«Si sa…?»
«Non fare domande stupide. No, non si sa. Non si sa niente. Ah, come sono stato solerte! In ogni caso, non si spiegano le cause delle collisioni e delle catastrofi delle petroliere. Blocco totale delle informazioni. La tua teoria finora ha qualche validità: le notizie sono state diffuse, ma ora qualcuno ha steso una cortina di silenzio. Proprio una situazione da X-files, eh?» Olsen aggrottò la fronte. «In ogni caso: troppe meduse, troppi pesci… Tutto appare sovradimensionato.»
«E nessuno sa da che cosa dipenda?»
«Ufficialmente nessuno ha avuto il coraggio di sostenere che potrebbero esserci delle relazioni. Andrà a finire che le unità di crisi daranno la colpa al Niño oppure al riscaldamento della Terra. Il tema dell'invasione biologica funziona alla grande, così si possono pubblicare articoli speculativi.»
«I soliti sospetti.»
«Si, ma non spiegano niente. Sono anni che meduse, alghe e bestiacce simili girano il mondo nell'acqua di zavorra delle navi. Conosciamo il fenomeno.»
«Certo», disse Johanson. «Vedi, è lì che voglio arrivare. Se da qualche parte imperversa un'orda di vespe di mare, benissimo. Ma se in tutto il mondo accadono contemporaneamente cose inverosimili, allora la faccenda è ben diversa.»
Olsen avvicinò gli indici e li guardò, pensieroso. «Allora, se vuoi davvero stabilire delle relazioni, io non parlerei d'invasione biologica, bensì di anomalie del comportamento. Si tratta di esempi di aggressività. Finora non si erano mai viste cose simili.»
«Non hai trovato altro su qualche nuova specie?»
«Santo cielo, non ti basta questo?»
«Chiedevo soltanto.»
«Che cos'hai in sospeso?» volle sapere Olsen.
Se adesso gli chiedo dei vermi, capirà tutto, pensò Johanson. È vero che non sa come valutare l'informazione, ma intuirà che da qualche parte nel mondo c'è un'invasione di vermi. «Niente di concreto», disse.
Con uno sguardo torvo, Olsen gli allungò il resto dei fogli. «Quando ci sarà l'occasione, mi racconterai tutto quello che evidentemente ora non mi vuoi raccontare?»
Johanson prese i fogli e si alzò. «Un giorno o l'altro andiamo a berci un bicchierino.»
«Certo. Non appena ho tempo. Sai, con la famiglia…»
«Grazie, Knut.»
«Di niente.»
Johanson uscì in corridoio. Da un'aula arrivavano alcuni studenti che gli sciamarono davanti, alcuni ridendo e chiacchierando, altri col volto serio.
Si fermò e li seguì con lo sguardo.
Di colpo non gli parve più così assurdo che dietro quegli avvenimenti ci fosse una regia occulta.
Al largo delle isole Svalbard, mar di Groenlandia
Sull'acqua si diffondeva la luce della luna.
Era un panorama che invitava l'equipaggio ad andare in coperta. Quella notte, lo spettacolo del mare di ghiaccio toglieva il fiato. Era una scena che si vedeva raramente, ma Lukas Bauer non se ne curava. Era in cabina, chino sui suoi appunti e sembrava alla ricerca del proverbiale ago nel pagliaio, solo che il pagliaio aveva le dimensioni di due oceani.
Karen Weaver aveva fatto davvero un buon lavoro e gli era stata di grande aiuto, ma due giorni prima lei era sbarcata a Longyearbyen, sull'isola di Spitsbergen, per fare delle ricerche. Quella donna conduceva una vita inquieta, almeno secondo Bauer, la cui vita non si poteva certo definire tranquilla. Come giornalista scientifica si era occupata soprattutto di argomenti marini. Bauer presumeva che la scelta professionale di Karen fosse dovuta unicamente al fatto che il suo lavoro le avrebbe permesso di viaggiare gratis nei luoghi più inospitali del mondo. Amava le situazioni estreme e in ciò si differenziava da Bauer, che invece le detestava con tutto il cuore. Era però posseduto dal demone della ricerca, che lo portava a non curarsi minimamente delle comodità. Molti ricercatori erano così. Erano considerati a torto degli avventurieri, e invece non facevano altro che mettere in conto l'avventura pur di arrivare alla conoscenza.
A Bauer mancavano una poltrona comoda, gli alberi e gli uccellini e soprattutto una birra tedesca fresca appena spinata. Soprattutto gli mancava la compagnia di Karen Weaver. Quella ragazza testarda gli era entrata nel cuore. Senza contare che stava cominciando a cogliere il senso e lo scopo del lavoro dell'addetto stampa: se voleva che l'opinione pubblica s'interessasse alla sua attività, doveva utilizzare un vocabolario magari non precisissimo, ma proprio per questo comprensibile a tutti. Karen gli aveva spiegato che molti non avrebbero compreso il suo lavoro, perché non sapevano come e dove nasceva la Corrente del Golfo, intorno alla quale ruotava tutto ciò che lo scienziato stava sperimentando in quei giorni. Bauer non riusciva a crederci. Non poteva pensare che ci fossero persone che ignoravano cosa fosse un drifter, ma Karen gli aveva spiegato che ben pochi potevano sapere che cosa fosse, perché i drifter erano troppo nuovi e limitati ad ambiti specialistici. Quello era riuscito ad accettarlo. Ma la Corrente del Golfo! Che cosa insegnavano a scuola?
Karen aveva ragione. In fondo lui, voleva raggiungere l'opinione pubblica affinché condividesse le sue preoccupazioni e facesse pressione su chi deteneva il potere.
Ed era molto preoccupato.
Le sue preoccupazioni nascevano nel golfo del Messico. Da lì, lungo le coste sudamericane e dall'Africa meridionale, scorreva una corrente di superficie calda. Ai Caraibi essa si scaldava ulteriormente e continuava a scorrere verso nord. Acqua calda e molto salata che, essendo molto calda, rimaneva in superficie.
Quell'acqua costituiva il teleriscaldamento dell'Europa: la Corrente del Golfo. Scorreva fino a Terranova — trasportando con sé un miliardo di megawatt di calore, corrispondenti alla produzione di duecentocinquantamila centrali atomiche — dove s'incontrava con la corrente fredda del Labrador e si disperdeva. Là si formavano i cosiddetti eddies, masse circolari d'acqua calda, che si spostavano verso nord. I venti da ovest facevano evaporare l'acqua, provocando fruttuose piogge sull'Europa e, nel contempo, elevando la concentrazione salina nel mare. La corrente avanzava oltre la costa norvegese, dove prendeva il nome di «corrente norvegese», e portava calore nell'estremo Nordatlantico, permettendo alle navi di passare a sud-ovest delle Svalbard. L'influsso caldo terminava soltanto tra la Groenlandia e la Norvegia settentrionale. In quel punto la corrente norvegese, alias Corrente del Golfo, incontrava l'acqua fredda dell'Artico che, accompagnata da venti gelidi, la raffreddava rapidamente. Già molto salata e ormai assai fredda, l'acqua diventava così pesante che la sua massa precipitava. Ciò non avveniva su tutto il fronte, ma in vortici, che cambiavano la propria posizione a seconda del moto ondoso e quindi non si potevano trovare al primo tentativo. Quei vortici avevano un diametro compreso tra i venti e i cinquanta metri e circa una decina di essi arrivava al chilometro quadrato; dove fossero esattamente, però, dipendeva dalla configurazione quotidiana di mare e vento. Causa prima di tutto era il mostruoso gorgo prodotto dalle masse d'acqua che sprofondavano. Era quello il segreto della Corrente del Golfo e delle sue propaggini. In realtà, essa non scorreva verso nord, veniva piuttosto trascinata là dalla gigantesca pompa appena sotto l'Artico. A una profondità di due o tremila metri, l'acqua freddissima riprendeva la via del ritorno compiendo l'intero viaggio intorno alla Terra.
Bauer aveva preparato una serie di drifter nella speranza che seguissero il corso dei canali. Ma, nel frattempo, sembrava aver perso la speranza di trovarne uno. Avrebbero dovuto essere ovunque. E invece sembrava che la grande pompa avesse interrotto il proprio lavoro, oppure che si fosse spostata in una zona sconosciuta.
Bauer era lì proprio perché sapeva di quel problema e dei suoi effetti. Non si aspettava quindi di trovare tutto in ordine, ma neanche di non trovare nulla. E questo era causa per lui di gravi, gravissime preoccupazioni.