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«Strappale a morsi il naso e le palpebre» ordinò Albedo. «Lentamente.»

«No!» gridò il cardinale Mustafa. Balzò in piedi, venne avanti, protese la mano per fermare Nemes. La mano dell’ologramma attraversò la fin troppo solida carne di Nemes.

«Un momento» disse il consigliere Albedo, alzando il dito. Nemes si fermò, a bocca aperta sopra gli occhi di Aenea.

«È mostruoso!» disse il Grande Inquisitore. «Come fu mostruoso il tuo trattamento nei miei confronti.»

Albedo si strinse nelle spalle. «Fu deciso che aveva bisogno di una lezione, eminenza.»

Il cardinale Mustafa tremava d’indignazione. «Credete davvero di essere i nostri padroni?»

Il consigliere Albedo sospirò. «Siamo sempre stati i vostri padroni. Siete carne marcia intorno a un cervello da scimpanzé, primati che balbettano e decadono verso la morte dal momento stesso della nascita. Nell’universo avete solo il ruolo di levatrici per una più alta forma di autocoscienza. Una forma di vita veramente immortale.»

«Il Nucleo…» disse con grande disprezzo il cardinale Mustafa.

«Si sposti» ordinò Albedo. «Altrimenti…»

«Altrimenti cosa?» rise il Grande Inquisitore. «Torturerai anche me come torturi quella povera visionaria? O mi farai di nuovo picchiare a morte dal tuo mostro?» Mosse il braccio avanti e indietro nel corpo di Nemes, poi in quello di Albedo. Rise ancora e si rivolse a Aenea. «Tu sei morta comunque, bambina. Rivela a questa creatura senz’anima ciò che gli serve sapere e metteremo subito fine alle tue pene, senza…»

«Silenzio!» gridò Albedo. Alzò la mano, con le dita piegate come in un artiglio.

L’ologramma del cardinale Mustafa urlò di dolore, si afferrò convulsamente il petto, rotolò sulla grata, attraversò i piedi insanguinati di Aenea e l’intelaiatura di ferro, attraversò rotolando le gambe di uno dei cloni Nemes, urlò di nuovo e svanì di colpo.

Il cardinale Lourdusamy e monsignor Oddi guardarono Albedo. Il loro viso era privo d’espressione. «Consigliere» disse il segretario di Stato, in tono basso, rispettoso «potrei interrogare per qualche momento la ragazza? Se non avremo successo, faccia pure di lei ciò che vuole.»

Albedo fissò freddamente il cardinale, ma dopo un attimo strinse la spalla della Nemes; la macchina omicida indietreggiò di tre passi e chiuse la bocca.

Lourdusamy allungò la mano verso quella mutilata di Aenea, come per stringerla. Le dita dell’ologramma parvero sprofondare nella carne martoriata del mio tesoro. «Quod petis?» mormorò il cardinale e io, lontano dieci minuti luce, urlando e torcendomi nel serbatoio, capii attraverso Aenea ciò che diceva. "Cosa cerchi?"

«Virtutes» mormorò Aenea. «Concede mihi virtutes quibus indigeo.»

Annegando nella rabbia e nel cordoglio e nello sciaguattante liquido del serbatoio, allontanandomi da Aenea di secondo in secondo, capii: "Forza. Dammi la forza che mi manca".

«Desiderium tuum grave est» mormorò il cardinale Lourdusamy. "Il tuo è un desiderio impegnativo." «Quod ultra quaeris?» "Che altro cerchi?"

Aenea batté le palpebre per eliminare dall’occhio gocce di sangue e guardare in faccia il cardinale. «Quaero pacem» rispose piano, con voce ferma. "Cerco la pace."

Il consigliere Albedo rise di nuovo. «Eminenza» disse, sarcastico «crede che non capisca il latino?»

Il cardinale guardò Albedo. «Al contrario, consigliere, ero sicuro che lo capisse. La ragazza sta per spezzarsi, sa, glielo leggo in viso. Ma sono le fiamme ciò di cui ha più paura, non la belva cui vuole darla in pasto.»

Albedo parve scettico.

«Mi dia cinque minuti per usare le fiamme, consigliere» disse il cardinale. «Se fallisco, sguinzagli pure la sua belva.»

«Tre minuti» concesse Albedo. Arretrò e si sistemò accanto alla Nemes che aveva scarnificato le guance a Aenea.

Lourdusamy indietreggiò di vari passi. «Figlia» disse, parlando di nuovo l’inglese della Rete «purtroppo questo sarà molto doloroso.» Mosse la mano e un getto di fiamma azzurrina scaturì dalla grata e diventò una colonna di fiamma che strinò le piante dei piedi di Aenea stretti nelle morse. La pelle bruciò, si annerì, si arricciò. Il puzzo di carne bruciata riempì la cella.

Aenea urlò e cercò di liberarsi. Le morse non si mossero nemmeno. Il fondo della sbarra d’acciaio alla quale Aenea era legata incominciò a risplendere, inviò ondate di dolore su per le gambe e le cosce nude. Anche lì la pelle si coprì di vesciche. Aenea urlò di nuovo.

Il cardinale Lourdusamy mosse ancora la mano e la fiamma tornò sotto la grata, divenne una luce pilota che guatava come l’occhio azzurro di un carnivoro affamato.

«Era solo un assaggio del dolore che sentirai» mormorò il cardinale Lourdusamy. «E purtroppo, nel caso di ustioni gravi, il dolore continua anche dopo che carne e nervi sono bruciati irrimediabilmente. Dicono che sia la morte più dolorosa.»

Aenea digrignò i denti per non urlare ancora. Gocce di sangue le cadevano dalle guance straziate sui pallidi seni, gli stessi seni che avevo accarezzato e baciato, su cui avevo preso sonno. Imprigionato nel serbatoio, lontano milioni di chilometri, pronto a passare a velocità C-più e nell’oblio della crio-fuga, urlai e mi agitai come una furia fino a perdere la voce.

Albedo mise i piedi sulla grata e disse alla mia amata: «Telepòrtati via da tutto questo. Telepòrtati sulla nave che conduce Raul a morte certa e liberalo. Telepòrtati sulla nave del console. Il robochirurgo di bordo ti guarirà. Vivrai per anni insieme con l’uomo che ami. L’alternativa è una lenta e orribile morte per te, qui, e una lenta e orribile morte per Raul, da un’altra parte. Non lo rivedrai mai più. Non sentirai mai più la sua voce. Telepòrtati, Aenea. Salvati, finché sei ancora in tempo. Salva la persona che ami. Fra un minuto quest’uomo ti brucerà la carne delle gambe e delle braccia fino ad annerire anche le ossa. Ma non ti lascerà morire. E io lascerò che Nemes si cibi di te. Telepòrtati, Aenea. Telepòrtati adesso.»

«Aenea» disse il cardinale Lourdusamy «es igitur parata?» "Sei pronta, dunque?"

«In nomine humanitatis, parata sum» disse Aenea, guardando negli occhi il cardinale. "In nome dell’umanità, sono pronta."

Lourdusamy mosse la mano. I getti di gas avvamparono tutti insieme. Le alte fiamme avvolsero la mia amata e il cìbrido Albedo.

Aenea si contorse in agonia, sommersa dal calore.

«No!» gridò Albedo, da dentro le fiamme. Si allontanò dalla grata rovente, con la carne sintetica che cadeva, bruciata, dalle false ossa. Il costoso abito grigio salì verso il soffitto in batuffoli ardenti di stoffa e il viso dai bei lineamenti, fuso, gli colò sul petto. «No, maledizione a te!» gridò ancora Albedo e con dita roventi cercò la gola del cardinale Lourdusamy.

Le dita attraversarono l’ologramma. Il cardinale Lourdusamy fissava il viso di Aenea tra le fiamme. Alzò la destra. «Misericordia Dei, in nomine Patris et Filiae et Spiritus Sancti…»

Furono le ultime parole che Aenea udì, mentre le fiamme le avvolgevano le orecchie, la gola, il viso. I capelli le esplosero in fiamme. La vista le risplendette di vivido arancione e svanì, mentre il calore le fondeva gli occhi.

Ma nei pochi secondi di vita che le restarono, io sentii il suo dolore. E udii il suo pensiero come un grido, no, un bisbiglio, nella mia mente.

"Raul, ti amo."

Poi il calore si espanse, il dolore si espanse, il suo senso di vita e di amore e di missione si espanse e si alzò tra le fiamme come fumo che salisse verso il lucernario e la mia amata Aenea morì.

Percepii l’istante della sua morte come una implosione di vista e di suono e di essenza dei simboli. Ogni cosa nell’universo, che meritasse amore e per cui valesse la pena vivere, scomparve in quell’istante.

Non urlai di nuovo. Smisi di battere le pareti del serbatoio. Galleggiai nell’assenza di peso, sentii il serbatoio prosciugarsi, sentii le droghe e i tubicini per la crio-fuga cadere su di me e dentro di me come larve nella carne. Non mi ribellai. Me ne fregai.

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