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Anawak la seguì fino al cadavere dell'orca. Lì accanto erano già pronte due valigie di metallo e un container con le attrezzature per l'autopsia. Aprire un'orca era ovviamente ben diverso dal praticare un'autopsia su un essere umano. Era un lavoro durissimo, che comportava una grande fuoriuscita di sangue e una puzza bestiale.

«Tra poco arriverà la stampa con al rimorchio un'orda di dottorandi e di studenti», disse Sue, gettando un'occhiata all'orologio. «Visto che il destino ci ha fatti incontrare in questo luogo di lutto, possiamo cogliere l'occasione per parlare delle analisi dei tuoi campioni.»

«Avete scoperto qualcosa?» chiese Anawak.

«Più o meno.»

«E avete già informato la Inglewood.»

«No, ho pensato che prima fosse meglio parlarne tra noi.»

«Il modo in cui lo dici mi fa pensare che non siano buone notizie.»

«Mettiamola così: da una parte siamo meravigliati, dall'altra siamo perplessi», borbottò Sue. «Per quanto riguarda i mitili, non esiste letteratura che li descriva.»

«Avrei potuto giurare che erano cozze zebrate», disse lui.

«In un certo senso sì. Ma anche no.»

«Spiegati.»

«Ci sono due possibili interpretazioni», cominciò Sue. «O abbiamo a che fare con un parente della cozza zebrata, oppure con una mutazione. Quelle… cose sembrano cozze zebrate, hanno le stesse stratificazioni, ma nel loro bisso c'è qualcosa di bizzarro. I filamenti che formano il piede sono particolarmente spessi e lunghi. Per scherzo tra noi le abbiamo chiamate 'cozze a reazione'.»

«Come?»

Sue fece una smorfia. «Non ci è venuto in mente niente di meglio. Ne abbiamo molte vive e dispongono… Insomma, non si comportano come di solito fanno le cozze zebrate, ma, entro certi limiti, possiedono una capacità di navigazione. Aspirano l'acqua e poi la sputano fuori. Il colpo le spinge in avanti. Inoltre utilizzano i filamenti di bisso per stabilire la direzione. Come piccole eliche. Non ti ricorda qualcosa?»

«Le seppie per nuotare usano una spinta simile a quella dei razzi», esclamò Anawak.

«Alcune. Ma c'è anche un altro parallelo. Ci possono arrivare solo i cervelloni, ma per fortuna di quelli in laboratorio ne abbiamo a sufficienza. Parlo dei dinoflagellati. Alcuni di questi organismi unicellulari hanno due flagelli alla fine del corpo. Con uno determinano la direzione; l'altro lo fanno ruotare per spostarsi in avanti», spiegò Sue.

«Non ci stiamo spingendo un po' troppo in là?»

«Diciamo che si potrebbe intravedere una convergenza. Ci si attacca a tutto. Comunque non conosco altri mitili che si muovano nello stesso modo. Questi sono mobili come un banco di pesci. E, nonostante la conchiglia, riescono in qualche modo a spingersi.»

«Ciò spiegherebbe come abbiano potuto raggiungere la carena della Barrier Queen in alto mare», rimuginò Anawak. «Ed è questo che vi meraviglia?»

«Sì.»

«E cos'è che vi lascia perplessi?» chiese lui.

Sue si avvicinò al fianco dell'orca morta e accarezzò la pelle nera. «Quei frammenti di tessuto che hai preso sott'acqua. Non sappiamo da che parte incominciare… Per essere precisi, non possiamo nemmeno incominciare. La sostanza si è decomposta. Quel poco che abbiamo potuto analizzare ci porta alla conclusione che la sostanza appesa allo scafo e quella sul tuo coltello sono la stessa cosa. E questo è tutto, perché non siamo in grado di ricondurla a nulla di conosciuto.»

«Quindi la cosa che ho scacciato dallo scafo a colpi di coltello era E.T.?»

«La capacità di contrazione del tessuto è del tutto sproporzionata. Di grande consistenza e nel contempo enormemente flessibile. Non sappiamo cosa sia.»

Anawak aggrottò la fronte. «Segni di bioluminescenza?»

«Possibile. Come mai lo chiedi?»

«Perché ho avuto l'impressione che quella cosa per un attimo abbia lampeggiato.»

«Quella cosa che ti ha steso, vuoi dire?»

«Sì, è balzata fuori non appena ho smosso il rivestimento.»

«Probabilmente l'hai tagliata e lei non l'ha trovato particolarmente divertente. Anche se dubito che questo tessuto possieda qualcosa di simile a un sistema nervoso, qualcosa che le faccia provare dolore. In sostanza è solo… un ammasso di cellule.»

Un gruppo di persone stava attraversando la spiaggia, diretto verso di loro. Alcuni reggevano una telecamera, altri avevano bloc-notes.

«Si comincia», disse Anawak.

«Sì.» Sue li guardò, perplessa. «Che facciamo, ora? Devo mandare i dati alla Inglewood? Temo che non sappiano cosa farsene. Detto chiaramente, vorrei avere altri campioni. In particolare di quel tessuto.»

«Mi metto in contatto con Roberts», propose Anawak.

«Bene. Buttiamoci nella mischia.»

Fenwick e Ford si mossero, preparandosi ad agire. Anawak osservò l'orca e si sentì travolgere dalla rabbia e dalla disperazione. Era davvero deprimente. Gli animali erano stati lontani per settimane e adesso ce n'era uno morto sulla spiaggia. «Merda!»

Sue aggrottò la fronte e borbottò: «Risparmiati il malumore per la stampa».

L'autopsia durò oltre un'ora, durante la quale Fenwick, assistito da Ford, estrasse le viscere, il cuore, il fegato e i polmoni, spiegando contemporaneamente la struttura anatomica dell'orca. Venne tirato fuori il contenuto dello stomaco: una foca semidigerita. A differenza delle stanziali, le orche transienti e quelle offshore mangiavano leoni marini, focene e delfini e talvolta attaccavano anche i grandi misticeti.

Fra gli spettatori, i giornalisti scientifici erano la minoranza. La maggior parte era costituita da reporter televisivi o della carta stampata. In sostanza, dunque, erano pressoché digiuni di nozioni scientifiche. Così Fenwick illustrò anzitutto le caratteristiche specifiche della struttura del corpo. «La forma è quella di un pesce, ma solo perché la natura ha dotato di questa struttura genetica un essere che si trasferisce dalla terra all'acqua. Una cosa del genere accade spesso: la chiamiamo convergenza. Specie completamente diverse, quando incontrano determinate esigenze ambientali, si sviluppano in modo convergente, quindi negli effetti con strutture simili.»

Allontanò una parte della spessa pelle esterna e fece uscire il grasso. «Ancora una differenza: pesci, anfibi e rettili sono a temperatura variabile, cioè a sangue freddo; ciò significa che la loro temperatura corporea corrisponde alla temperatura dell'ambiente circostante. I merluzzi, per esempio, ci sono sia a capo Nord sia nel Mediterraneo, solo che a capo Nord abbiamo misurato una temperatura corporea di 4 °C, mentre i merluzzi del Mediterraneo hanno una temperatura di 24 °C. Per i cetacei non è così. Sono a sangue caldo. A sangue caldo come noi.»

Anawak osservò i presenti. Fenwick aveva appena detto una cosa da niente, che però funzionava sempre: «come noi». A quelle parole, la gente drizzava le orecchie. I cetacei sono come noi. Rieccola, la stretta linea di confine all'interno della quale gli uomini cominciano a dare valore alla vita.

«Che si trattengano nell'Artico o nella Bassa California, i cetacei hanno sempre una temperatura costante di 37 °C», proseguì Fenwick. «Per questo formano uno strato di grasso che noi chiamiamo 'blubber'. Vedete questa massa grassa bianca? L'acqua assorbe il calore, ma questo strato impedisce che il calore corporeo vada disperso». Si guardò intorno. Le sue mani inguantate erano rosse e vischiose per il sangue e il grasso dell'orca. «Ma nel contempo il blubber può essere una condanna a morte per i cetacei. I problemi di tutti i mammiferi marini che s'incagliano sono due: il peso del corpo e questo straordinario strato di grasso. Una balenottera azzurra lunga trentatré metri e pesante centotrenta tonnellate è quattro volte più pesante del più grande sauro che sia mai comparso sulla faccia della Terra, ma anche un'orca arriva a nove tonnellate. Solo in acqua, grazie alla legge di Archimede — secondo cui ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume di liquido spostato — possono esistere esseri di queste dimensioni. A terra, le balene sono schiacciate dal loro stesso peso, e l'effetto isolante del grasso fa il resto, perché non possono rilasciare il calore che ricevono dall'ambiente. Molti dei cetacei incagliati muoiono per shock da surriscaldamento.»

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