— Non parlerai sul serio.
— No. Penso che comincerò a invecchiare. Può darsi che invecchi più rapidamente del normale. Ma ho questo… Ehi, dov’è Rocky?
Chris si guardò alle spalle, poi comprese che Cornamusa era passato davanti a tutti per tracciare il sentiero. Era scesa la nebbia, e la visibilità si era ridotta. Riusciva a distinguere con difficoltà Robin e Oboe, e Cornamusa era totalmente inghiottito dalla nebbia.
Salterio corse avanti, e Valiha affrettò il passo per raggiungere Oboe. Presto il quartetto raggiunse Gaby, che era impegnata in un’animata conversazione con Cornamusa.
— Ha detto che si recava a parlarti, e…
— Ne sei proprio sicuro, Cornamusa?
— Cosa vuoi dire…? Oh, a dire il vero, non saprei. Ha detto che per qualche tempo voleva cavalcare con te. Può darsi che sia ferita. Forse è caduta, e…
— Balle. — Gaby aggrottò la fronte e si passò la mano nei capelli. — Tu, rimani qui, torna indietro per un piccolo tratto, per vedere se la trovi. Gli altri vengano con me. Credo di sapere dove possiamo trovarla.
Machu Picchu era appollaiato assai più in alto dello strato di nuvole simili a bambagia. Dalla veranda della Casa della Melodia, illuminata dal suo incredibile faro celeste, era possibile calare lo sguardo sul vasto mare di nebbia che si stendeva dall’uno all’altro dei grandi bastioni di roccia degli Altopiani, da nord a sud. Quella nebbia giungeva dall’invisibile imboccatura del raggio di Gea, sopra Oceano, e si espandeva su Iperione. Qua e là, alcune correnti ascendenti si arrotolavano sotto forma di grandi riccioli cavi di nebbia, salendo verso le regioni superiori, e perciò più lente, dell’atmosfera. Quei riccioli erano perturbazioni cicloniche, attenuate fino a sembrare trombe d’aria orizzontali, e venivano chiamati cirri. Di tanto in tanto, da Oceano giungevano perturbazioni violente, che venivano chiamate cavalloni.
Mentre gli altri andavano alla ricerca di Cirocco, Chris rimase a osservare il gioco delle nuvole. Alla fine sentì rumore di vetri infranti e il tonfo di un oggetto che cadeva sul pavimento. Qualcuno urlò. Rumore di piedi umani che salivano di corsa una scala, seguiti dal curioso scalpitio fatto da un titanide che passava con gli zoccoli sopra uno spesso tappeto. Poco più tardi si sentì ancora sbattere una porta, e infine i rumori ebbero termine. Chris continuò a studiare le nuvole.
Poi arrivò Gaby, che si teneva sulla faccia un asciugamano bagnato.
— Be’, pare che ci dobbiamo fermare qui un altro giorno, per rimetterla in piedi. — Si fermò accanto a Chris, ansimando. — C’è qualcosa che non va?
— Va tutto bene — mentì Chris.
— È stata molto furba — disse Gaby. — Ha chiamato Titantown con un seme radiofonico che aveva nascosto da qualche parte. Nessuno sa che cosa abbia detto con esattezza, ma deve avere dato l’impressione di trovarsi nei guai, perché ha detto a un amico di prendere un aerostato per raggiungerla, e di aspettarla nei pressi della strada. La nebbia l’ha fatta venire lei. Ha detto a Gea che le occorreva qualcosa per nascondersi. Poi si è allontanata dal gruppo e ha raggiunto il titanide che la aspettava, il quale l’ha portata qui. È qui da tre rivoluzioni, tempo sufficiente per bere un mucchio di roba. Perciò dobbiamo… Ehi, sei sicuro di stare bene?
Chris non ebbe il tempo di risponderle. La nebbia si stava sollevando come un’onda mostruosa. C’erano delle bestie orrende che si nascondevano in cantina, e lui riusciva a sentire il loro rumore. Allungando la mano alla cieca, afferrò il braccio nero di un cadavere pallido, che spalancò la bocca: ne uscirono dei vermi che presero a strisciare verso di lui.
Chris cominciò a urlare.
20
Ripresa
Robin alzò la testa quando Gaby scese a raggiungerla nella veranda. Sedeva sugli scalini, e leggeva un manoscritto ingiallito da lei trovato nello studio di Cirocco. Era un’opera affascinante, una descrizione delle relazioni tra flora, fauna e… l’unica parola per descriverli era "organismi indecisi", che vivevano nel raggio di un chilometro dalla Casa della Melodia. Non era un testo scientifico, ma era scritto in uno stile stringato che Robin trovava estremamente leggibile. Il manoscritto era posato su un mobile, accanto a una fila di libri che comprendeva una decina di volumi scritti da C. Jones.
— Come vanno i pazienti? — chiese Robin, e vide che Gaby pareva sfinita. Probabilmente non aveva più preso sonno, dopo il loro primo accampamento accanto al fiume… quanto tempo addietro? Due decariv? Tre? Forse non aveva dormito neppure allora.
— Sbagliato — disse Gaby, sedendosi accanto a lei. — La frase giusta è: "Come va la pazienza?" La tua.
Robin alzò le spalle. — Io non ho nessuna fretta. Allargo le mie prospettive culturali. Non pensavo che la Maga scrivesse così bene.
Gaby si allontanò dalla faccia una mosca invisibile, e aggrottò la fronte.
— Vorrei che evitassi di chiamarla "la Maga". Le rende la vita troppo impegnativa. È solo una persona umana, come te.
— Sì, lo so… forse hai ragione. La smetterò.
— Be’, non volevo sgridarti. — Fece correre lo sguardo sul prato. — I pazienti stanno come previsto. Chris ha smesso di urlare, ma si nasconde ancora nell’angolo. Valiha non riesce a farlo mangiare. Rocky è chiusa a chiave nella sua camera. Tutto l’alcool è finito giù dal ponte, a quanto ne so io. Naturalmente, con un’alcolizzata, non si può mai sapere. Potrebbe averne delle scorte nascoste. — Si portò le mani alla faccia, come per riposarsi per un attimo. Robin vide che storceva le labbra, e udì un suono miserevole. Gaby piangeva.
— L’ho chiusa nella sua stanza — riuscì infine a dire, tra i singhiozzi. — Non riesco ancora a crederci. Non pensavo che potesse arrivare a questo. Quando mi vede, mi maledice. Vomita, suda e rabbrividisce, e io non posso aiutarla. Non posso fare niente.
Robin era mortificata. Non sapeva cosa fare. Sedere accanto a una donna da lei rispettata, e vederla consumarsi nelle lacrime, era una situazione inconcepibile.
Non sapeva cosa fare delle sue mani. Continuò a sbertucciare il manoscritto che aveva in grembo, e poi s’interruppe accorgendosi che strappava le pagine.
Con una scossa, ricordò che anche lei aveva pianto davanti a Oboe. Allora era stato diverso, naturalmente. Lo aveva detto anche Oboe, e lei aveva capito che non c’era niente di cui vergognarsi. Ma la titanide non si era limitata a starsene seduta senza fare niente.
Con esitazione, Robin appoggiò il braccio sulla spalla di Gaby. E lei, senza vergogna, rispose a quel gesto voltandosi e premendo la faccia contro la sua spalla.
— Va tutto bene — disse Robin.
— L’ho amata così tanto — mormorò Gaby. — E l’amo ancora. Che scherzo. Dopo settantacinque anni, la amo ancora.
Gaby sollevò dal cuscino la testa di Cirocco e le accostò un bicchiere alle labbra.
— Bevi. Ti farà bene.
— Che cos’è?
— Acqua pura, di fonte. La miglior bevanda del mondo.
Cirocco aveva la faccia grigia e le labbra esangui. Con la mano con cui le teneva sollevata la testa, Gaby sentiva che Cirocco aveva i capelli bagnati di sudore. Sotto le dita, sentiva anche un bernoccolo, che Cirocco si era procurata battendo la testa contro la sbarra di ottone in cima al letto.
Bevve qualche piccolo sorso, poi cominciò a trangugiare avidamente.
— Ehi, non troppo in fretta — disse Gaby. — Ultimamente, non sei riuscita a tenere niente nello stomaco.
— Ho sete, Gaby — piagnucolò Cirocco. — Senti, bambina, ti prometto che non ti insulterò più. Mi spiace di averlo fatto. — Proseguì in tono implorante: — Ma, ascolta, cara, farei qualsiasi cosa per bere un sorso. Ricordati dei nostri vecchi tempi…
Gaby appoggiò le mani sulle guance di Cirocco e strinse, facendole sporgere le labbra in una maniera che, in altre circostanze, sarebbe stata comica. Cirocco si tirò indietro, con gli occhi rossi e spaventati. Era molto più robusta di Gaby, ma non pareva avere desiderio di lottare. Ogni bellicosità si era spenta in lei.