Una seconda creatura comparve dietro di loro, e udirono lo schianto di una terza che colpiva un cavo alla loro sinistra. Una pioggia di napalm incendiato sgocciolò dal cavo, a un centinaio di metri da loro, come cera da una candela. Altre bombe esplosero più avanti.
A causa delle detonazioni, dagli spazi tra i singoli fili cominciarono a staccarsi grosse pietre e altro materiale. Un masso grosso come Valiha toccò terra a una ventina di metri da loro. Valiha gli girò attorno, e si udì nuovamente il forte rumore dell’impatto di una bomba volante, seguito da due altri, intervallati dalle esplosioni del napalm.
Valiha non si fermò finché non vide l’edificio di pietra che contrassegnava l’ingresso al cervello regionale di Teti. Si fermò, timorosa di entrare. Solo il terrore delle bombe volanti l’aveva spinta così lontano, in una zona tradizionalmente evitata dalla sua razza.
— Dobbiamo entrare — le disse Chris. — Questo edificio rischia di crollare. Prima o poi, una di quelle creature ci ucciderà, se prima non saremo schiacciati da qualche masso.
— Sì, ma…
— Valiha, fa’ come ti dico. È "Fortunato" Major a parlarti. Pensi che ti direi di fare una cosa, se non si trattasse di qualcosa di sicuro?
Valiha esitò un solo istante, e poi si avviò trotterellando sotto l’arco dell’ingresso. Attraversò il pavimento di pietra finché non raggiunse l’inizio della scalinata che scendeva per cinque chilometri.
E prese a scendere.
32
L’armata scomparsa
Il fuoco chimico si era già spento da tempo, allorché Cirocco, a piedi, giunse da dietro la curva del grande cavo, seguita da Cornamusa. Il titanide procedeva a tre zampe: la gamba posteriore destra era tenuta sollevata da una fascia che gli passava sotto la pancia. L’osso era tenuto fermo da una fasciatura e da un paio di bastoni. Anche Cirocco portava i segni della battaglia. Attorno alle tempie aveva una benda che le copriva anche un occhio. Aveva la faccia sporca di sangue, il braccio destro appeso al collo, e si era rotta due dita della mano destra.
Camminavano sulla piattaforma di roccia attorno alla base del cavo, e non si fidavano di scendere sulla sabbia. Anche se gli ultimi fantasmi da loro incontrati erano privi del misterioso sistema di difesa che aveva permesso ad alcuni di loro di ignorare l’acqua e di assalire umani e titanidi, Cirocco preferiva non correre rischi. Al momento della morte, da uno di quelli che aveva ucciso si era staccata una pellicola trasparente che sembrava vinile.
Vide qualcosa sulla sabbia, si fermò, e tese la mano. Cornamusa le diede un binocolo, e lei se lo accostò con difficoltà all’occhio sano. Era Oboe. Lo capì unicamente perché c’erano alcune zone di pelle intatte. Cirocco distolse lo sguardo.
— Temo che non rivedrà mai più l’Ofione — cantò Cornamusa.
— Era forte e coraggiosa — cantò Cirocco, che non sapeva cosa dire. — Io non la conoscevo molto bene. Canteremo di lei più tardi.
A parte quell’unico corpo, non si scorgevano molti segni della battaglia. Si vedevano alcune macchie scure, ma si era alzato il vento, e la sabbia cominciava a coprirle e ad accumularsi anche sul corpo della titanide.
Cirocco si era aspettata qualcosa di peggio. Forse i suoi compagni erano stati uccisi, ma lei, prima di darli per morti, voleva vedere i cadaveri.
Quando la corsa in direzione del cavo si era trasformata in una fuga caotica, lei e Cornamusa si erano diretti a est. Cornamusa aveva cercato di raggiungere gli altri due titanidi, ma ogni volta era incappato in un gruppo di fantasmi che non temevano l’acqua, e non aveva potuto fare altro che fuggire. Gli attacchi erano stati talmente intensi da far pensare a Cirocco che i fantasmi cercassero solo lei. Pensando di poterseli trascinare dietro, e di dare in questo modo sollievo ai compagni, aveva detto a Cornamusa di correre verso la parte orientale del cavo. Erano stati inseguiti da una sola bomba volante, che per poco non li aveva uccisi lanciando una carica di esplosivo che li aveva sollevati in aria e sbattuti contro il cavo.
Ma a quel punto Cirocco aveva capito di essersi sbagliata, perché i fantasmi non l’avevano inseguita, e neppure le bombe volanti, tranne quella che li aveva feriti. Si erano rifugiati all’interno del cavo, e avevano udito i suoni della battaglia che si svolgeva lontano da loro. Non avevano potuto fare altro che medicarsi le ferite.
Cirocco voleva proseguire attorno al cavo, ma Cornamusa la chiamò. Stava osservando la superficie della roccia.
— Uno dei nostri è passato da questa parte — cantò, indicando alcuni graffi, paralleli tra loro, lasciati dai duri zoccoli di un titanide. Poco più in là, scorse su un mucchio di sabbia l’impronta di due zoccoli e di un piede umano.
— Allora, Valiha è riuscita a salvarsi — disse Cirocco, in inglese. — E almeno uno degli altri. — Si portò accanto alla bocca la mano libera e lanciò un grido di richiamo. Quando l’eco si spense, non udirono alcuna risposta. — Andiamo. Cerchiamoli.
Entrarono nella zona buia all’interno del cavo, e cominciarono a imbattersi in forme irregolari che bloccavano la strada. Cornamusa accese una lanterna, e alla sua luce poterono vedere che dall’alto era caduto un mucchio di detriti. I fili salivano per almeno una decina di chilometri prima di intrecciarsi a formare il cavo centrale di Teti. Cirocco sapeva che quella specie di labirinto aveva una sua caratteristica ecologia: piante che si abbarbicavano ai fili e animali che correvano avanti e indietro lungo di essi.
Cirocco continuò a procedere all’interno del cavo, consapevole che sotto uno dei mucchi più grossi potevano essere sepolti i suoi amici. Ma Cornamusa, di tanto in tanto, la chiamava per dirle che aveva trovato un’altra impronta. Infine giunsero a un’enorme pila di pietra. Cirocco sapeva che ormai si trovavano nel centro del cavo, e che laggiù un tempo sorgeva il solito ingresso alla scala per giganti. Ma ora c’erano solo sassi, e, in mezzo a un’ampia zona bruciacchiata, i resti di tre bombe volanti. Delle creature non restava molto: solo il metallo della camera di combustione e file di denti di acciaio anneriti.
— Sono scesi là sotto? — chiese Cirocco.
Cornamusa si abbassò per studiare il terreno alla luce della lanterna.
— Difficile dirlo. Potrebbero essere entrati nell’edificio prima che crollasse.
Cirocco inalò un profondo respiro. Prese la lanterna dalle mani di Cornamusa e raggiunse il mucchio di detriti. Poi cominciò ad arrampicarsi su di esso, con attenzione, ma, dopo pochi metri, dovette fermarsi, impacciata dal braccio immobilizzato e da un senso di stordimento. Scese di nuovo a terra. Per qualche istante rimase a sedere, portandosi la mano alla fronte, poi sospirò, si rialzò, e cominciò a prendere le pietre a una a una e a gettarle nell’oscurità.
— Cosa fai? — le chiese Cornamusa, dopo qualche minuto.
— Scavo.
Cornamusa la guardò per qualche istante. C’erano sassi di diversa grandezza, da ciottoli della dimensione di un pugno a massi di alcune centinaia di chilogrammi, che loro due avrebbero potuto spostare. Ma gran parte del mucchio, le rocce che gli davano la sua caratteristica forma, sarebbe andata bene per costruire una piramide egizia. Raggiunse Cirocco e le toccò il braccio, ma lei lo respinse.
— Rocky, è inutile. Non ce la farai mai.
— Lo devo fare. E lo farò.
— È troppo…
— Maledizione, non capisci? Gaby è qui sotto.
Scossa da un tremito, Cirocco cadde in ginocchio. Cornamusa si accovacciò a terra, e lei lo abbracciò per piangergli sulla spalla.
Quando riprese il controllo di se stessa, Cirocco si sciolse dall’abbraccio, si alzò in piedi e gli posò sulle spalle entrambe le mani. Negli occhi aveva una fiamma che Cornamusa non vedeva da molti anni sulla faccia della Maga.
— Cornamusa, vecchio amico — gli cantò. — In nome dei vincoli di sangue che ci legano, ti devo chiedere di fare per me una grande azione. Per l’amore che entrambi proviamo per la tua retro-nonna, non te lo chiederei se ci fosse un altro modo.