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Mi orientai in modo da guardare ancora in viso Rachel, nella fioca luce color seppia. «Allora come ci siamo riusciti?»

«Non c’è stata traslazione. Aenea ha indirizzato la nave in un punto dello spazio da dove ci siamo teleportati direttamente in questo sistema.»

«Teleportati?» C’era forse un teleporter spaziale funzionante? Come quelli che usavano un tempo le navi della Force per i trasferimenti? Non credevo che qualcuno di quei teleporter fosse sopravvissuto alla Caduta.

Rachel scuoteva la testa. «Non c’era nessun teleporter. Niente. Solo un punto arbitrario a qualche centinaio di chilometri dalla seconda luna. È stato un bell’inseguimento, le navi della Pax ci intimavano l’alt e minacciavano di aprire il fuoco. Alla fine l’hanno aperto: raggi di energia che saettavano verso di noi da decine di fonti. Non saremmo diventati neppure un campo di detriti, ma semplici gas in una traiettoria sempre più ampia. Invece abbiamo raggiunto il punto verso cui Aenea si dirigeva e all’improvviso ci siamo trovati… qui.»

Non dissi di nuovo: "Dov’è, qui?", ma galleggiai fino alla parete ricurva e cercai di scrutare dall’altra parte. La parete era calda al tatto, spugnosa, organica, e filtrava la maggior parte della luce del sole. Di conseguenza all’interno c’era una bella luce soffusa, che però rendeva difficile vedere fuori: si scorgeva solo la stella ardente e una traccia dell’incredibile struttura geometrica al di là della nostra capsula.

«Sei pronto a vedere dove?» disse Rachel.

«Sì.»

«Capsula, superficie trasparente, per favore.»

Di colpo più niente ci separava dall’esterno. A momenti gridai di terrore. Invece agitai braccia e gambe nel tentativo di trovare una superficie solida a cui aggrapparmi, finché Rachel non si avvicinò e con mano ferma mi stabilizzò.

Eravamo nello spazio. La capsula intorno a noi era semplicemente scomparsa. Galleggiavamo nello spazio… avevamo l’impressione di galleggiare nello spazio, a parte la presenza d’aria respirabile, ed eravamo quasi alla punta estrema di un…

Albero non è la parola esatta. Ne avevo visti di alberi. Quello non era un albero.

Ma avevo sentito parlare molto dei vecchi Alberi Mondo dei templari, avevo visto il ceppo dell’Albero Mondo su Bosco Divino, e avevo sentito parlare delle navi-albero lunghe chilometri che viaggiavano tra i sistemi solari ai tempi del pellegrinaggio di Martin Sileno.

Questo non era un Albero Mondo né una nave-albero.

Avevo sentito pazzesche leggende (da Aenea, a dire il vero, perciò con ogni probabilità non erano leggende) riguardanti un anello arboreo intorno a una stella, un anello fantasticamente intrecciato di materia vivente che si estendeva intorno a un astro del tipo del sole della Vecchia Terra. Una volta avevo provato a calcolare quanta materia vivente sarebbe stata necessaria per un anello del genere e avevo concluso che quella storia era di sicuro una balla.

Questo non era un anello arboreo.

Ciò che si estendeva all’esterno, ai miei lati, curvando all’interno su scala troppo grande per essere comprensibile alla mia mente formata a livello planetario, era una sfera di materia vivente vegetale, diramata e intrecciata: tronchi del diametro di decine o centinaia di chilometri, rami larghi chilometri, foglie larghe centinaia di metri, sistemi di radici aeree che si estendevano per centinaia, no, migliaia di chilometri nello spazio, rami ingraticciati e avviluppati che si protendevano all’interno e all’esterno in tutte le direzioni, tronchi lunghi come il Mississippi della Vecchia Terra che parevano in lontananza minuscoli fuscelli, forme arboree delle dimensioni del continente Aquila su cui ero nato che si mescolavano in migliaia di altre macchie e masse di verzura, tutte piegate in dentro e in fuori, da ogni parte, in ogni direzione; c’erano molti squarci neri, buchi nello spazio, alcuni più grandi dei tronchi e della verzura che si intrecciava intorno a essi, ma in nessun punto gli squarci erano completi, dappertutto i tronchi e i rami e le radici si intrecciavano, aprivano innumerevoli miliardi di foglie verdi alla stella che ardeva lontano nel luogo geometrico al centro del…

Chiusi gli occhi.

«Non può essere reale.»

«È reale» disse Rachel.

«Gli Ouster?»

«Sì» confermò l’amica di Aenea, la bambina dei Canti. «E i templari. E gli erg. E… altri. È vivo, ma artificiale… una cosa curata.»

«Impossibile. Occorrerebbero milioni di anni per far crescere questa… sfera.»

«Biosfera» precisò Rachel, con un sorriso.

Scossi la testa. «Biosfera è un vecchio termine, riguarda solo il sistema chiuso di vita su un pianeta e intorno a esso.»

«Questa è una biosfera» ripeté Rachel. «Solo che qui non ci sono pianeti. Comete, sì; ma non pianeti.» Indicò un punto.

Molto lontano, forse a centinaia di migliaia di chilometri, dove l’interno della sfera vivente si scoloriva in un verde confuso anche nel vuoto, una lunga striscia bianca si muoveva lentamente e attraversava uno squarcio nero fra i tronchi.

«Una cometa» ripetei come uno sciocco.

«Per l’irrigazione» disse Rachel. «Ne occorrono milioni. Per fortuna nella Nube di Oort ce ne sono parecchi miliardi. E altri miliardi sono nella Fascia di Kuiper.»

Rimasi a guardare. Là fuori c’erano altri puntini bianchi, ciascuno con una lunga coda luminosa. Mentre li guardavo, alcuni si mossero fra i tronchi e i rami, mi diedero un’idea della scala di quella biosfera. "Le traiettorie delle comete passano nelle aperture della materia vegetale. Se questa è davvero una sfera, nel percorso verso l’esterno del sistema le comete dovrebbero ripassare attraverso il globo vivente. Che sorta di fiducia occorre per fare una cosa del genere?"

«Cos’è questa cosa nel cui interno ci troviamo?» domandai.

«Una capsula ambientale» rispose Rachel. «Un bulbo di vita. Questo è fatto su misura per il servizio medico. Non si limita a monitorare flebo, segni vitali e rigenerazione dei tessuti; fa crescere e produce molte medicine e altri prodotti chimici.»

Toccai il materiale quasi trasparente. «Quanto è spesso?»

«Circa un millimetro. Ma è molto resistente. Ci può proteggere dalla maggior parte degli impatti di micrometeoriti.»

«Dove si procurano gli Ouster un simile materiale?»

«Biofabbricano i geni e quello cresce da solo. Te la senti di uscire per vedere Aenea e incontrare altre persone? Aspettano tutti il tuo risveglio.»

«Sì» dissi e poi, rapidamente: «No! Rachel?».

Lei mi galleggiò vicino, aspettando. Notai quanto erano luminosi i suoi occhi neri in quella luce sorprendente. Quasi uguali a quelli della mia amata.

«Rachel…» iniziai, impacciato.

Lei aspettò e toccò la parete trasparente per orientarsi a testa in su rispetto a me.

«Rachel, a dire il vero non abbiamo parlato molto…»

«Non ti ero simpatica» disse lei, con un sorriso gentile.

«Non è vero… cioè, era vero, in un certo senso… ma solo perché all’inizio non capivo la situazione. Per Aenea ero stato via cinque anni… era difficile… ero geloso, penso.»

Rachel inarcò il sopracciglio. «Geloso, Raul? Pensavi che Aenea e io fossimo state amanti negli anni della tua assenza?»

«Be’, no… cioè, non sapevo…»

Rachel alzò la mano, risparmiandomi altro imbarazzo. «Non eravamo amanti» disse. «Mai state. Aenea non avrebbe nemmeno immaginato una cosa del genere. Forse Theo si sarebbe trastullata con l’idea, ma sapeva dall’inizio che Aenea e io eravamo destinate ad amare certi uomini.»

La fissai. "Destinate?"

Rachel sorrise di nuovo. Potevo immaginare quel sorriso sulla bimbetta di cui Sol Weintraub parlava nei Canti di Hyperion. «Non preoccuparti, Raul. Si dà il caso che io sappia per certo che Aenea non ha mai amato nessuno tranne te. Anche quando era bambina. Anche prima di incontrarti. Sei sempre stato il suo prescelto.» Il suo sorriso divenne triste. «Fossimo tutti così fortunati!»

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