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— Le avevo detto di tenerli a tutti i costi! — esclamò, mostrandoli a Valiha. — Maledizione, quella non sa cosa sia il freddo, ti pare?

— Che gusto ha il freddo? — chiese Serpentone.

— Non posso risponderti, figlio — disse Valiha. — Dovrai attendere finché non l’avrai assaggiato di persona. Aveva altri vestiti, Chris. Indossandoli tutti…

— Chi è Robin, Chris?

— Una nostra buona amica, che era con noi prima della tua nascita — disse Chris. E aggiunse: — E che, se non la raggiungeremo, si troverà in un brutto guaio.

— Posso mettermi quei vestiti?

— Prova, ma ti terranno troppo caldo. Comunque, puoi portare i vestiti e queste altre cose. D’accordo?

— Sì, Chris. Se riesci a prendermi.

— Scordatelo, giovanotto. E piantala di prendermi in giro. Non è colpa mia se sei più veloce di me. Ma sai fare questo? — Si rizzò sulla punta di un piede, cosa del resto facile in quella bassa gravità, e fece una piroetta da danza classica, con un dito sulla cima della testa, seguita da un inchino. Valiha applaudì, e Serpentone lo guardò con sospetto.

— Come, su un piede solo? Io…

— Hai perso la scommessa. Adesso prendi questa roba e…

S’interruppe e si voltò indietro. Alle sue spalle si era accesa una luce più forte di quella che avesse visto da… non sapeva neppure lui da quanto. Udì un basso ronzio, e comprese che lo udiva già da qualche tempo, senza notarlo. Si udì un’esplosione lontano.

— Che cos’è?

— Aspetta. Non fare domande per qualche momento… Valiha, mettetevi dietro quelle rocce. State più bassi che potete…

All’improvviso, una voce prese a parlare al megafono. L’eco la distorceva, ma Chris udì il proprio nome e quello di Valiha. Si accesero altri bengala, che scesero lentamente, appesi a piccoli paracadute. Il rombo divenne quello di un elicottero. La voce quella di Cirocco.

Finalmente era venuta a prenderli.

41

L’ingresso dei gladiatori

Quando uscirono dall’ascensore trovarono di nuovo il ballerino, elegante ed enigmatico come la volta precedente, faccia coperta dall’ombra del cappello, scarpe lucide come specchi, ghette immacolate, frac, bastone, cilindro. Robin e Chris si fermarono, timorosi di interrompere. Fece una serie di passi e contro-passi con somma disinvoltura, roteò su se stesso mantenendo la testa immobile mentre il corpo girava, e poi voltandola all’ultimo istante.

— Be’, io non capisco neppure le cattedrali — disse Chris, quando il ballerino fu sparito.

Robin non disse niente. Dalla sua precedente visita, sapeva già come Gea cantava e danzava per manipolare la gente allo scopo di divertirsi. Ogni particolare doveva avere un proprio significato, e lei non pensava di capirli tutti. La danza non le interessava, e adesso si chiedeva come fosse il canto.

— Continuo a fare quel sogno — disse. — Siamo seduti con Gea, e la prima cosa che dice è: "Allora, per la seconda parte del vostro test…"

Lui la guardò con la coda dell’occhio. — Vedo che non hai perso il senso dell’umorismo. Hai portato anche le bombolette puzzolenti e la polvere gratta-gratta?

— Le ho lasciate nella valigia.

— Peccato. Come vanno i piedi? Vuoi che ti aiuti?

— Ce la faccio, grazie. — Aveva già notato che non le servivano le stampelle, lassù sul mozzo. Aveva i piedi ancora bendati, ma in quella bassa gravità non le facevano male. Lei e Chris si avviarono verso il dedalo di edifici di pietra, questa volta senza una guida.

Il paradiso era esattamente come lo ricordava. C’era lo stesso tappeto di dimensioni ciclopiche, i divani e cuscini grossi come ippopotami, i bassi tavolini pieni di cibo. E c’era la stessa aria di allegria unita a disperazione. E in mezzo c’era la dea, che teneva imbandita corte perpetua per il suo seguito di angeli ebefrenici.

— Così i soldati ritornano dalla guerra — disse Gea, come per salutarli. — Un po’ più sottomessi, un po’ più curvi per le fatiche, ma, nel complesso, indenni.

— Non proprio — disse Chris. — Robin ha perso qualche dito.

— Oh, certo. Be’, vedrà che la cosa è stata messa a posto, se avrà la compiacenza di togliersi le bende.

Per tutto il tragitto Robin aveva avuto una strana sensazione ai piedi, ma aveva pensato che si trattasse del fenomeno dell’«arto fantasma», noto a tutti gli amputati. Ora si toccò il piede e si accorse che aveva di nuovo tutte le dita.

— No, no, non ringraziarmi. Non mi aspetto ringraziamenti, dato che non le avresti perse se non mi fossi intromessa io. E mi sono presa la libertà di correggere quello che doveva essere un errore di chi ti ha fatto il tatuaggio, quando ho rifatto il pezzo di serpente che prima decorava una delle dita perdute. Spero che la cosa non ti dia fastidio.

Le dava un fastidio pazzo, ma non disse niente. Avrebbe cercato la correzione, giurò a se stessa, e se la sarebbe fatta cancellare dal laser, per rifare il disegno esattamente come era prima. Gea aveva ragione nel dire che era più sottomessa… all’arrivo, per una frase come quella, Gea si sarebbe presa una pallottola… ma le rimaneva l’orgoglio sufficiente a non sopportare le intrusioni.

— Accomodatevi — disse Gea. — Prendete qualcosa. Sedetevi e raccontatemi tutto.

— Preferiamo stare in piedi — disse Chris.

— Speravamo che la cosa fosse breve — aggiunse Robin.

Gea li guardò entrambi con aria triste. Prese un bicchiere dal tavolo accanto a lei, e lo vuotò. Un sicofante accorse subito con un altro bicchiere e lo posò dove era rimasto il cerchio del primo.

— Ah, è così. Ormai dovrei aspettarmelo, ma questo genere di cose riesce sempre a sorprendermi. In una certa misura, capisco il vostro risentimento per essere stati messi alla prova prima di ricevere i miei doni. Ma considerate la mia posizione. Se dessi gratuitamente le cose che posso dare, presto sarei sommersa da tutti i mendicanti, procacciatori d’affari, pataccari, santoni, scrocconi e semplici alcolizzati da Mercurio a Plutone.

— Non vedo il problema — disse Robin, che non riuscì a trattenersi. — Ci sono ancora molte sedie vuote, e ne avete già una bella collezione. Potreste formare un coro.

— Oh, hai ancora la lingua tagliente. Peccato non essere umana e non poterne sentire le deliziose sferzate. Ma, ahimè, sono indifferente al tuo disprezzo, e dunque, perché sprecarlo? Risparmialo per coloro che sono deboli, che abbandonano i compagni nel momento del pericolo, che piangono e si disonorano nella profondità della loro paura. In breve, per coloro che non hanno superato le prove che hai superato tu.

Robin impallidì.

— Vi ha mai detto nessuno — si affrettò a dire Chris — che parlate come il capo dei banditi di un film giallo di serie B?

— Se intendi dirmelo tu, sei il dodicesimo di quest’anno. — Alzò le spalle. — Mi piacciono i vecchi film. Ma questa conversazione mi annoia. Tra pochi minuti ci sarà il secondo spettacolo della serata, e quindi…

— A cosa serve il ballerino? — chiese Robin. Non appena dette queste parole, fu la prima a sorprendersi, ma aveva l’impressione che fosse un particolare importante.

Gea sospirò.

— Non vi piace il mistero? Tutto deve essere sempre spiegato? Che c’è di male in qualche piccolo enigma a cui dedicare la vita per insaporirla un poco?

— Odio i misteri — disse Chris.

— Benissimo. Il ballerino è un incrocio tra Fred Astaire e Isadora Duncan, con qualche spruzzatina di Nijinsky, Baryshnikov, Drummond e Gray. Non le persone, anche se mi piacerebbe andare a rubare in qualche tomba per trovare dei geni adatti alla clonazione, ma omologhi ricavati dalle registrazioni fatte durante la loro vita, tradotti sotto forma di acido nucleico dalla sentitamente vostra, e insufflati del respiro della vita. Il ballerino è un abilissimo strumento della mia mente, e così lo è questa carne. — Gea s’interruppe per battersi sul petto. — Abilissimi, ma pur sempre strumenti. In un certo senso, sia lui che questa portavoce danzano nella mia mente; la portavoce per parlare con le creature effimere, e lui per uno scopo che passerò ora a descrivervi. Ma prima mi aspetto che nonostante la vostra disaffezione, abbiate la curiosità di conoscere la risposta a una certa domanda, ovvero: avete meritato oppure no l’anello dorato? Ritornerete a casa come siete, oppure guariti? — Sollevò un sopracciglio e li fissò a turno.

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