«A proposito di comando» dico «chi è al comando di… tutto questo?» Indico le rovine, la lontana autostrada con gli autoveicoli in movimento, il VEM da trasporto che si avvicina alla riva est.
«In realtà tutto il sistema di Pacem è sotto il governo temporaneo di un ex PFE della Pax Mercatoria, un certo Kenzo Isozaki» dice padre de Soya. «Il quartier generale si trova nelle rovine del vecchio toroide Mercatorio, ma Isozaki visita di frequente il pianeta.»
Non nascondo la sorpresa. «Isozaki?» dico. «L’ultima volta che sono incappato in lui, era coinvolto nell’attacco alla biosfera Albero Stella.»
«Infatti» conferma de Soya. «Ma quando si è verificato il Momento Condiviso, l’attacco era ancora in atto. Ci fu molta confusione. Elementi della Hotta della Pax si raccolsero intorno a Lourdusamy e ai suoi, mentre altri, alcuni guidati da Kenzo Isozaki che aveva il titolo di comandante dell’Ordine dei cavalieri di Gerusalemme, si batterono per fermare il massacro. I lealisti mantennero quasi tutte le navi Arcangelo, visto che per usarle era necessaria la risurrezione. Isozaki riportò nel sistema di Pacem più di cento vecchie navi torcia a propulsione Hawking e respinse gli ultimi assalitori del Nucleo.»
«È un dittatore?» domando, senza grande interesse. Anche se lo fosse, non mi riguarda.
«Per niente» dice Kee. «Isozaki amministra pro tempore il pianeta e governa con l’aiuto dei consigli di cantone regolarmente eletti. È molto abile nelle questioni logistiche, proprio ciò che ci occorre. Intanto le amministrazioni locali vanno avanti abbastanza bene. Per la prima volta in questo sistema c’è vera democrazia. Sciatta, ma funziona. Penso che Isozaki cerchi di creare una sorta di sistema commerciale capitalista-con-coscienza, per quando cominceremo a muoverci liberamente nel vecchio spazio della Pax.»
«Mediante il libero teletrasporto?»
Gli altri tre annuiscono.
Scuoto la testa. Non è facile immaginare il prossimo futuro: miliardi, centinaia di miliardi di persone libere di spostarsi di pianeta in pianeta, senza veicoli spaziali né teleporter. Centinaia di miliardi in grado di mettersi in contatto l’un con l’altro, toccando col cuore e la mente il Vuoto che lega. Sarà come al culmine della Rete dei Mondi dell’Egemonia, senza la facciata del Nucleo dei teleporter e dei trasmettitori astrotel. No, mi ricredo, non sarà affatto come ai tempi dell’Egemonia, sarà qualcosa di completamente diverso. Qualcosa che non ha precedenti nell’esperienza umana. Aenea ha cambiato tutto per sempre.
«Parti oggi, Raul?» domanda padre Duré, con la sua morbida cadenza francese.
«Appena terminato quest’ottimo caffè» rispondo. Comincio a sentire il calore del sole sulle braccia nude e sulla nuca.
«Dove vai?» domanda padre de Soya.
Apro bocca per rispondere, la chiudo. Mi accorgo di non averne la minima idea. Dove cercherò il figlio di Aenea? E se l’osservatore ha portato il bambino, o bambina, in un remoto sistema solare che non ho mai visto e che quindi non posso raggiungere? E se è tornato sulla Vecchia Terra, posso davvero teleportarmi a centosessantamila anni luce di distanza? Aenea l’ha fatto. Ma forse ha avuto l’aiuto dei Leoni e Tigri e Orsi. Riuscirò un giorno a sentire quelle voci nel complesso coro del Vuoto? Mi pare tutto troppo smisurato e indistinto e irrilevante.
«Non so dove andrò» dico, con voce da bambino sperduto. «Volevo andare sulla Vecchia Terra, perché Aenea desiderava che… le sue ceneri… ma…» Imbarazzato ed emozionato, indico la montagna di pietra fusa che fu Castel Sant’Angelo. «Forse tornerò su Hyperion» riprendo. «A trovare Martin Sileno.» "Prima che muoia" aggiungo tra me.
Ci alziamo, beviamo le ultime gocce di caffè ormai freddo, spazziamo le briciole delle deliziose focaccine. A un tratto sono colpito da un ovvio pensiero. «Qualcuno di voi vuole venire con me?» domando. «O andare da qualche parte? Penso di ricordare come ci si teletrasporta, ed Aenea ci portava con lei semplicemente tenendoci per mano. Anzi, teleportava l’intera Yggdrasill, solo con la forza di volontà.»
«Se vai su Hyperion» dice padre de Soya «avrei piacere di accompagnarti. Ma prima ti devo mostrare una cosa. Scusateci, padre Duré, Bassin.»
Seguo padre de Soya nel villaggio e nella sua piccola chiesa. Nella sacrestia, larga appena quanto basta a contenere un guardaroba di legno per i paramenti e il piccolo altare secondario con le ostie e il vino, il prete scosta la tenda di una nicchia e ne toglie un corto cilindro metallico, più piccolo di un thermos da caffè. Me lo porge; allungo la mano, sto quasi per prenderlo e all’improvviso mi blocco come impietrito e non riesco a toccarlo.
«Sì» dice de Soya. «Le ceneri di Aenea. Tutto ciò che siamo riusciti a ricuperare. Non molto, purtroppo.»
Mi tremano le dita, ancora non riesco a toccare l’opaco cilindro metallico. Balbetto: «Come? Quando?».
«Prima dell’attacco finale del Nucleo» risponde piano de Soya. «Alcuni di noi, che liberavano i prigionieri, ritennero prudente rimuovere i resti cristiani della tua amica. C’era chi voleva conservarli come sacra reliquia, inaugurando un altro culto. Avevo la netta impressione che Aenea non avrebbe approvato. Sbagliavo, Raul?»
«No, non sbagliava» dico. La mano ora mi trema visibilmente. Non riesco ancora a toccare il cilindro e ho difficoltà a parlare. «No, assolutamente. Avrebbe detestato una cosa del genere. Avrebbe maledetto la sola idea. Non so quante volte abbiamo discusso la tragedia dei buddhisti che trattavano il Buddha come un dio e i suoi resti come reliquie. Anche il Buddha chiese che il suo corpo fosse cremato e le sue ceneri sparse, in modo che…» Non riesco più a proseguire.
«Sì» dice de Soya. Prende dall’armadio una borsa di tela nera e vi depone il cilindro. Si mette a tracolla la borsa. «Posso portarlo io, se andiamo via insieme.»
«Grazie.» Non riesco a dire altro. Non posso conciliare con quel piccolo cilindro metallico la vita e l’energia di Aenea, la sua pelle e i suoi vividi occhi e il suo profumo di pulito, il suo tocco e la sua risata e la sua voce e i suoi capelli e tutta la sua presenza fisica. Abbasso la mano prima che de Soya veda quanto forte trema.
«Pronto a partire?» dico infine.
De Soya annuisce. «Vorrei solo dire ad alcuni amici qui al villaggio che starò via per qualche giorno. Ti sarà possibile lasciarmi qui, più avanti, nel viaggio per… per dovunque andrai?»
Rimango un po’ sorpreso. Ma certo che sarà possibile. Avevo pensato al mio commiato odierno come a un viaggio conclusivo, interstellare. Ma finché avrò vita, Pacem, come qualsiasi altro posto dell’universo, sarà sempre lontano da me solo un passo. "Se ricordo come udire la musica delle sfere e teleportarmi di nuovo" penso. "Se riesco a portare con me un altro. Se non si è trattato di un dono di una sola volta, che ho già perduto senza saperlo."
Ora tremo in tutto il corpo. Mi dico che è solo colpa del troppo caffè e rispondo con voce rotta: «Sì, certo. Mentre lei si prepara, vado a fare due chiacchiere con padre Duré e con Bassin».
L’anziano gesuita e il giovane militare sono ai margini di un piccolo campo di mais e discutono se è il momento migliore per raccogliere le pannocchie. Duré ammette che propende per raccoglierle subito soprattutto perché adora le pannocchie abbrustolite. I due mi sorridono appena mi avvicino. «Padre de Soya viene con te?» domanda Duré.
Rispondo con un cenno di assenso.
«Per favore, porgi a Martin Sileno i miei più calorosi saluti» dice il gesuita. «Lui e io abbiamo condiviso per via indiretta alcune interessanti esperienze, molto tempo fa, a pianeti di distanza. Ho sentito parlare dei suoi Canti, ma sono riluttante a leggerli, confesso.» Sorride. «Se non sbaglio, le leggi dell’Egemonia sulla diffamazione a mezzo stampa sono cadute in prescrizione.»
«Credo che abbia lottato per restare in vita tutto questo tempo, al solo scopo di terminare quei Canti» dico piano. «Ora non li terminerà mai.»