Valiha era grossa. Gli metteva una paura del diavolo.
Passò una quindicina di minuti, e anche Gaby comparve da dietro la cabina e si fermò vicino a lui, sulla prua. Chris desiderava rimanere solo con i suoi pensieri, ma il suo nascondiglio pareva diventato una piazza d’armi.
Gaby rimase per qualche tempo appoggiata al parapetto, fischiettando, e infine gli diede un colpo di gomito.
— Abbiamo le tristezze, eh?
Lui alzò le spalle. — Queste ultime otto ore sono state molto strane. Secondo te, è colpa di qualcosa che c’è nell’aria?
— Ossia?
— Non so. Tutti sono innamorati. Le creature del cielo sono innamorate di quelle del mare. Prima, sulla riva, mi sono messo a fare lo scemo con Robin.
Gaby zufolò. — Povero ragazzo.
— Esattamente. Pochi minuti fa, poi, mi arriva Valiha con l’intenzione di riprendere il discorso dal punto in cui l’ha interrotto il mio alter ego pazzo. Tirare il boccino, come dite qui. — Sospirò. — Deve essere qualcosa che c’è nell’aria.
— Be’, sai come si dice: che fa girare il mondo. L’amore, intendo. E Gea gira molto più in fretta della Terra.
Lui la fissò con aria interrogativa. — Non sarai mica anche tu…
Lei sollevò le mani e scosse la testa. — Non io, amico. Io non ti darò nessun fastidio. A me, succede una volta ogni tanto, e di solito con il gentil sesso. Inoltre, non cerco l’avventura da usare e buttar via. Ho sempre voluto che i miei amori durassero. Tutti e diciassette. — Fece una smorfia.
— Probabilmente, vedi le cose in modo diverso — azzardò Chris. — Data la tua età.
— Credi che sia davvero così, eh? E invece, no. È sempre doloroso. Ogni volta vorrei che durasse per sempre, e così non è mai. Per colpa mia. Finisco prima o poi per paragonarle a Cirocco, e non reggono il paragone. — Tossicchiò nervosamente. — Ascolta. Lasciamo perdere la mia situazione. Ero venuta per mettere il naso nei tuoi affari. Tu non devi avere paura di Valiha. Non devi averne paura emotivamente, se è questo che ti preoccupa. Non sarebbe gelosa, e neppure possessiva, e non si aspetterebbe che durasse a lungo. I titanidi non hanno il senso del possesso esclusivo.
— Ti ha chiesto lei di dirmelo?
— Si infurierebbe, se lo sapesse. I titanidi si fanno da soli i loro affari, e non vogliono intromissioni. È semplicemente la vecchia Gaby, la sapientona, che si fa gli affari degli altri. Dirò ancora una cosa, e poi me ne andrò. Se hai delle riserve morali, se pensi alla bestialità e cose simili, fatti furbo, amico. Non te lo hanno mai detto? Perfino la Chiesa Cattolica dice che si può. Il Papa è d’accordo: i titanidi hanno l’anima, pur essendo pagani.
— E se le mie riserve fossero invece fisiche?
Gaby rise allegramente e gli toccò la guancia. — Oh, ragazzo, avrai delle piacevoli sorprese.
22
L’occhio dell’idolo
La sottomarina non aveva voglia di rinunciare alla sua euforia post-coitum per rimorchiare fino a Minerva la zattera. Cirocco si sporse sulla prua e cercò di convincerla parlandole in una lingua che univa i suoni più antipatici dell’asma e della tosse asinina, ma la luce del grande animale marino si allontanò in direzione dell’abisso. L’aerostato, che per parte del percorso avrebbe potuto aiutarli, disse che aveva degli affari urgenti a ovest. Gli aerostati erano sempre disposti a dare un passaggio, ma solo se si andava dove erano diretti loro.
Ma la cosa non fu grave. Poche ore più tardi, da ovest cominciò a soffiare una brezza: poco più tardi, la zattera giunse alla base del cavo verticale centrale di Rea.
Mentre si avvicinavano a esso, Robin lo studiò attentamente. Cirocco non aveva esagerato. Minerva non era veramente un’isola, ma solo una sorta di piattaforma. Era stata formata nel corso delle epoche geologiche da animali simili ai cirripedi, ai molluschi, ai coralli e ad altri animali sedentari dei mari della Terra. Il fatto che sembrasse un’isola era dovuto al livello dell’acqua, che si era abbassato nel corso dell’ultimo milione di anni, perché, invecchiando, i cavi si erano tesi, e Gea si era lentamente allargata. A questa tendenza doveva aggiungersi il ciclo stagionale della bassa marea, che aveva un ciclo breve di diciassette giorni e uno lungo di trent’anni. In quel momento si era a poca distanza dal "minimo" della lunga fluttuazione, e il corpo principale dell’isola, costituito dalla piattaforma attorno al cavo, era a cinquanta metri dal livello dell’acqua. Lo spessore della piattaforma era variabile. In alcuni punti la sua larghezza era più di cento metri; in altri punti la massa di sabbia e di conchiglie si era spezzata, o per il proprio peso o per opera delle onde, e il cavo s’innalzava verticalmente dall’acqua. Ma Robin vide che il cavo, a perdita d’occhio, era incrostato dei resti di organismi viventi. Due chilometri al di sopra della sua testa si trovavano i resti di organismi vissuti all’epoca in cui sulla Terra c’era il Pliocene.
Si chiese come intendessero ormeggiare la Costanza, visto che il più vicino punto d’approdo era a cinquanta metri di altezza, ma ebbe la risposta quando la zattera si diresse verso il lato sud del cavo. Laggiù, uno delle varie centinaia di trefoli si era rotto a poca distanza dal livello del mare. La parte superiore formava un ricciolo che si allontanava dal cavo, molto in alto. Quanto alla parte più bassa, i coralli l’avevano ricoperta e trasformata in una baia, che racchiudeva un’area circolare di terreno a soli cinque metri sul livello del mare.
La Costanza venne presto ormeggiata, e Robin seguì Gaby e Salterio che si erano avviati lungo una spaccatura tra gli "scogli", costituiti da conchiglie larghe più di un metro che contenevano ancora l’animale vivo. Infine si trovarono sulla parte piatta del trefolo che si era rotto, che aveva un diametro di duecento metri.
Era una strana spiaggia, che terminava ai piedi dell’illimitata parete verticale del cavo. C’erano alberi scheletrici che crescevano dai depositi di sabbia, e un laghetto chiaro e immobile, nei pressi del centro. L’intera zona era cosparsa di pezzi di legno trasportati dal mare e lisciviati dalle acque, bianchi come ossa.
— Ci fermeremo un giorno o due — disse Oboe, che passava con un enorme carico di teli da tenda. — Ti senti meglio?
— Sto bene, grazie. — Sorrise alla titanide, ma in realtà era ancora scossa dal suo ultimo attacco di paralisi. Fortunatamente, Oboe si era presa cura di lei: senza il suo aiuto, Robin si sarebbe certamente ferita.
Raggiunse Gaby e la prese sottobraccio.
— Perché ci fermiamo qui? — le chiese.
— È il punto panoramico di Rea — disse Gaby, indicando con il braccio la zona circostante. Ma la battuta non era molto felice. — In realtà, Rocky ha un lavoro da compiere. Ci vorranno due giorni, forse tre. Sei già stanca della nostra compagnia?
— No, ero solo curiosa di saperlo. Non dovrei esserlo?
— Sarebbe meglio di no. Ha delle cose da fare, e non posso dirti di cosa si tratta. Per il tuo bene, che mi creda o no. — Poi Gaby corse via, in direzione della zattera.
Robin si sedette su un tronco e guardò i titanidi e Chris che preparavano il campo. Un mese prima, si sarebbe alzata e sarebbe corsa ad aiutarli. L’avrebbe richiesto l’onore, perché rimanere seduta laggiù equivaleva a confessare la propria debolezza. Be’, maledizione, lei era davvero debole.
Se poteva confessarlo a se stessa, era merito di Oboe. La titanide aveva cantato per lei durante l’intero corso del suo recente attacco, in inglese e in titanide. Non aveva permesso a Robin di sottrarsi al suo aiuto, l’aveva costretta a prendere in considerazione altri modi di affrontare le sue crisi, oltre che con il puro coraggio. Quando era ritornata padrona delle proprie azioni, Robin si era accorta di non provare alcun fastidio per ciò che Oboe le aveva detto. Aveva saputo che Oboe era una guaritrice, attività che assommava in sé quella del medico, dello psichiatra, del confessore e del consolatore e forse anche altro. Robin aveva l’impressione che Oboe avrebbe fatto volentieri l’amore con lei nel modo privato, frontale, se la cosa fosse stata utile. Comunque, Oboe le aveva dato una pace mentale che non provava più da… non sapeva da quanto tempo: le pareva di essere uscita dall’utero materno già pronta a combattere contro il mondo intero.