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«Isozaki ha paura» disse padre Farrell. «Pensa che…»

Il Grande Inquisitore alzò il dito. Padre Farrell si interruppe a metà della frase. «Tu non sai che ha paura» disse il cardinale. «Tu non sai cosa pensa. Tu sai solo ciò che dice e ciò che fa; da questo deduci il suo pensiero e le sue reazioni. Non fare mai ipotesi non comprovabili sui tuoi nemici, Martin. Potrebbe rivelarsi una fatale indulgenza nei tuoi stessi confronti.»

Padre Farrell chinò la testa per mostrare d’essere d’accordo, ma anche in segno di sottomissione.

Il VEM atterrò nell’apposita area in cima a Castel Sant’Angelo. Il Grande Inquisitore uscì dal portello e scese la scaletta, con tale rapidità che Farrell fu costretto a correre per raggiungerlo. Agenti della sicurezza, nella rossa uniforme corazzata del Sant’Uffizio, si disposero a passo di scorta davanti a loro e dietro di loro, ma il Grande Inquisitore li allontanò con un gesto. Voleva terminare il discorso con padre Farrell. Toccò il braccio sinistro del suo aiutante, non come gesto amichevole, ma per chiudere i circuiti a conduzione ossea, in modo da poter parlare senza emissione di suono. «Isozaki e i capi della Pax Mercatoria non hanno paura, Martin» disse. «Se Lourdusamy avesse voluto la loro epurazione, a quest’ora sarebbero già morti. Isozaki doveva trasmettere il messaggio di sostegno al cardinale e l’ha trasmesso. Ad avere paura sono i militari della Pax.»

Farrell corrugò la fronte e replicò sul circuito osseo. «I militari? Ma ancora non hanno giocato la loro carta. Non hanno fatto niente di eversivo.»

«Appunto» ammise il Grande Inquisitore. «I capi della Pax Mercatoria hanno fatto la loro mossa e sanno che a tempo debito Lourdusamy penserà a loro. Per anni i militari della Flotta della Pax e delle altre forze armate hanno avuto paura di fare la scelta sbagliata. Ora hanno paura di avere atteso troppo.»

Farrell annuì. Avevano preso un ascensore gravitazionale per scendere nel ventre di pietra di Castel Sant’Angelo; ora oltrepassarono guardie armate e attraversarono letali campi di forza posti lungo un corridoio buio. Davanti a una porta priva di targhe, due agenti in uniforme rossa scattarono sull’attenti, sollevando il fucile a energia.

«Lasciateci qui» disse il Grande Inquisitore. Posò la palma sulla piastra di identificazione. Il pannello d’acciaio scivolò sulle guide e scomparve.

Il corridoio era stato pietra e ombre. L’interno della sala era vivida luce, strumenti e superfici sterili. All’ingresso del Grande Inquisitore e di Farrell, alcuni tecnici alzarono lo sguardo. Una parete della stanza era occupata da sportelli quadrati che parevano proprio contenitori per cadaveri umani, come in un’antica morgue. Uno sportello era aperto e un uomo nudo era disteso su un lettino a rotelle estratto dal cassetto frigorifero.

Il Grande Inquisitore e Farrell si fermarono ai lati del lettino.

«Ritorna in vita senza problemi» disse il tecnico al quadro comandi. «Lo teniamo appena sotto la superficie. Possiamo rianimarlo anche subito.»

«Quanto tempo è durato il suo ultimo crio-sonno?» domandò padre Farrell.

«Sedici mesi locali» rispose il tecnico. «Tredici e mezzo standard.»

«Rianimatelo» ordinò il Grande Inquisitore.

Nel giro di qualche secondo l’uomo cominciò a battere le palpebre. Era piccolo, muscoloso ma compatto, e non aveva segni o lividi sul corpo. Ai polsi e alle caviglie portava ceppi di lappolite. Uno shunt corticale gli era stato impiantato proprio dietro l’orecchio sinistro e un fascio quasi invisibile di microfibre correva dallo shunt al quadro comandi.

L’uomo sul lettino gemette.

«Caporale Bassin Kee» disse il Grande Inquisitore «mi senti?»

Il caporale Kee emise un suono incomprensibile.

Il Grande Inquisitore annuì, come soddisfatto. «Caporale Kee» disse in tono piacevole, da conversazione «dobbiamo ricominciare dal punto in cui ci eravamo interrotti?»

«Quanto tempo…» borbottò Kee, con labbra secche e irrigidite. «Quanto tempo sono stato…»

Padre Farrell si era spostato accanto al tecnico davanti al quadro di comando. Ora rivolse un cenno di assenso al Grande Inquisitore.

Senza fare caso alla domanda del caporale, il cardinale John Domenico Mustafa disse piano: «Perché tu e il padre capitano de Soya avete lasciato andare la bambina?».

Il caporale Kee aveva aperto gli occhi, battendo le palpebre come se la luce gli ferisse dolorosamente la vista; ora li richiuse. Rimase in silenzio.

Il Grande Inquisitore rivolse un cenno al suo aiutante. Padre Farrell passò la mano su alcune icone nel diskey del quadro di comando, ma per il momento non ne attivò nessuna.

«Te lo ripeto» disse il Grande Inquisitore. «Perché tu e de Soya avete permesso alla bambina e ai suoi alleati criminali di fuggire da Bosco Divino? Per chi lavoravate? Quali erano i vostri motivi?»

Il caporale Kee rimase supino, mani strette a pugno e occhi serrati. Non rispose.

Il Grande Inquisitore piegò impercettibilmente la testa a sinistra e padre Farrell mosse due dita sopra una delle icone. A un occhio non addestrato, quelle icone erano astratte come geroglifici, ma Farrell le conosceva bene. Quella da lui scelta poteva essere interpretata come "testicoli schiacciati".

Sul lettino il caporale Kee ansimò e spalancò la bocca per urlare, ma gli inibitori neurali bloccarono la sua reazione. Il caporale spalancò al massimo le mascelle e padre Farrell percepì la tensione dei muscoli e dei tendini.

Il Grande Inquisitore annuì e Farrell tolse le dita dalla zona di attivazione sopra l’icona. Sul lettino a rotelle il caporale Kee era scosso da convulsioni in tutto il corpo; i muscoli addominali gli si increspavano per la tensione.

«È soltanto dolore virtuale, caporale Kee» mormorò il Grande Inquisitore. «Una illusione neurale. Il tuo corpo non ha il minimo segno.»

Sulla lastra, Kee si sforzava di alzare la testa per guardarsi l’inguine, ma la banda di lappolite glielo impediva.

«O forse no» riprese il Grande Inquisitore. «Forse stavolta siamo ricorsi a metodi più antichi e meno raffinati.» Si avvicinò di un passo al lettino a rotelle, in modo che il caporale potesse guardarlo in viso. «Di nuovo, perché tu e il padre capitano de Soya avete lasciato la bambina su Bosco Divino? Perché avete assalito la vostra collega Rhadamanth Nemes?»

Il caporale Kee storse la bocca fino a mostrare i molari. «V… v… vaffanculo» riuscì a dire, serrando le mascelle per resistere al tremito che lo squassava.

«Ma certo» disse il Grande Inquisitore e rivolse un cenno a padre Farrell.

Stavolta l’icona attivata da Farrell poteva essere interpretata come "ferro rovente dietro l’occhio destro".

Il caporale Kee spalancò la bocca in un urlo muto.

«Di nuovo» disse piano il Grande Inquisitore. «Raccontaci tutto.»

«Chiedo scusa, eminenza» disse padre Farrell, con un’occhiata al comlog «ma la messa del conclave inizia fra quarantacinque minuti.»

Il Grande Inquisitore scacciò con un gesto l’obiezione. «Abbiamo tempo, Martin. Abbiamo tempo.» Toccò l’avambraccio del caporale Kee. «Raccontaci quei pochi fatti, caporale, e sarai lavato, vestito e rilasciato. Con questo tradimento hai peccato contro la nostra Chiesa e il Tuo Signore, ma l’essenza della Chiesa è il perdono. Spiega le ragioni del tuo tradimento e tutto ti sarà perdonato.»

Sorprendentemente, con i muscoli ancora vibranti per lo shock, il caporale Kee si mise a ridere. «Vaffanculo» disse. «Mi hai già costretto a dirti tutto ciò che so. Hai usato la veritina. Sai perché abbiamo ucciso quella puttana e lasciato andare la ragazza. E non mi lascerai mai libero. Vaffanculo.»

Il Grande Inquisitore si strinse nelle spalle e arretrò. Diede un’occhiata al suo comlog d’oro e disse piano: «Abbiamo tempo. Molto tempo». Rivolse un cenno a padre Farrell.

L’icona che pareva una doppia parentesi sul quadro comando di dolore virtuale poteva essere interpretata come "lama larga e rovente nell’esofago". Con un aggraziato movimento delle dita padre Farrell la mise in funzione.

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