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Lo scrutatore davanti all’altare esitò. L’acclamazione era stata forte e chiara, ma ovviamente non unanime. Era una novità. Per 270 anni si era avuta l’acclamazione immediata.

Lourdusamy fu ben attento a non sorridere e a non guardarsi intorno. Sapeva quali cardinali di nomina più recente non avevano gridato il nome di papa Giulio per la rielezione. Sapeva quanto fosse costato corrompere quegli uomini e quelle donne. Sapeva quale terribile rischio correvano e con quanta sofferenza l’avrebbero senza dubbio pagato. Sapeva tutto ciò perché lui stesso aveva collaborato a orchestrarlo.

Dopo un momento di consultazione con i due colleghi, lo scrutatore che aveva alzato la mano per dare il segnale dell’acclamazione annunciò: «Procederemo per scrutinio».

Mentre venivano preparate e distribuite le schede, fra i cardinali ci furono mormorii di turbamento. Una cosa del genere non era mai accaduta nella vita della maggior parte di quei prìncipi della Chiesa. Di colpo gli ologrammi dei cardinali elettori non presenti erano divenuti privi d’importanza. Alcuni di loro, a dire il vero, avevano predisposto per lo scrutinio i loro chip interattivi, ma molti non si erano presi quella briga.

I maestri delle cerimonie passarono fra gli stalli e distribuirono le schede di votazione, tre per ciascun cardinale elettore. Gli scrutatori si accertarono che ogni cardinale avesse una penna. Quando tutto fu pronto, il cardinale diacono fra gli scrutatori alzò di nuovo la mano, stavolta per indicare il momento della votazione.

Lourdusamy guardò la scheda. Nella parte superiore sinistra comparvero a caratteri di stampa le parole: "Eligo in Summum Pontificem". Sotto, c’era spazio per un solo nome. Il cardinale Simon Augustino Lourdusamy vi scrisse "Lenar Hoyt", ripiegò la scheda e la tenne in alto in modo che fosse visibile. Nel giro di un minuto, tutti gli ottantatré cardinali tenevano in alto la scheda, imitati da cinque o sei di quelli presenti in ologramma interattivo.

Lo scrutatore iniziò a chiamare i cardinali in ordine di precedenza. Il cardinale Lourdusamy fu il primo: lasciò lo stallo e si avvicinò al tavolo dello scrutatore accanto all’altare, sotto l’immutabile sguardo del terribile Cristo dell’affresco. Si inginocchiò all’altare e chinò la testa in silenziosa preghiera. Poi si rialzò e disse: «Cristo nostro Signore, che sarà mio giudice, mi sia testimonio che il mio voto va a colui che davanti a Dio ritengo debba essere eletto». Posò con solennità la scheda piegata sul piatto d’argento posto sopra l’urna. Alzò il piatto e lasciò cadere nell’urna la scheda. Il cardinale diacono fra gli scrutatori annuì: Lourdusamy si inchinò all’altare e tornò al suo stallo.

Il cardinale Mustafa, il Grande Inquisitore, si mosse maestosamente verso l’altare per dare il proprio voto.

La votazione richiese più di un’ora; alla fine si procedette al conteggio dei voti. Il primo scrutatore agitò l’urna per mescolare le schede. Il secondo scrutatore le contò, compresi i sei voti copiati dagli ologrammi interattivi, e le depositò in una seconda urna. Il totale delle schede corrispondeva al numero di cardinali con diritto di voto nel conclave. Lo scrutinio procedette.

Il primo scrutatore aprì una scheda, scrisse il nome che vi lesse e passò la scheda al secondo scrutatore; costui prese un appunto e passò la scheda al terzo e ultimo scrutatore. Questi, il cardinale Couesnongle, lesse ad alta voce il nome, prima di prendere nota.

In ciascuno stallo, un cardinale annotò il nome su un grafer per appunti fornito dagli scrutatori. Al termine del conclave, i grafer sarebbero stati rimescolati e i file sarebbero stati cancellati in modo che non rimanesse traccia della votazione.

E così la votazione procedette. Per Lourdusamy, come per tutti gli altri cardinali presenti in carne e ossa, c’era un’unica incertezza, ossia se i dissidenti che avevano fatto fallire l’acclamazione avrebbero realmente messo in gioco il nome di un altro candidato.

Dopo la lettura di ogni scheda, il terzo scrutatore infilava il foglio in un cordoncino, trapassando con un ago la parola "Eligo". Quando tutte le schede furono lette ad alta voce, lo scrutatore fece un nodo ai capi del filo su cui le aveva infilzate.

Il candidato vincente fu ammesso alla cappella. In piedi davanti all’altare, in una semplice tonaca nera, l’uomo aveva un aspetto umile e un po’ imbarazzato.

In piedi davanti a lui, il cardinale diacono anziano disse: «Accetti la canonica elezione a Supremo Pontefice?».

«Accetto» disse il prete.

A questo punto uno stallo fu spostato alle spalle del prete. Il cardinale diacono alzò le mani e intonò: «Poiché così accetti l’elezione canonica, questa assemblea, di fronte a Dio Onnipotente, ti riconosce come vescovo della Chiesa di Roma, vero papa e capo del Collegio dei vescovi. Possa Iddio consigliarti bene, poiché ti concede pieno e assoluto potere sopra la Chiesa di Gesù Cristo».

«Amen» disse il cardinale Lourdusamy e tirò il cordone che abbassava il tendaggio del suo stallo. Gli ottantatré tendaggi fisici e i trentasette in ologramma calarono allo stesso tempo; solo quello del nuovo papa rimase alzato. Il prete, ora pontefice, si sedette sotto il baldacchino papale.

«Quale nome scegli come Supremo Pontefice?» domandò il cardinale diacono.

«Scelgo il nome Urbano XVI» disse il prete seduto.

Dagli stalli provenne un mormorio. Il cardinale diacono alzò la mano e con gli altri due scrutatori accompagnò il prete fuori della cappella. Mormoni e bisbigli crebbero di volume.

Il cardinale Mustafa si sporse dallo stallo e disse a Lourdusamy: «Di sicuro pensa a Urbano II. Urbano XV era un piccolo vigliacco piagnucolone del XIX secolo che pensava solo a leggere romanzi gialli e a scrivere lettere alla sua ex amante».

«Urbano II» rifletté Lourdusamy. «Sì, naturalmente.»

Dopo alcuni minuti, gli scrutatori tornarono con il prete, ora papa, vestito di bianco abbagliante: tonaca bianca, zucchetto bianco, pettorale con la croce, fascia bianca alla cintola. Il cardinale Lourdusamy piegò le ginocchia sul pavimento di pietra della cappella, imitato dagli altri cardinali in carne e ossa e in ologramma, mentre il nuovo pontefice impartiva la sua prima benedizione.

Poi gli scrutatori e i cardinali aiutanti si accostarono alla stufa e bruciarono le schede ora legate con filo nero; vi aggiunsero un prodotto chimico per essere sicuri che la fumata fosse davvero bianca.

I cardinali sfilarono dalla Cappella Sistina e percorsero gli antichi viali e corridoi fino a San Pietro, dove il cardinale diacono anziano andò da solo sulla balconata per annunciare alle moltitudini in attesa il nome del nuovo pontefice.

Fra le cinquecentomila persone ammassate quel mattino dentro, fuori e intorno a piazza San Pietro, c’era il padre capitano Federico de Soya. Solo qualche ora prima era stato rilasciato dalla prigionia de facto nel presbiterio dei legionari. Nel tardo pomeriggio doveva presentarsi allo spazioporto della Flotta della Pax per imbarcarsi sulla navetta che l’avrebbe portato alla nave Arcangelo di cui avrebbe preso il comando. Camminando per il Vaticano, de Soya aveva seguito la folla — poi ne era stato inghiottito — di uomini, donne e bambini che fluiva come un grande fiume verso piazza San Pietro.

Un applauso scrosciante si era levato non appena dal tubo della stufa erano usciti i primi sbuffi di fumo bianco. La folla già incredibilmente fitta sotto la balconata di piazza San Pietro divenne ancora più fitta per le decine di migliaia di persone che si riversavano intorno ai colonnati e al di là delle statue. Centinaia di guardie svizzere tennero la folla lontano dall’ingresso della basilica e dalle zone riservate.

Quando il diacono anziano uscì sul balcone e annunciò che il nuovo pontefice si sarebbe chiamato papa Urbano XVI, un grande ansito salì dalla folla. De Soya si ritrovò a bocca aperta, sorpreso e sconvolto. Tutti si aspettavano che il nome prescelto fosse Giulio XV. Il pensiero che un altro cardinale fosse stato eletto papa era… be’, impensabile.

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