In quel punto gli infrarossi rivelavano solo tracce di calore di camini lavici, mentre gli schermi degli amplificatori non mostravano niente. Nemes corrugò la fronte nell’esaminare gli schermi radar e accese le luci esterne della navetta.
Fin dove era possibile vedere, le pareti del corridoio perfettamente dritto presentavano file di lastre orizzontali di pietra. Su ogni lastra c’era un corpo umano nudo. Lastre e corpi continuavano fino a perdersi nel buio. Nemes lanciò un’occhiata allo schermo del radar di profondità: anche i tunnel ai livelli inferiori erano striati di lastre e di corpi.
«Fuori» disse il clone che su Bosco Divino aveva estratto Nemes dalla lava solidificata.
Nemes non si prese la briga di usare la camera stagna. L’atmosfera si precipitò fuori della navetta, con un ruggito subito dissolto. Nel tunnel c’era una traccia di pressione, sufficiente a non richiedere il mutamento di fase per sopravvivere, ma l’atmosfera era più rarefatta di quella di Marte prima che il pianeta fosse terraformato. I sensori corporei di Nemes indicavano che la temperatura si manteneva a 162 gradi centigradi sotto zero.
All’esterno, nella zona illuminata dai proiettori della navetta, una sagoma umana era in attesa.
«Buona sera» disse il consigliere Albedo. Era alto, impeccabilmente vestito in un completo grigio alla moda di Pacem. Comunicò direttamente sulla banda di 75 megahertz. Non mosse le labbra, ma col sorriso lasciò vedere denti perfetti.
Nemes e i tre cloni restarono in attesa. Nemes sapeva che per lei non ci sarebbero stati altri rimproveri o punizioni. I Tre Settori la volevano viva e funzionante.
«La ragazza, Aenea, è tornata nello spazio della Pax» disse Albedo.
«Dove?» domandò il clone femmina. Nel suo tono piatto c’era qualcosa di simile all’impazienza.
Il consigliere Albedo allargò le mani.
«Il portale…» cominciò Nemes.
«Stavolta non ci dice niente» la interruppe il consigliere Albedo. Il suo sorriso era rimasto immutato.
Nemes corrugò la fronte. In tutti i secoli in cui era esistita la Rete dei Mondi dell’Egemonia, i Tre Settori di Consapevolezza del Nucleo non avevano trovato un modo di usare il portale Vuoto (quell’interfaccia istantanea che gli esseri umani conoscevano come teleporter) senza lasciare nella piega matrice una traccia di neutrini modulati.
«L’Altro…» disse Nemes.
«Ovvio» confermò Albedo. Mosse le mani in un rapido gesto, come per lasciar perdere quell’inutile argomento. «Ma possiamo ancora registrare l’attivazione. Siamo convinti che la ragazza sia fra coloro che tornano dalla Vecchia Terra sfruttando la vecchia rete di teleporter.»
«Ce ne sono altri?» disse uno dei cloni maschi.
Albedo annuì. «Pochi, all’inizio. Più numerosi, adesso. Secondo l’ultimo conteggio, ci sono state almeno cinquanta attivazioni.»
Nemes ripiegò le braccia. «Ritenete che l’Altro stia ponendo fine all’esperimento Vecchia Terra?»
«No» rispose Albedo. Si accostò alla lastra più vicina e guardò il corpo umano che vi era disteso. Si trattava di una ragazza di non più di diciassette o diciotto anni standard. Aveva capelli rossi. Un sottile strato di ghiaccio le ricopriva le pelle lattea e gli occhi aperti. «No» ripeté Albedo. «I Settori convengono sul fatto che sia solo il gruppo di Aenea a fare ritorno.»
«Come la troviamo?» domandò il clone femmina di Nemes. Era chiaro che rifletteva, anche se il suo pensiero veniva trasmesso sulla banda a 75 megahertz. «Possiamo traslarci su qualsiasi pianeta abbia avuto un teleporter durante l’Egemonia e interrogare di persona i portali.»
Albedo annuì. «L’Altro può nascondere le destinazioni teleporter» disse «ma il Nucleo è quasi sicuro che non può nascondere la piega matrice stessa.»
Quasi sicuro. Nemes notò l’insolito modificatore delle percezioni del TecnoNucleo.
«Vogliamo che tu…» cominciò Albedo, indicando il clone femmina. «Il Settore degli Stabili non ti ha dato un nome, vero?»
«No» confermò il clone femmina di Nemes. Sulla sua pallida fronte ricadeva una frangia di capelli scuri, flosci. Sulle sue labbra sottili non c’era traccia di sorriso.
Albedo ridacchiò. «Rhadamanth Nemes aveva bisogno di un nome per passare per un membro dell’equipaggio umano sulla Raffaele. Penso che pure voi dobbiate avere un nome, se non altro per mia comodità.» Indicò il clone femmina. «Scilla.» Poi indicò i due cloni maschi. «Gige. Briareo.»
Nessuno dei tre reagì a quel battesimo, ma Nemes piegò le braccia e disse: «Questo la diverte, consigliere?».
«Sì.»
Intorno a loro, l’aria uscita dalla navetta si arricciava e ribolliva come nebbia malefica. Il clone maschio ora chiamato Briareo disse: «Terremo questa Arcangelo come base di trasporto e cominceremo a ispezionare tutti i pianeti della vecchia Rete, a partire, presumo, da quelli toccati dal fiume Teti».
«Sì» disse Albedo.
Scilla batté le unghie sulla stoffa congelata della tuta spaziale. «Con quattro navi la ricerca sarà quattro volte più veloce.»
«Ovvio» disse Albedo. «Varie ragioni ci hanno indotto a decidere diversamente. La prima è che la Pax non ha molte Arcangelo libere da prestare.»
Nemes inarcò il sopracciglio. «Da quando in qua il Nucleo chiede prestiti alla Pax?»
«Da quando abbiamo bisogno del loro denaro e delle loro fabbriche e delle loro risorse umane per costruire queste navi» rispose Albedo, senza enfasi. «La seconda e conclusiva ragione è che vogliamo che voi quattro stiate insieme, nel caso incontriate qualcuno o qualcosa di cui uno solo di voi non potrebbe occuparsi.»
Nemes non abbassò il sopracciglio. Si aspettava un riferimento al suo insuccesso su Bosco Divino. Però fu Gige a replicare: «Di che cosa, in tutta la Pax, uno di noi non potrebbe occuparsi, consigliere?».
L’uomo in grigio allargò di nuovo le mani. Dietro di lui, i ribollenti vapori di nebbia prima nascosero e poi lasciarono vedere di nuovo i lividi corpi nudi sulle lastre.
«Lo Shrike» disse Albedo.
Nemes sbuffò con malagrazia. «L’ho battuto da sola.»
Albedo scosse la testa: il suo sorriso era sempre uguale, faceva impazzire. «No» disse. «Non l’hai battuto. Hai usato il congegno iperentropico di cui ti avevamo dotata e l’hai spedito di cinque minuti nel futuro. Questo non equivale a batterlo.»
Intervenne Briareo. «Lo Shrike non è più sotto il controllo dell’Intelligenza Finale?»
Ancora una volta Albedo allargò le mani. «Gli dei del futuro non ci bisbigliano più, mio costoso amico. Combattono fra loro e il clamore della loro battaglia rimanda echi nel tempo. Se l’opera del nostro dio va fatta nel nostro tempo, dobbiamo farla noi stessi.» Guardò i quattro cloni. «Gli ordini sono chiari?»
«Trovare la ragazza» disse Scilla.
«E…?»
«Ucciderla all’istante» disse Gige. «Senza esitare.»
«E se intervengono i suoi discepoli?» disse Albedo, allargando ora il sorriso e parlando con un tono che lo rendeva la caricatura di un maestro di scuola.
«Ucciderli» disse Briareo.
«E se compare lo Shrike?» disse ancora Albedo, a un tratto serio.
«Distruggerlo» disse Nemes.
Albedo annuì. «Altre domande, prima che ciascuno vada per la sua strada?»
«Quanti esseri umani si trovano qui?» domandò Scilla. Indicò le lastre e i corpi.
Il consigliere Albedo si toccò il mento. «Alcune decine di milioni, su questo mondo labirinto, in questa sezione di tunnel. Ma ci sono molti altri tunnel, qui.» Sorrise di nuovo. «E altri otto mondi labirinto.»
Nemes girò lentamente la testa, osservando su vari livelli di spettro la nebbia turbinante e la linea di lastre di pietra. Nessun corpo mostrava traccia di calore: tutti avevano la stessa temperatura ambiente del tunnel. «E questa è opera della Pax» constatò.
«Naturalmente» ridacchiò Albedo. «Perché mai i Tre Settori di Consapevolezza o la nostra futura Intelligenza Finale dovrebbero voler immagazzinare corpi umani?» Si avvicinò al corpo della ragazza e le tamburellò il seno congelato. L’aria del tunnel era troppo rarefatta per convogliare il suono, ma Nemes immaginò il rumore di unghie su marmo gelido.