I titanidi erano maestri, nel canto. Il loro linguaggio era canto; per loro, la musica era importante come il cibo. Il sistema radiofonico basato su quei semi non aveva niente di strano per loro. Ma Gaby, che cantava male e che non era mai riuscita a interessare un seme alle sue canzoni, li odiava. Le sarebbero bastati un fiammifero e un paio di chilometri di miccia rapida, impermeabile. Sopra di lei, gli aerostati tendevano ancora i cavi, ma presto si sarebbero stancati. Non avevano molta resistenza. Un chilo sull’altro, erano tra le creature più deboli di Gea.
Quattro titanidi si erano radunati attorno al seme, e gli cantavano un complicato quartetto ben contrappuntato. Ogni poche battute, infilavano nel canto la serie di cinque note che metteva in funzione il detonatore. A un certo punto, il seme si ritenne soddisfatto e si unì al concertino. Si udì una bassa esplosione che fece tremolare l’intera Aglaia, e dalla cima della valvola di aspirazione si sollevò una nube di fumo nero. I cavi, che fino a un attimo prima erano tesi, si allentarono.
Gaby si alzò in punta di piedi, timorosa di scoprire che l’esplosione aveva soltanto rotto i cavi. Ma dall’apertura cominciarono a uscire schegge grandi come interi alberi d’alto fusto. Ci fu un forte «evviva» dei titanidi dietro di lei quando infine comparve il tronco dell’albero titanico, che dondolava come una balena colpita dal fiocinatore.
— Assicurati di essere ad almeno cinque o sei chilometri dalla valvola, quando lo fissi a terra — cantò Gaby a Clavier, il titanide che si occupava dello sgombero. — Passerà del tempo, prima che tutta quell’acqua sia pompata via, ma se lo lasci adesso al limite dell’acqua, in poche riv si troverà all’asciutto.
— Certo, Capo — le cantò Clavier.
Gaby rimase a controllare mentre la sua squadra si occupava delle attrezzature che si era fatta imprestare a Titantown, e Salterio andò a prendere gli effetti personali di Gaby. Aveva già lavorato in precedenza con quei titanidi, in altri lavori del genere. Conoscevano bene il loro mestiere. Forse non avevano bisogno di lei, ma non si sarebbero mai messi all’opera spontaneamente, tranne che per diretto ordine divino. Inoltre, non conoscevano gli aerostati come li conosceva Gaby.
Invece, Gaby non riceveva ordini da nessuno. Il suo lavoro veniva svolto in base a un contratto, pagamento anticipato. In un mondo dove ogni creatura aveva il proprio posto, anche lei aveva il suo.
Udì rumore di zoccoli, e si voltò a guardare. Salterio era di ritorno con i suoi bagagli. Non c’era molto; le cose di cui Gaby pensava di avere bisogno, o a cui era legata affettivamente, erano talmente poche da poter essere contenute in un piccolo sacco da montagna. Le cose a cui attribuiva maggiore valore erano la libertà e le amicizie. Salterio (Trio Lidio Diesis) Fanfara era una delle amicizie a lei più care. Lui e Gaby lavoravano insieme da dieci anni.
— Capo, ti chiama il telefono.
Gli altri titanidi drizzarono le orecchie, e perfino Salterio, che pure doveva essere abituato a quel genere di cose, pareva leggermente intimorito. Porse a Gaby un seme radiofonico identico a tutti gli altri. La differenza stava nel fatto che quel particolare seme era collegato con Gea.
Gaby prese il seme e si allontanò dal gruppo. Si fermò in una piccola radura tra gli alberi, e parlò per qualche tempo a voce bassa. I titanidi, in base al principio che le notizie che giungono dagli dèi sono raramente buone notizie, non avevano alcuna intenzione di origliare quel genere di conversazioni, ma notarono che Gaby, anche dopo che il colloquio fu chiaramente terminato, rimase per qualche tempo a riflettere su ciò che le era stato detto.
— Hai voglia di portarmi alla Casa della Melodia? — chiese infine a Salterio.
— Certo. Vai di fretta?
— Sì e no. Rocky non si fa vedere da quasi un chiloriv. Sua Maestosità vuole che andiamo a cercarla, per ricordarle che siamo quasi arrivati all’epoca del Festival.
Salterio aggrottò la fronte.
— Gea ha accennato al tipo di problema?
Gaby sospirò. — Sì. Dice di farle passare la sbronza.
10
La Casa della Melodia
Da molto tempo ormai, i titanidi erano costretti a vivere sotto una terribile pressione. Tra tutte le creature di Gea, soltanto loro parevano poco idonei al loro habitat. Gli aerostati erano precisamente come dovevano essere fatti per vivere come e dove vivevano. Ogni loro aspetto era perfettamente funzionale, come per esempio il loro terrore del fuoco. Gli angeli erano talmente vicini all’impossibile che Gea non aveva avuto lo spazio sufficiente per inserire tra le loro caratteristiche anche quell’amore per il gioco che era sempre presente nelle sue creature. Li aveva dovuti progettare con margini di tolleranza ridotti a pochi grammi, subordinando ogni cosa alla loro ampiezza alare di otto metri e ai muscoli occorrenti per muovere quelle ali.
I titanidi erano chiaramente delle creature adatte alle grandi pianure. Ma, allora, perché metterli in grado di arrampicarsi sugli alberi? La parte inferiore del loro corpo era equina, anche se con zoccolo fesso, e, data la ridotta gravità di Gea, zampe ancor più sottili di quelle dei purosangue sarebbero state più che sufficienti. Invece, Gea aveva dato loro cosce e garretti da cavallo da tiro. Garrese, groppa, posteriore erano massicci fasci di muscoli.
Soltanto i titanidi, comunque, tra tutte le creature di Gea, riuscivano a sopportare la gravità della Terra. Erano divenuti gli ambasciatori di Gea presso l’umanità. E considerato che la razza dei titanidi era nata meno di due secoli prima, era chiaro che tutta quella forza non le era stata data per caso. Nel crearla, Gea aveva semplicemente fatto dei preparativi per il futuro.
Grazie a tale forza, gli umani residenti su Gea si erano trovati a godere di un vantaggio in più del previsto. Il normale «passo» dei titanidi non comportava per il cavaliere i consueti sballonzolamenti di chi sta in sella a un cavallo terrestre. In quella bassa gravità, i titanidi correvano come saette, mantenendo il corpo sempre allo stesso livello grazie a leggerissimi tocchi degli zoccoli. La corsa era talmente priva di scosse, in realtà, che Gaby non ebbe difficoltà a dormire. Si sedette a cavalcioni e appoggiò la guancia contro la schiena di Salterio.
E mentre Gaby dormiva, Salterio si arrampicò sul sentiero a tornanti che portava ai Monti Asteria.
Era una bella creatura del tipo a pelle nuda, color cioccolato al latte. Aveva una folta criniera arancione, che spuntava non solo sulla nuca, ma anche sul dorso del collo e su parte della schiena, che era identica a quella umana, e sia la criniera sia la coda erano acconciate sotto forma di lunghe trecce. Come per tutti gli esseri della sua specie, la faccia e il torso avevano un aspetto femminile. Non aveva barba, e aveva occhi grandi e, in proporzione, assai più distanziati tra loro di quelli di un essere umano, con ciglia lunghissime. Aveva seni grandi, di forma conica. Ma tra le gambe anteriori c’era un pene che, agli occhi di molti terrestri, aveva un aspetto fin troppo umano. Tra le gambe posteriori ne aveva poi un secondo, molto più grosso, e sotto l’elegante coda arancione c’era una vagina, ma per i titanidi la famosa e applaudita différence stava nell’organo frontale. Salterio era maschio.
Il sentiero da lui seguito si snodava attraverso il bosco ed era ormai invaso da liane e virgulti, ma ogni tanto si poteva ancora capire che in origine era sufficientemente grande da permettere il passaggio di un grosso carro. In alcune parti si scorgevano ancora vaste zone di asfalto. Faceva parte della Carrozzabile Circum-Gea, costruita più di sessanta anni prima, e alla cui costruzione aveva preso parte anche Gaby. Per Salterio, invece, era sempre stata come era adesso: inutile, poco usata, in progressivo disfacimento.