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— Tutto a posto, ora — disse Robin. Sorrise. — Ce l’ho fatta.

— Certo, e un giorno mi dovrai raccontare come hai fatto. Comunque, ho fatto quello che ho potuto, anche se adesso penso che avrei potuto fare di più. Stavo per ritornare da Tea nei prossimi giorni, ma sono stata avvertita da Trini che ti eri presentata alla sua porta. Sono partita subito.

Robin chiuse gli occhi e annuì.

— Comunque — proseguì Cirocco, dopo una pausa — ti devo chiedere molte cose e, se te la senti, posso chiedertele subito. La prima è perché Gaby vi ha fatto scendere fino a Teti. Io la conosco, e lei conosce me, anche se non sempre andiamo d’accordo, e doveva sapere che avrei trovato la maniera di eliminare quelle rocce per venire a salvarvi. Poi, quando ho saputo che eri comparsa tu e non lei, mi sono chiesta perché non è venuta, e ora mi chiedo se è ferita e… — S’interruppe. Robin aveva riaperto gli occhi, con uno sguardo d’orrore così marcato che Trini capì subito cos’era successo e dovette voltarsi dall’altra parte.

— Pensavo che quando avete tolto le rocce… — cominciò Robin, con un gemito.

Trini si voltò, e le parve che Cirocco si fosse trasformata in pietra. Alla fine le sue labbra si mossero, ma la sua voce era spenta.

— Non abbiamo trovato niente — disse.

— Non so cosa dire. L’abbiamo lasciata là. Volevamo seppellirla, ma non c’era… — Incominciò a piangere, e Cirocco si alzò in piedi. Si voltò, con gli occhi fissi nel vuoto, e Trini pensò che non si sarebbe mai più dimenticata di quegli occhi spenti che passavano su di lei come se fosse assente, mentre la Maga di Gea cercava la maniglia della porta e usciva all’esterno. La sentirono ancora scendere lungo la scala; poi l’unico rumore rimasto fu il pianto di Robin.

Erano preoccupati per lei, ma quando andarono a vedere, la trovarono immobile, voltata dall’altra parte, a un centinaio di metri di distanza, immersa nella neve fino al ginocchio. Non si mosse per più di un’ora. Trini voleva andare a prenderla, ma Larry le disse di aspettare. Poi Robin disse che doveva parlarle, e Larry uscì per andare a riferirlo a Cirocco. Trini vide che le parlava e che Cirocco lo seguiva.

Quando fu all’interno, Cirocco s’inginocchiò accanto alla branda di Robin. La sua faccia era ancora priva di emozioni.

— Gaby ci ha detto alcune cose — iniziò Robin. — Mi spiace, ma credo che volesse farle sapere solo a te, e questa stanza è troppo piccola.

— Larry, Trini — disse Cirocco — vi spiace di aspettare nell’aeroplano? Quando avremo finito, vi farò un segnale con la luce.

Cirocco e Robin attesero che si mettessero stivali e cappotti e che uscissero, chiudendosi poi la porta alle spalle. Passarono nell’aeroplano un’ora sgradevole, protetti dal vento, ma non dal freddo. Nessuno di loro si lamentò. Quando videro accendersi e spegnersi la luce, fecero ritorno, e anche se Trini non si accorse subito della nuova espressione comparsa sulla faccia di Cirocco, la nuova espressione c’era. Era ancora dolorosa da vedere, e in un certo senso era un’espressione morta, fissa. Ma non era morta come la faccia di un cadavere; era come una faccia scolpita nel granito.

E gli occhi bruciavano.

40

L’eredità dei forti

C’erano molti lavori più facili di quello di condurre una titanide gravida e invalida lungo un territorio buio che avrebbe messo a dura prova una capra tibetana. Comunque, la compagnia era gradevole e la strada era segnata. All’inizio del cammino, Chris ignorava tutto del modo in cui nascevano i titanidi, ma quando si avvicinò il momento della nascita di Serpentone, ne seppe quanto Valiha, e comprese che in passato l’ignoranza aveva fatto sorgere in lui molte apprensioni inutili.

Ora sapeva per esempio che Valiha conosceva il sesso del nascituro fin dall’inizio, perché la cosa era stata decisa con gli altri due genitori. Sapeva, anche se non riusciva a crederlo, che Valiha era in comunicazione con il feto in un modo che lei stessa non era in grado di descrivere. Diceva che avevano deciso il nome insieme, anche se lei aveva influito sulla scelta per motivi estranei alla sua volontà. I titanidi avevano infatti l’abitudine di chiamare i bambini dal nome del primo strumento musicale posseduto. L’abitudine si andava perdendo, ma Valiha era una tradizionalista e aveva lavorato per qualche tempo al primo strumento del figlio: il "serpentone", un tubo sinuoso di legno, che si suonava come un corno da caccia. Nella caverna, la scelta dei materiali da costruzione era alquanto limitata.

Chris sapeva che il parto era indolore, che era breve, e che Serpentone, fin dalla nascita, sarebbe stato in grado di camminare e di parlare. Ma quando lei gli disse che sperava che il bambino parlasse inglese, il primo pensiero di Chris fu che si illudesse.

— Sì — disse Valiha. — Anche la Maga ha i suoi dubbi. Non è la prima volta che si cerca di mettere al mondo un bambino con due lingue materne. Eppure, la stessa Maga non ne esclude la possibilità. La nostra genetica è diversa dalla vostra. Per esempio, la Maga ha incrociato le uova titanidi con il materiale genetico di rane, pesci, cani e scimmie in laboratorio.

— Questo contrasta con tutte le mie conoscenze di genetica — disse Chris — ma devo confessare che sono scarse. Cosa c’entra con il fatto che Serpentone parli inglese? Anche se avesse un genitore umano, e tu dici che non lo ha, noi, alla nascita, sappiamo solo piangere.

— La Maga lo chiama effetto Lysenko — disse Valiha. — Ha dimostrato che i titanidi possono ereditare le caratteristiche acquisite. Noi, e intendo quelli di noi che credono che si possa trasmettere ai figli l’inglese, riteniamo che, con un rinforzo sufficiente, la cosa sia fattibile. Una volta mi hai chiesto se avevo mangiato il dizionario. In un certo senso, la cosa è vera. Per l’esperimento era necessario che tutti i genitori conoscessero tutte le parole inglesi. Per fortuna abbiamo buona memoria.

— Me ne sono accorto — disse Chris, e poi tacque. Qualche tempo dopo, le disse: — Non mi è chiaro il motivo. La vostra lingua è così bella. Io non la capisco, ma del resto, a quanto so, tolte Cirocco e Gaby, a cui è stato impiantato da Gea, nessun umano ha mai parlato bene il titanide.

— Vero. Noi conosciamo il linguaggio istintivamente, e gli umani non riescono a impararlo. I nostri canti non hanno una grammatica, e raramente sono gli stessi, anche quando esprimono lo stesso concetto. Secondo la Maga c’è una componente telepatica.

— Può darsi, ma quello che volevo dire è: perché tanta fatica? Perché farlo parlare inglese invece di titanide?

— Forse non hai capito — disse Valiha. — Serpentone conoscerà certamente il canto titanide. Non mi sognerei di togliergli questa capacità. Piuttosto, preferirei vederlo nascere con due sole gambe… oh, scusa.

Chris rise.

— Pensavo a un nostro proverbio: "Camminare con due sole gambe, tutte e due sinistre". Per indicare grande difficoltà.

— Non mi hai spiegato il motivo.

— È ovvio.

— Non per me.

Valiha sospirò. — Benissimo. Prima di tutto, l’inglese perché i primi umani giunti su Gea lo parlavano, e da allora si è diffuso. E il motivo per cui voglio insegnargli una lingua umana… ecco, dal giorno del primo contatto con noi, gli umani sono sempre cresciuti di numero. Non ne vengono molti, ma continuano a venirne. Mi sembra una buona idea conoscere il più possibile su di voi.

— I vicini antipatici che contano di rimanere, eh?

Valiha rifletté. — Non voglio dire male degli umani. Alcuni, come individui, sono del tutto a posto…

— Ma come razza siamo una scocciatura.

— Non intendevo dare giudizi.

— Perché no? Li puoi dare come chiunque altro. E non ti so dare torto. Siamo antipatici quando ci raduniamo a pensare e tiriamo fuori le bombe atomiche. E quanto a gran parte dei singoli individui… al diavolo. — Una punta di amor proprio lo indusse a tacere. Cercò qualche difesa per la sua razza, ma non riuscì a trovarne. — Sai — disse alla fine — adesso mi rendo conto che non ho mai trovato un titanide antipatico.

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