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«Potresti fare di più», ribatté Tina. «Potresti… esprimere le tue sensazioni.»

Per un attimo, lui fu incapace di parlare.

«Sanno che non sei un esperto di ricerche petrolifere, e tantomeno un vero specialista di vermi e simili», proseguì concitata. «Ma tu all'NTNU hai un'ottima fama, sei neutrale e non compromesso come noi. Noi giudichiamo dal nostro punto di vista.»

«Voi giudicate secondo l'ottica della fattibilità.»

«Non solo! Guarda che alla Statoil ci sono molte persone, ognuna delle quali è in grado di determinare al meglio una cosa specifica e…»

«Idioti specializzati, appunto.»

«Per niente!» Tina era seccata. «Con gli idioti specializzati questi progetti non si possono fare. Qui tutti sono troppo coinvolti. Mio Dio, come posso esprimerlo… Abbiamo bisogno di più opinioni dall'esterno.»

«Dei vostri affari io non capisco nulla», disse Johanson.

«Naturalmente non ti costringe nessuno.» Tina sembrava sempre più nervosa. «Puoi anche lasciar perdere.»

Lui alzò gli occhi al cielo. «Va bene, non ho intenzione di lasciarti in questa situazione. Tra l'altro ci sono anche alcune novità da Kiel e…»

«Posso considerarlo un sì?»

«Va bene! Quand'è l'incontro?»

«Ce ne saranno diversi, d'incontri. In effetti siamo tutti molto presi.»

«Va bene. Oggi è venerdì. Il fine settimana non ci sono e lunedì potrei…»

«Questo è…» lo interruppe lei. «Veramente sarebbe…»

«Sì?» disse Johanson, tormentato dai peggiori presentimenti.

Lei lasciò trascorrere qualche secondo. «Cosa avevi intenzione di fare durante il fine settimana?» chiese poi, in tono colloquiale. «Saresti andato al lago?»

«Brillante intuizione. Vuoi venire con me?»

Lei rise. «Perché no?»

«Oh, oh! E Kare che ne pensa?»

«Non m'interessa. Che cosa dovrebbe pensare?» Rimase in silenzio per qualche istante, poi sbottò: «Maledizione!»

«Se tu fossi brava in tutto come nel tuo lavoro…» mormorò Johanson. Forse lei non lo sentì neppure.

«Sigur, per favore! Non puoi rinviare la tua gita? Ci troviamo tra due ore e pensavo… Non sei tanto lontano da qui, non sarà una cosa lunga. Ti libererai in un batter d'occhio. Potresti partire già stasera.»

«Io…»

«Dobbiamo andare avanti con questa faccenda. Abbiamo dei tempi da rispettare, sai che costi ci sono, e ci sono già i primi rallentamenti soltanto perché…»

«Va bene, vengo!»

«Sei un tesoro.»

«Devo venirti a prendere?»

«No, sarò già là. Sono così felice, grazie! È molto gentile da parte tua.» E riagganciò.

Johanson lanciò un'occhiata malinconica ai suoi bagagli.

Quando entrò nella grande sala del centro di ricerca Statoil, si rese conto che la tensione nell'aria era quasi tangibile. Tina Lund era seduta in compagnia di altri tre uomini a un enorme, lucido tavolo nero. Il sole del tardo pomeriggio dava un po' di calore all'interno, arredato con vetro e acciaio e dipinto con tonalità scure. Le pareti erano letteralmente tappezzate da diagrammi e disegni tecnici.

«Eccolo», annunciò la receptionist, consegnando Johanson ai presenti come se fosse un regalo di Natale. Uno degli uomini balzò in piedi e si diresse verso di lui con la mano tesa. Aveva corti capelli neri e portava occhiali alla moda.

«Sono Thor Hvistendahl, vice direttore del centro di ricerca Statoil. Ci scusi se abbiamo approfittato del suo tempo con un preavviso così breve, però Tina Lund ci ha assicurato che lei non aveva in programma niente di meglio.»

Johanson lanciò a Tina un'occhiata inequivocabile, poi strinse la mano all'uomo. «In effetti non avevo nulla in programma», disse.

Tina sorrise tra sé e lo presentò agli altri. Come Johanson si era aspettato, uno di essi era giunto lì dalla sede centrale della Statoil, a Stavanger. Si trattava di un giovane tarchiato coi capelli rossi e con gli occhi chiari, dall'espressione amichevole. Era il rappresentante del management board, nonché un membro del comitato esecutivo.

«Finn Skaugen», tuonò, stringendogli la mano.

Il terzo uomo, completamente calvo, aveva un'espressione seria e profonde rughe intorno alla bocca; in più, era l'unico a portare la cravatta. Si trattava del diretto superiore di Tina. Si chiamava Clifford Stone, proveniva dalla Scozia ed era il capo progetto delle nuove esplorazioni. Stone fece un gelido cenno di saluto a Johanson. Non sembrava particolarmente entusiasta della presenza del biologo, ma forse era ombroso di natura. Aveva la faccia di chi non ride mai.

Johanson scambiò qualche convenevole, rifiutò un caffè e si sedette.

Hvistendahl tirò davanti a sé un pacco di fogli. «Veniamo subito alla faccenda», disse. «Conosce la situazione. Non siamo in grado di valutare con esattezza se siamo davvero impantanati o se la nostra reazione è stata esagerata. È al corrente delle norme cui si deve attenere l'industria petrolifera?»

«Quelle emerse dalla Conferenza del mare del Nord?» azzardò Johanson.

Hvistendahl annuì. «Sì, tra le altre. Siamo sottoposti a una serie di restrizioni. Da quelle connesse alle leggi per la tutela ambientale alle possibilità tecniche. Ma naturalmente sui punti non regolamentati bisogna fare i conti con l'opinione pubblica. In breve, dobbiamo essere cauti in tutto. Greenpeace e altre organizzazioni ci stanno addosso come le zecche, ma va bene così. Conosciamo i rischi di una trivellazione, e sappiamo che cosa ci aspetta se prendiamo in considerazione un giacimento e calcoliamo i tempi.»

«Vuol dire che ce la possiamo cavare da soli», disse Stone.

«In genere è così», annuì Hvistendahl. «Comunque non tutti i progetti arrivano alla fase esecutiva, e questo per motivi che può ben immaginare: la composizione dei sedimenti è instabile; corriamo il rischio di trivellare una bolla di gas; alcuni impianti non vanno bene a causa delle correnti e così via. In genere, però, riusciamo a capire in fretta che cos'è possibile fare. Tina esegue i test al Marintek; noi facciamo le solite prove, andiamo a vedere là sotto, facciamo ulteriori perizie, poi costruiamo.»

Johanson si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe. «Ma stavolta c'è quel verme», disse.

Hvistendahl fece un sorriso tirato. «Per così dire.»

«Ammesso che le bestioline giochino qualche ruolo», borbottò Stone. «A mio avviso non ne giocano nessuno.»

«Come fa a saperlo?»

«Perché i vermi non sono una novità. Si trovano ovunque.»

«Non come questi.»

«Perché? Perché rosicchiano gli idrati?» Stone fulminò Johanson, pronto ad attaccare. «Ma i suoi amici di Kiel dicono che non c'è nulla di cui preoccuparsi, giusto?»

«Non hanno detto questo. Hanno detto…»

«Che i vermi non possono destabilizzare il ghiaccio.»

«Lo divorano.»

«Ma non lo possono destabilizzare!»

Skaugen si schiarì la gola. Sembrò un'eruzione. «Credevo avessimo invitato il dottor Johanson perché volevamo sentire le sue valutazioni», dichiarò, guardando di traverso Stone. «E non per comunicargli quello che crediamo noi.»

Stone si morse il labbro inferiore e fissò il piano del tavolo.

«Se ho capito bene, nel frattempo Sigur ha ottenuto nuovi risultati», intervenne Tina, sorridendo con aria incoraggiante.

Johanson annuì. «Posso farvi un breve riassunto.»

«Animaletti di merda», borbottò Stone.

«Probabile. Al Geomar ne hanno messi altri sei sul ghiaccio e tutti hanno iniziato a scavare. Due altri esemplari sono stati collocati su uno strato di sedimenti che non conteneva idrati e loro non hanno fatto nulla. Non hanno divorato e non hanno scavato, tuttavia erano irrequieti.»

«Che cos'è successo a quelli che hanno scavato il ghiaccio?»

«Sono morti.»

«A che profondità sono arrivati?»

«Hanno raggiunto la bolla di gas… Tutti tranne uno.» Johanson guardò Stone, che lo fissava da sotto le sopracciglia aggrottate.

«Ma questo non porta a conclusioni definitive sul loro comportamento in natura. Sulla scarpata continentale, gli strati di idrati sono spessi dozzine, centinaia di metri. Gli strati nel simulatore misurano al massimo due metri. Bohrmann ritiene che nessuno dei vermi possa arrivare oltre i tre o quattro metri, ma questo è difficile da verificare nelle circostanze date.»

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