, signore… padre, ho portato la mia squadra a prendere la camera stagna del polo sud, proprio come nelle simulazioni. Abbiamo fatto saltare il portello senza la minima difficoltà e abbiamo attivato il nostro campo di forza per il combattimento nel tunnel.»
De Soya annuì. Le tute da combattimento delle guardie svizzere erano sempre state le migliori dell’universo umano: chi le indossava era in grado di resistere, muoversi e combattere in aria, acqua, vuoto assoluto, radiazioni dure, proiettili, lance a energia e ambiente esplosivo fino a un chilotone; ma le nuove tute da commando avevano i propri campi di contenimento classe quattro e potevano attingere energia dai più potenti campi delle navi.
«Lì gli Ouster ci hanno colpito, padre, lottando nel buio labirinto dei tunnel d’accesso. Alcuni di loro erano creature adattate allo spazio, signore… angeli con le ali ripiegate. Ma per la maggior parte erano solo creature adattate alla bassa gravità, in dermotuta… in pratica privi della minima protezione. Hanno tentato di colpirci con lance d’energia, carabine e pistole a raggi, ma usavano normali visori notturni per amplificare il tenue chiarore delle rocce, signore, e noi li abbiamo visti per primi, con i nostri visori a filtro. E abbiamo sparato per primi.» Trasse un altro respiro. «Ci sono bastati alcuni minuti per farci strada fino alle camere stagne interne, padre. Tutti gli Ouster che hanno tentato di fermarci nei tunnel sono finiti a galleggiare…»
Il padre capitano de Soya aspettò che il sergente continuasse.
«Dentro, padre… be’…» Gregorius si schiarì la voce. «Tutt’e due le squadre hanno fatto saltare i portelli interni nello stesso istante, signore… polo nord e polo sud insieme. I globi ripetitori lasciati nei tunnel ritrasmettevano bene le comunicazioni criptate, così siamo stati sempre in contatto con la squadra di Kluge… e con le navi, come lei sa, padre. C’erano dispositivi di sicurezza nei portelli interni, proprio come pensavamo, ma abbiamo fatto saltare anche quelli e subito dopo le membrane di emergenza. L’interno dell’asteroide era tutto cavo, padre… be’, lo sapevamo già, naturalmente… ma non ero mai stato prima in un asteroide incubatrice, padre. Molti pianetini militari, certo, ma mai in un asteroide sala parto…»
De Soya aspettò in silenzio.
«Aveva un diametro di circa un chilometro e un mucchio delle loro sottili torri di bambù a bassa gravità occupava gran parte dello spazio centrale, padre. Il guscio interno non era sferico né liscio, ma seguiva più o meno la sagoma esterna del pianetino…»
«A patata» disse il padre capitano de Soya.
«Sissignore. Era butterato anche all’interno, padre. Grotte e nicchie dappertutto… nidi per le Ouster gravide, immagino.»
De Soya annuì nel buio e diede un’occhiata al cronometro: si domandò se il sergente, di solito conciso, sarebbe mai giunto a parlare dei suoi presunti peccati prima che si rendesse necessario ripiegare il confessionale per la traslazione C-più.
«Di sicuro per gli Ouster era caos totale, padre… l’ululato del ciclone mentre quel posto si depressurizzava, l’atmosfera che sfuggiva dalle due camere stagne come acqua dallo scarico di una vasca, aria piena di polvere e di detriti, Ouster trascinati come foglie nella tempesta. Avevamo in funzione gli auricolari esterni della tuta, padre, e il rumore era incredibile, finché l’aria non fu troppo rarefatta per trasmettere i suoni… il ruggito del vento, le grida degli Ouster, le loro scariche e le nostre che scoppiettavano come tanti parafulmini, granate al plasma che esplodevano e il suono che rimbalzava contro di noi in quella enorme caverna di roccia, gli echi che duravano minuti… era assordante, padre.»
«Sì» disse il padre capitano de Soya, nel buio.
Il sergente Gregorius trasse un altro respiro. «Comunque, padre, gli ordini erano di portare due esemplari di qualsiasi creatura… maschi adulti, spazioadattati, non adattati; femmine adulte, gravide e non gravide; bambini, prepuberi e infanti, dei due sessi. Così la squadra di Kluge e la nostra si diedero da fare, stordirono e impacchettarono gli esemplari. La gravità sulla superficie interna del pianetino, un decimo di g, era appena sufficiente perché i pacchi restassero dove li lasciavamo.»
Seguì un momento di silenzio. Il padre capitano de Soya stava per aprire bocca, per far giungere al sodo la confessione, quando nel buio il sergente Gregorius riprese a mormorare, dall’altra parte della grata che li separava.
«Chiedo scusa, padre, so benissimo che lo sa pure lei. Solo… è difficile… comunque, questa era la parte brutta, padre. Ormai quasi tutti gli Ouster non modificati, non adattati allo spazio, erano morti o moribondi. Per la decompressione o le scariche di energia o le granate. Non abbiamo usato i raggi della morte in dotazione. Né io né Kluge abbiamo dato ai ragazzi l’ordine di non usarli… ma nessuno di noi li ha usati, ecco.»
Si interruppe per un istante. «Gli Ouster adattati» riprese «divennero angeli, con il corpo luccicante per l’accensione dei campi di forza personali. Naturalmente là dentro non potevano spalancare le ali, ma tanto non ne avrebbero ricavato alcun vantaggio, anche se avessero potuto aprirle in tutta la loro estensione, non c’era vento solare e anche se ci fosse stato, un decimo di g era eccessivo per loro, ma divennero angeli ugualmente. Alcuni cercarono di usare le ali come arma contro di noi.»