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Intanto i marines ampliavano l’area di ricerca e usavano monorepulsori per esplorare le pareti degli strapiombi intorno al Fallo di Shiva. Scandagliarono col radar il Rhan Tso, il lago Lontra, ma non trovarono né lontre né i cadaveri dei prelati scomparsi. Nell’enclave c’era stata, con il gruppo del Grande Inquisitore, una guardia d’onore di dodici marines — più il pilota della navetta — ma anche di loro non c’era traccia. Furono trovati sangue e visceri, fu analizzato il DNA e così si seppe la sorte di quasi tutti gli scomparsi, ma i loro cadaveri non furono trovati.

«Dobbiamo allargare la ricerca al Palazzo d’inverno?» domandò il tenente dei marines al comando della squadra. Tutti i marines avevano il preciso ordine di non disturbare i locali, in particolare il Dalai Lama e il suo popolo, prima che arrivasse la nave del Tecno-Nucleo a mettere a nanna la popolazione.

«Aspetta un momento» disse Wolmak. Vide che la spia del monitor dell’ammiraglio Lempriere era accesa. Anche il diskey di trasmissione, sulla sua rete di comando, palpitava: era l’ufficiale dei servizi segreti della Jibril, giù nella bolla dei sensori. «Sì?»

«Capitano, stavamo monitorando visualmente l’area del palazzo. Laggiù è accaduta una cosa terribile.»

«Quale?» sbottò brusco, Wolmak: di norma i membri del suo equipaggio non erano mai così vaghi.

«Ci era sfuggito, signore» disse l’ufficiale dei servizi. Era una donna giovane ma in gamba e Wolmak lo sapeva. «Usavamo strumenti ottici per controllare l’area intorno all’enclave. Ma guardi questo…»

Wolmak spostò leggermente la testa e guardò il pozzetto olografico dove si formava una immagine che veniva trasmessa anche all’ammiraglio. Il lato est del Palazzo d’inverno, a Potala, visto da alcune centinaia di metri sopra il ponte Kyi Chu.

Il piano stradale del ponte mancava, era stato ritirato. Ma sui gradini e sulle terrazze fra il palazzo e il ponte e su alcune strette cornici nel baratro fra il palazzo e il monastero Drepung sul lato est c’erano decine — centinaia — di cadaveri insanguinati e smembrati.

«Signore Iddio!» esclamò il capitano Wolmak. Si fece il segno di croce.

«Abbiamo identificato la testa del reggente Troka fra i cadaveri a pezzi» disse con calma l’ufficiale dei servizi.

«La testa?» ripeté Wolmak. Si rese conto che quell’inutile commento veniva trasmesso all’ammiraglio insieme col resto: fra quattro minuti l’ammiraglio Lempriere avrebbe saputo che lui faceva commenti stupidi. Pazienza. «Nient’altro di importante, laggiù?»

«Nossignore. Ma ora trasmettono su varie frequenze radio.»

Wolmak inarcò il sopracciglio: fino a quel momento il Palazzo d’inverno aveva mantenuto il silenzio radio. «Cosa dicono?»

«Parlano in cinese mandarino e in tibetano pre-Egira» rispose il tenente. Ma si affrettò a soggiungere: «Sono tutti in preda al panico, capitano. Il Dalai Lama non si trova. E neppure il capo della squadra di sicurezza del piccolo lama. Il generale Surkhang Sewon Chempo, capo della Guardia palatina, è morto, signore… hanno confermato d’avere trovato il suo cadavere privo di testa».

Wolmak lanciò un’occhiata all’orologio. La trasmissione era a metà strada dalla nave ammiraglia. «Chi è stato? Lo Shrike?»

«Non sappiamo, signore. Come ho detto, le telecamere erano puntate altrove. Controlleremo i dischi.»

«Bene, controllate» disse Wolmak. Non poteva aspettare ancora. Trasmise al tenente dei marines: «Vada al palazzo, tenente. Scopra cosa diavolo accade. Mando giù altre cinque navette, VEM da guerra e un tòttero con armamento pesante. Cerchi tracce dell’arcivescovo Breque, di padre Farrell o di padre LeBlanc. E del pilota e della guardia d’onore, naturalmente».

«Sissignore.»

La spia luminosa del collegamento internave divenne verde. In quel momento l’ammiraglio riceveva l’ultima trasmissione. Troppo tardi per aspettare l’ordine. Wolmak chiamò le due più vicine navi della Pax, navi torcia in orbita appena al di là della luna più esterna, e ordinò di prepararsi alla battaglia e di scendere nella stessa orbita della Jibril. Forse gli sarebbe servito maggior potere di fuoco. Wolmak aveva già visto i risultati dello Shrike in azione e si sentì gelare al pensiero che quel mostro comparisse all’improvviso nella sua nave. Chiamò il capitano Samuels nella nave torcia ASS San Bonaventura. «Carol» disse all’immagine dell’allarmato capitano «passa in spazio tattico, per favore.»

Si collegò e si trovò sopra il luccicante globo rannuvolato di T’ien Shan. Samuels comparve all’improvviso accanto a lui, nel buio punteggiato di stelle.

«Carol» disse Wolmak «laggiù succede qualcosa. Forse lo Shrike è di nuovo in azione. Se all’improvviso perdi contatto con la Jibril o se cominciamo a urlare frasi sconnesse…»

«Lancio tre navette di marines» disse Samuels.

«No. Polverizzi la Jibril. Immediatamente.»

Il capitano Samuels non nascose la sorpresa. E la spia luminosa nello spazio tattico rivelò che l’ammiraglia di Lempriere trasmetteva. Wolmak staccò il collegamento.

Il messaggio era breve. «Ho fatto accelerare la Raguele per un balzo planetario appena dentro il pozzo gravitazionale di T’ien Shan» diceva l’ammiraglio Lempriere. Il suo viso affilato aveva un’espressione molto seria.

Wolmak aprì bocca per protestare contro la decisione del suo superiore, si rese conto che la protesta sarebbe arrivata circa tre minuti dopo il balzo Hawking e rimase in silenzio. Un balzo planetario di quel genere era maledettamente pericoloso, come minimo una probabilità su quattro di un disastro che avrebbe coinvolto tutto l’equipaggio, ma Wolmak capiva l’esigenza dell’ammiraglio di trovarsi dove le informazioni fossero attuali e i suoi ordini potessero essere eseguiti immediatamente.

«Signore Iddio» pensò. «Il Grande Inquisitore è ferito e moribondo; l’arcivescovo e gli altri sono scomparsi; il fottuto palazzo del Dalai Lama somiglia a un formicaio preso a calci. Maledetto Shrike! Dov’è il corriere papale con gli ordini? Dov’è la nave del Nucleo che ci era stata promessa? Peggio di così non può andare!»

«Capitano?» Era il capo medico del gruppo operativo di marines e chiamava dall’infermeria della navetta.

«Rapporto.»

«Il cardinale Mustafa ha ripreso conoscenza, signore… è sempre cieco, certo… e soffre orribilmente, ma…»

«Passamelo!»

Un orribile viso sfigurato riempì la sfera olografica. Il capitano Wolmak intuì che altri, sul ponte di comando, si ritraevano inorriditi.

Il Grande Inquisitore era ancora tutto insanguinato. Urlava di dolore e mostrava denti rossi di sangue. Le sue orbite erano slabbrate e vuote, a parte filamenti di tessuto lacerato e rivoletti di sangue.

Sulle prime il capitano Wolmak non riuscì a capire che cosa urlasse il cardinale. Ma alla fine capì l’unica parola che il Grande Inquisitore continuava a ripetere.

«Nemes! Nemes! Nemes!»

Le tre creature chiamate Nemes, Scilla e Briareo continuano verso est.

Rimangono in fase tempo rapido, incuranti delle fantastiche quantità di energia che così consumano. L’energia arriva loro da altre parti. Non devono preoccuparsi. Tutta la loro esistenza ha portato a questo momento.

Dopo l’interludio atemporale di massacro sotto la Pargo Kaling, la Porta di Ponente, Nemes precede gli altri due su per la torre e lungo i grandi cavi metallici che sostengono il ponte sospeso. Attraversano a passo svelto il mercato Drepung: tre mobili figure che si muovono nell’aria rappresa come ambra e oltrepassano sagome umane impietrite sul posto. Nel mercato Phari, guardando le migliaia di statue umane che comprano, curiosano, ridono, discutono, si spintonano, Nemes sorride: potrebbe decapitarle tutte e loro non avrebbero nessun preavviso della propria morte. Ma ha un obiettivo.

Al raccordo della funivia della cresta Phari, i tre tornano in tempo lento: altrimenti la frizione sul cavo sarebbe un guaio.

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