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«Che vuoi dire?»

«Lo sai che voglio dire. Mio padre, mia madre, tua madre, la loro vita è stata piena di questa storia. La mia vita… vissuta due volte, ora… un continuo combattimento contro un invisibile nemico. Scappare e scappare, aspettare e aspettare. Indietro e avanti nel tempo, come una sciagurata trottola che ti ha preso la mano… oh, maledizione.»

Aenea rimase in silenzio.

«Una sola richiesta» disse Rachel. Guardò me. «Senza offesa, Raul. Mi sei diventato molto simpatico. Ma vorrei che Aenea mi portasse da sola sul mondo di Barnard.»

Guardai Aenea. «Per me va bene» dissi.

Rachel sospirò. «Di nuovo su quell’arretrato pianeta… campi di granturco e tramonti e piccole cittadine con grandi case bianche e ampi porticati. Mi annoiava già quando avevo otto anni.»

«Lo amavi, quando avevi otto anni» disse Aenea.

«Sì. Lo amavo.» Strinse la mano al prete, poi a Het Masteen, poi a me.

D’impulso, ricordando i più oscuri versi dei Canti del vecchio poeta, ricordando d’averne riso ai margini del cerchio di luce del fuoco di bivacco mentre nonna me li faceva ripetere parola per parola, chiedendomi se qualcuno avesse mai detto davvero simili cose, dissi a Rachel: «Ciao ciao, maramao».

Rachel mi lanciò un’occhiata bizzarra e nei suoi occhi verdi si riflette la luce del pianeta sospeso sopra di noi. «A fra poco, bel topo.»

Prese la mano di Aenea e svanì con lei. Non c’era lampo di luce, se non si viaggiava con Aenea. Solo un’improvvisa… assenza.

Aenea tornò dopo cinque minuti. Het Masteen uscì dal cerchio di comando e rimase a braccia conserte, mani nelle ampie maniche della veste. «Maestra?»

«Il sistema solare di Pacem, per favore, Vera Voce dell’Albero Het Masteen.»

Il templare non si mosse. «Lei sa già, cara amica e maestra, che ormai la Pax avrà richiamato nel sistema del Vaticano metà delle sue navi da guerra.»

Aenea alzò lo sguardo e lo girò sulle foglie lievemente fruscianti del magnifico albero in cui viaggiavamo. Un chilometro dietro di noi, il bagliore del motore a fusione ci spingeva lentamente fuori del pozzo gravitazionale del mondo di Barnard. Qui nessuna nave della Pax ci aveva intimato l’alto là.

«Gli erg riusciranno a tenere attivi i campi finché non saremo vicino a Pacem?» domandò Aenea.

Il capitano allargò le braccia, mani a palme in alto. «Non ne sono sicuro» disse. «Sono sfiniti. Il tributo che questi attacchi hanno preteso da loro…»

«Lo so» disse Aenea. «E mi spiace davvero. Ti dovrai trattenere nel sistema di Pacem solo un paio di minuti. Forse se acceleri adesso e ti tieni pronto a manovrare a tutto motore appena compariremo nel sistema, la nave-albero riuscirà a teleportarsi via prima che i campi cedano.»

«Tenteremo» disse Het Masteen. «Ma tenetevi pronti a teleportarvi via immediatamente. La vita della nave-albero potrebbe essere misurata in secondi, dopo il nostro arrivo.»

«Prima dobbiamo mandare via la nave del console» disse Aenea. «Dobbiamo farlo subito, qui. Solo qualche istante, Het Masteen.»

Il templare annuì e tornò ai quadri comando.

«Oh, no» dissi, quando Aenea si girò dalla mia parte. «Non vado su Hyperion nella nave del console.»

Aenea parve sorpresa. «Pensavi che ti mandassi via, dopo averti detto che potevi restare con me?»

Incrociai le braccia. «Abbiamo visitato gran parte dei pianeti della Pax e della Periferia, tranne Hyperion. Qualsiasi cosa tu progetti, non credo che lascerai fuori il nostro pianeta natale.»

«Non lo lascio fuori, infatti» disse Aenea. «Ma non andremo di persona su Hyperion.»

Non capivo.

Aenea si rivolse all’androide. «A. Bettik, la nave dovrebbe essere pronta a partire. Hai con te la lettera che ho scritto per zio Martin?»

«Certo, signora Aenea.» L’androide non pareva contento, ma neanche addolorato.

«Per favore, digli che gli voglio bene.»

«Un momento, un momento» intervenni. «A. Bettik è il tuo… il tuo inviato… su Hyperion?»

Aenea si lisciò la guancia. Intuii che era più sfinita di quanto non immaginassi, ma risparmiava le forze per qualcosa d’importante ancora da venire. «Il mio inviato?» disse. «Intendi come Rachel e Theo e la Dorje Phamo e George e Jigme?»

«Già. E come gli altri trecento.»

«No. A. Bettik non sarà il mio inviato su Hyperion. Non in quel senso. E con la propulsione Hawking, la nave del console accumulerà un grosso debito temporale. La nave e A. Bettik non arriveranno prima di alcuni dei nostri mesi.»

«Allora chi è l’inviato, il collegamento, su Hyperion?» domandai, sicuro che quel pianeta non sarebbe stato esentato.

«Non lo indovini?» sorrise Aenea. «Il caro zio Martin. Il poeta e critico diventa ancora una volta un giocatore in questa infinita partita a scacchi contro il Nucleo.»

«Ma gli altri hanno tutti preso la comunione con te e…» Mi fermai.

«Sì. Quando ero ancora bambina. Zio Martin capì. Bevve il vino. Non fu difficile per lui adattarsi: da secoli, nel suo modo da poeta, udiva il linguaggio dei morti e dei vivi. Così giunse a scrivere i Canti. Per questo pensò che lo Shrike fosse la sua musa.»

«Allora perché A. Bettik riporta su Hyperion la nave? Solo per consegnare il tuo messaggio?»

«Per questo e altro» disse Aenea. «Se tutto funzionerà, vedremo.» Abbracciò l’androide. A. Bettik, con l’unica mano, le diede goffe pacche sulla schiena.

L’attimo dopo, più emozionato di quanto non ritenessi possibile, strinsi la mano all’androide. «A. Bettik, mi mancherai» dissi stupidamente.

L’androide mi guardò a lungo, annuì, si girò verso la nave in attesa.

«A. Bettik!» chiamai, proprio mentre lui stava per entrare nella nave.

L’androide si girò e attese che corressi al mio piccolo mucchio di bagaglio sulla piattaforma inferiore e tornassi di corsa. «Prendilo tu, ti spiace?» Gli porsi la custodia di cuoio.

«Il tappeto Hawking. Sì, certo, signor Endymion. Sarò lieto di conservarlo per lei finché non ci rivedremo.»

«E se non ci rivedremo…» Esitai. Stavo per dire: "Consegnalo per favore a Martin Sileno", ma sapevo dalle mie visioni da sveglio che il vecchio poeta era in punto di morte. «Se per caso non dovessimo più vederci, A. Bettik, ti prego di tenere il tappeto come ricordo del nostro viaggio. E della nostra amicizia.»

A. Bettik mi guardò in silenzio ancora un momento, annuì di nuovo ed entrò nella nave del console. Quasi m’aspettavo che la nave ci salutasse, un addio pieno di parole usate a sproposito e di informazioni sbagliate, ma quella si limitò a conferire con gli erg della nave-albero, si sollevò silenziosamente sui repulsori fino a uscire dal campo di contenimento e poi si allontanò senza forzarli, fino a distanza di sicurezza da noi. Mentre accelerava lontano dal mondo di Barnard e dalla Yggdrasill, la sua coda di fusione era così luminosa che mi vennero le lacrime. Desiderai allora con tutto il cuore che Aenea e io tornassimo un giorno su Hyperion, con A. Bettik, pronti a dormire per giorni nel largo letto in cima alla nave e poi ascoltare la musica dello Steinway e nuotare in una piscina a gravità zero sopra la loggia…

«Dobbiamo andare» disse Aenea a Het Masteen. «Ti spiace avvertire gli erg di ciò che incontreremo?»

«Come desidera, maestra» disse la Vera Voce dell’Albero.

«Ancora una cosa, Het Masteen…»

Il templare si girò, in attesa di nuovi ordini.

«Grazie, Het Masteen» disse Aenea. «A nome di tutti quelli che sono venuti con te in questo viaggio e di tutti quelli che parleranno del tuo viaggio nelle generazioni future, grazie, Het Masteen.»

Il templare le rivolse un inchino a tornò ai quadri di comando. «Motore a nove-due per cento, pronti per manovre evasive» disse ai suoi amati erg avvolti intorno all’invisibile singolarità, quasi un chilometro sotto di noi. «Pronti per il sistema di Pacem.»

Padre de Soya era rimasto in silenzio nei pressi, ma ora prese nella sinistra la destra di Aenea. Con la destra diede al templare e ai cloni d’equipaggio una silenziosa benedizione: «In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti».

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