Proprio sotto il baluginio del campo di contenimento c’era un enorme ramo piattaforma. Non sapevo se le ali avrebbero funzionato nel campo, ma Palou Koror attraversò con un semplice scintillio la barriera, come un tuffatore che tagli con eleganza l’acqua, seguito da Drivenj Nicaagat, da Lhomo, da Aenea, infine da me; ripiegai le ali fino a ridurne il diametro a una decina di metri, attraversai la barriera di energia e tornai di nuovo in un ambiente di aria, di suoni, di odori, di brezze.
Atterrammo sulla piattaforma.
«Davvero bravi, per il primo volo» disse Palou Koror, con voce ora sintetizzata per l’atmosfera. «Volevamo condividere con voi un breve momento della nostra vita.»
Aenea disattivò la dermotuta intorno al viso e lasciò che rifluisse in un collare di mercurio fluido. Aveva occhi luminosi, pieni di vita come mai li avevo visti. Era rossa d’entusiasmo, aveva i capelli madidi. «Meraviglioso!» esclamò. Si girò, mi prese per la mano, mi tenne stretto. «Meraviglioso… Grazie infinite. Grazie, grazie, grazie, cittadino Nicaagat, cittadino Koror.»
«È stato un piacere, riverita maestra» disse Nicaagat, con un inchino.
Alzai gli occhi e mi accorsi che la Yggdrasill era ormeggiata proprio sopra di noi: il chilometro di rami e tronchi della nave-albero si fondeva perfettamente con i rami della biosfera. La notai solo perché un calamaro spaziale aveva ormeggiato la nave del console e in quel momento la tirava lentamente in una capsula hangar. Cloni d’equipaggio, impegnati in un febbrile lavoro, portavano nella nave di Het Masteen carichi di provviste e cubi di Moebius; decine di cordoni ombelicali di supporto vita e di steli vegetali di collegamento correvano dall’Albero Stella alla nave-albero.
Aenea mi stringeva ancora la mano. Quando girai lo sguardo dalla nave-albero sospesa sopra di noi alla mia amica, Aenea si sporse e mi baciò sulle labbra. «Riesci a immaginarlo, Raul? Milioni di Ouster spazio-adattati vivono realmente là fuori, vedono in continuazione tutta quella energia, volano per settimane e mesi nel vuoto dello spazio, corrono nelle tumultuose rapide delle sfere magnetiche e nei vortici intorno ai pianeti, cavalcano le onde d’urto del vento solare, per dieci o più UA, e poi volano ancora oltre, ai confini dell’eliosfera, da settantacinque a centocinquanta UA dalla stella, là dove il vento solare cessa e inizia l’ambiente interstellare. Odono davvero il sibilo e i bisbigli e il rombo dei frangenti dell’oceano dell’universo. Riesci a immaginarlo?»
«No» risposi. Non ci riuscivo. Non sapevo di che cosa parlasse. A quel tempo, almeno.
A. Bettik, Rachel, Theo, Kassad e gli altri scesero da una liana di transito. Rachel portò gli abiti per Aenea. A. Bettik aveva quelli per me.
Ouster e altri circondarono di nuovo la mia amica, cercarono risposte a domande urgenti, chiarimenti di ordini, fecero rapporti sull’imminente lancio della navetta automatica a propulsione Gideon. La pressione della folla ci separò.
Aenea girò la testa e mi salutò col braccio. Alzai la mano, ancora argentata dalla dermotuta, per ricambiare il saluto, ma lei era già sparita.
Quella sera alcune centinaia di noi presero una capsula di trasporto trainata da un calamaro celeste per raggiungere un sito a molte migliaia di chilometri a nordest sul piano dell’eclittica lungo il guscio interno della biosfera Albero Stella; ma il viaggio durò meno di trenta minuti, perché il calamaro usò una scorciatoia, tagliando un arco nello spazio dalla nostra sezione di sfera a quella di destinazione.
Il complesso di capsule viventi e di piattaforme pubbliche, di rami torre e di ponti di collegamento in quella sezione dell’albero ancora molto vicina alla nostra regione, per la geografia di quella gigantesca struttura, pareva diversa — più ampia, più barocca, davvero aliena — e gli Ouster e i templari di quella zona parlavano un dialetto leggermente diverso, mentre gli Ouster spazio-adattati si ornavano con bande di colore scintillante che non avevo ancora visto. Lì, nelle zone fornite di atmosfera, c’erano altri tipi di uccelli e di animali: pesci esotici che nuotavano nell’aria nebbiosa, grandi branchi di creature simili alle orche della Vecchia Terra, munite però di corte braccia e di eleganti mani. E questa zona distava solo poche migliaia di chilometri da quella che conoscevo. Non riuscivo a immaginare la diversità di culture e di forme di vita in tutta quella biosfera. Per la prima volta capii ciò che Aenea e gli altri avevano continuato a ripetermi: le sezioni già ultimate della biosfera avevano maggiore superficie di tutti i pianeti scoperti dall’uomo nei suoi mille anni di volo interstellare. Una volta completato l’Albero Stella e accelerata la biosfera interna, il volume di spazio vivibile,avrebbe superato quello di tutti i pianeti abitabili della Via Lattea.
Fummo accolti da funzionari locali, festeggiati per qualche momento su affollate piattaforme a un sesto di gravità, fra centinaia di dignitari Ouster e templari, poi condotti in una capsula così vasta che poteva benissimo essere una piccola luna.
Parecchie centinaia di migliaia di Ouster e di templari erano in attesa, insieme con alcune centinaia di Seneschai Aluit e una moltitudine di Akerataeli librati nei pressi della piattaforma centrale. Mi resi conto con sorpresa che gli erg avevano portato il campo di contenimento interno a un comodo valore di un sesto di g, spingendo tutti verso la superficie della sfera; ma poi notai che i sedili continuavano in alto e sopra e intorno a tutto l’interno della sfera. Cambiai la stima della folla: i presenti superavano facilmente il milione di individui.
Il cittadino Ouster Navson Hamnim e la Vera Voce dell’Albero Stella Ket Rosteen presentarono Aenea e dissero che aveva portato con sé il messaggio che il loro popolo attendeva da secoli.
La mia giovane amica salì sul podio, guardò in alto e intorno e in basso, come per stabilire contatto visivo con ogni persona presente nella smisurata sala. Pareva calma. Il sistema acustico era così sofisticato che saremmo riusciti a sentirla deglutire o respirare.
«Scegli ancora» disse Aenea. Si girò, si allontanò dal podio e si accostò al lungo tavolo dove erano disposti i calici.
Centinaia di noi donarono il sangue, solo alcune gocce, e i calici di vino vennero fatti circolare tra i presenti in attesa. Non c’era modo, capii, che un milione di Ouster e di templari in attesa di comunicarsi potessero essere serviti dalle poche centinaia di noi che avevano già ricevuto da Aenea la comunione; ma gli aiutanti trassero gocce di sangue, usando bisturi sterilizzati, le gocce furono trasferite al serbatoio di vino, decine e decine di aiutanti passarono sotto gli zipoli i bulbi a calice e nel giro di un’ora tutti coloro che desideravano fare la comunione col sangue-vino di Aenea furono accontentati. La grande sfera cominciò a svuotarsi.
Dopo le due parole di Aenea, nient’altro era stato detto per l’intera serata. Per la prima volta in quel lungo giorno che pareva eterno, ci fu silenzio nella capsula di trasporto diretta a casa. Casa: la nostra regione dell’Albero Stella all’ombra della Yggdrasill destinata a partire entro venti ore.
Mi ero sentito un impostore. Avevo bevuto il vino quasi ventiquattro ore prima, ma non provavo niente, quel giorno, a parte il solito amore per Aenea, cioè il mio assolutamente insolito, unico amore per Aenea, senza precedenti né uguali.
Tutti quelli che volevano bere, avevano bevuto. La grande sfera si era svuotata, nel silenzio anche di chi non era venuto per accettare la comunione, e non so dire se il silenzio fosse dovuto alla delusione per quel discorso di due parole o alla riflessione su qualcosa che andava al di là e al di sotto del discorso stesso.
Prendemmo la capsula di trasporto per fare ritorno alla nostra regione dell’Albero Stella e restammo anche noi in silenzio, a parte le frasi indispensabili. Non era un silenzio impacciato o deluso, era piuttosto un silenzio di stupore reverenziale confinante con la paura, al termine di una parte della propria vita e all’inizio, speranza di inizio, di un’altra.