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Chris cercò i calzoncini e non riuscì a trovarli. Guardandosi attorno, scorse vari strani aggeggi e numerosi vasetti di creme e oli profumati. Aggrottò la fronte, si guardò attorno con maggiore attenzione, e alla fine vide quello che cercava, attaccato alla parete. Era gialla e stropicciata, ma era una licenza di prostituzione, rilasciata cinque anni prima, a Jefferson, nel Texas.

— Cosa c’è? — chiese la ragazza, uscendo dalla doccia e asciugandosi le spalle. — Hai dei begli sbalzi di umore, lo sai?

— Sì, lo so. Cosa ti devo?

— Ne abbiamo già parlato, ricordi?

— No, non ricordo, e tanto vale che ti dica che non ricordo niente degli ultimi… non so quanto. Da prima che ci incontrassimo. È così, anche se non mi piace dirlo, e non ricordo come ti chiami, non so dove ho messo i vestiti, e mi potresti dire, maledizione, cosa ti devo, in modo da andarmene via e non scocciarti più?

Lei gli si sedette accanto, sulla sponda del letto, senza toccarlo. Poi gli prese la mano.

— Proprio così, eh? — disse, a bassa voce. — Me ne hai parlato. Ma hai parlato così tanto, che non sapevo se dovessi crederti.

— Il particolare dell’amnesia era vero. Il resto, probabilmente, erano balle. Se ti ho detto che ho un mucchio di soldi, era una bugia. Avevo dei soldi al mio arrivo, ma, dopo la mia ultima perdita di memoria, tutto quello che mi era rimasto era un paio di calzoncini corti.

La ragazza si legò l’asciugamano attorno alla vita, si recò a un mobiletto di legno e prese qualcosa da esso. — Hai buttato via i calzoncini dopo avermi incontrato — spiegò. — Hai detto che volevi ritornare alla natura. — Sorrise, in un modo che non aveva niente a che vedere con la sua professione, e gli lanciò un oggetto.

Era una piccola moneta d’oro. Impresse su una faccia c’erano le parole ASSEGNO IN BIANCO, e alcuni simboli dei titanidi. Sull’altra faccia c’era la firma C. Jones. Chris cominciava a ricordare qualcosa, e chiuse gli occhi per farsi ritornare alla mente i particolari.

— Mi hai spiegato che ti permetteva di acquistare tutto quello che volevi, a Titantown. "Meglio dei soldi" mi hai detto. Io non ne avevo mai visti, ma tu ti davi alle spese pazze, e pareva che tutti lo accettassero in pagamento.

— Ti ho imbrogliata — disse Chris, certo che fosse vero. — Soltanto i titanidi devono accettarlo. Dovevo usarlo per… per… per equipaggiarmi per un viaggio che devo fare. — Si alzò in piedi, colto improvvisamente dal panico. — Ho comprato un mucchio di cose, adesso ricordo. Dovevo… voglio dire, dove sono finite…

— Calma, calma. Non c’è niente di cui preoccuparsi. Ho fatto portare la roba alla Gata, come mi hai detto tu. È tutto a posto.

Lui tornò lentamente a sedere. — La Gata…

— Hai l’appuntamento laggiù con i tuoi amici — disse la ragazza. Guardò un orologio a giroscopio, per Gea, posto sul mobiletto. — Tra un quarto d’ora.

— Certo! Devo… — Si avviò verso la porta, ma s’immobilizzò subito, con la sensazione di dimenticare qualcosa.

— Hai un asciugamano da prestarmi?

Senza parlare, lei gli passò quello che aveva addosso.

— Io… uhm, mi spiace di non avere niente da darti. Non so che razza di storia ti ho raccontato, ma mi sorprende che tu non ti sia fatta…

— Pagare in anticipo? Non sono nata ieri. Sapevo benissimo cosa facevo. — Si recò alla finestra e appoggiò le mani al davanzale. — Sono arrivata da qualche tempo. La Terra non mi è mai stata molto amica. Mi piacciono queste persone. Almeno, io le vedo come persone. Probabilmente, comincio a convertirmi alle abitudini degli indigeni anch’io. — Lo guardò in modo strano, come se si aspettasse che si mettesse a ridere. Visto che non lo faceva, rise lei, e aggiunse: — Al diavolo, io stessa ho una terza parte di figlio titanide. Dopo un po’ di tempo che sei qui, cominci a tirare il boccino.

Si avvicinò a Chris e lo baciò sulla guancia. — Non riesco a credere che, dopo tutto quello che abbiamo fatto, tu ne abbia completamente perso la memoria. Mi sento offesa nell’orgoglio professionale. — Per un momento, Chris temette che si mettesse a piangere, e non riuscì a capirne il motivo.

— In questo viaggio, avete con voi una ragazza — disse poi lei.

— Robin?

— Proprio lei. Dille "ciao" da parte mia, e di stare attenta. E buona fortuna. Augurale buona fortuna da parte mia. Me lo fai, questo favore?

— Se mi ripeti il tuo nome.

— Trini. Dille di stare attenta a quella Gaby Plauget. È pericolosa. Quando farà ritorno, qui sarà sempre la benvenuta.

— Glielo dirò.

15

La Gata Encantada

Titantown era protetta da un immenso albero costituitosi quando vari alberi più piccoli si erano uniti a formare un unico organismo-colonia. Anche se i titanidi non amavano i piani regolatori e l’urbanistica, i loro gusti finivano per imporre una certa struttura all’abitato. Preferivano abitare a meno di cinquecento metri dalla luce, e per questo le loro abitazioni tendevano a disporsi ad anello alla periferia dell’albero. Alcune case erano costruite direttamente sul terreno, altre erano appollaiate sui giganteschi rami che si stendevano orizzontalmente e che erano retti da tronchi ausiliari, grossi a loro volta come sequoie.

Sparsi in tutto l’anello residenziale, ma in prevalenza sulla parte interna, c’erano le botteghe, le forge, i mulini e le raffinerie. In direzione dell’esterno, verso il sole e talvolta all’aria aperta, c’erano bazar, negozi, mercati. Sparsi qua e là per la città c’erano poi gli edifici pubblici e i servizi, i pompieri, le biblioteche, i magazzini e le cisterne. L’acqua era in parte piovana e in parte veniva dai pozzi, ma quella dei pozzi conteneva sali amari ed era lattiginosa.

Robin aveva trascorso vario tempo nell’anello più esterno, e si era servita del medaglione datole da Cirocco per acquistare provviste per il viaggio. Aveva scoperto che gli artigiani titanidi erano cortesi e servizievoli. Invariabilmente le consigliavano gli articoli di migliore qualità, anche nei casi in cui sarebbe stato sufficiente qualcosa di economico. Di conseguenza, lei ora possedeva una borraccia di rame con complessi arabeschi in filigrana che l’avrebbero resa degna del tavolo dei banchetti dello Zar. L’impugnatura del coltello era sagomata per adattarsi perfettamente alla sua mano, e inoltre aveva un rubino che sembrava un grande occhio di vetro. Le avevano fatto un sacco a pelo su misura, di un materiale così riccamente ricamato che lei non osava appoggiarlo a terra. Cornamusa, il titanide da lei conosciuto nella tenda di Cirocco, le aveva fatto da guida; cantando la traduzione ai mercanti che non parlavano inglese.

— Non preoccuparti — le aveva detto. — Come puoi notare, qui nessuno paga in denaro. Noi non lo usiamo.

— Che sistema usate, allora?

— Gaby lo chiama comunismo non coercitivo. Dice che con gli umani non funzionerebbe, perché sono troppo avidi ed egoisti. Scusa, ma riferisco quello che ha detto lei.

— Non c’è niente di cui ti debba scusare. Probabilmente ha ragione.

— Non so. È vero che non abbiamo i problemi associati alla gerarchia che pare abbiate voi umani. Non abbiamo leader, non lottiamo tra noi. La nostra economia si basa sugli Accordi e sui meriti. Tutti lavorano, sia per la produzione di consumo, sia per la comunità. Si accumula prestigio… voi potreste chiamarla ricchezza, o credito… mediante le proprie azioni, o con l’età, o con la necessità. A nessuno manca l’indispensabile; quasi tutti godono almeno di qualche lusso.

— Non la chiamerei ricchezza — disse Robin. — Anche noi, nella Congrega, non usiamo denaro.

— Davvero? E qual è il vostro sistema?

Robin rifletté con tutto il distacco di cui era capace, ricordando il lavoro sociale obbligatorio, imposto da tutta una serie di punizioni, che arrivavano alla morte inclusa.

— Chiamalo comunismo coercitivo. Accompagnato da un sistema di baratti.

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