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Infilò velocemente i tubi nei vani e li bloccò. Il progetto del sistema era magnifico. Non appena fossero stati sparati fuori, una piccola capsula esplosiva si sarebbe occupata di spruzzare il veleno. Della diffusione si sarebbe occupata l'acqua e il resto — involontariamente — l'avrebbero fatto gli yrr. Quella era la parte migliore del piano: la morte programmata delle cellule, elaborata da Rubin. Una volta infettato, l'insieme si sarebbe autodistrutto con una reazione a catena.

Rubin aveva fatto un buon lavoro.

Esaminò ancora una volta il sistema di blocco, manovrò il Deepflight sino a portarlo sopra la chiusa e lo abbassò al livello dell'acqua. Non aveva tempo d'infilarsi la tuta di neoprene. Doveva stare attenta. Scese velocemente la scaletta verso l'imbarcazione. Il Deepflight oscillò mentre lei si arrampicava a bordo. Il suo sguardo cadde sul vano del pilota aperto e, dentro, lei vide Johanson. Era in posizione prona, immobile.

Quell'incorreggibile idiota… Perché non si era spostato, lasciandosi cadere nel bacino? Adesso avrebbe dovuto anche disfarsi del cadavere.

Provò un vago dispiacere. In un certo senso, quell'uomo le piaceva, lo ammirava.

In altre circostanze, forse…

Un rumore attraversò la nave.

No, era troppo tardi per occuparsi di lui e in effetti non importava. Il batiscafo si poteva guidare tranquillamente anche dal posto del copilota. Le funzioni si potevano trasferire. Poteva disfarsi di Johanson sott'acqua.

Da qualche parte, l'acciaio si crepò con un rumore assordante.

Judith Li s'infilò velocemente nella cabina tubolare e azionò la chiusura degli sportelli, che si abbassarono e si chiusero con uno scatto. Fece scivolare le dita sulle apparecchiature di controllo: un ronzio riempì lo spazio interno, si accesero alcune file di luci e due piccoli monitor. Tutti i sistemi erano pronti. Il Deepflight galleggiava tranquillo sull'acqua verde e nera del mar di Groenlandia, pronto a scendere negli abissi attraverso i tre metri del pozzo.

Judith si sentì travolgere dall'euforia.

Ce l'aveva fatta.

Rifugio

Johanson era seduto presso il lago.

Lo specchio d'acqua si stendeva davanti a lui, calmo e pieno di stelle. Quanto aveva desiderato tornarci un'altra volta. Osservava il paesaggio della sua anima e provava un senso di rispetto e di felicità. Si sentiva stranamente privo di peso, non sentiva il caldo e il freddo. E poi c'era qualcosa di diverso dal solito. Gli sembrava di essere lui stesso il lago, la casetta, la foresta nera e silenziosa tutt'intorno a essa, i rumori del sottobosco, la luna… Lui era tutto e tutto era in lui.

Tina Lund.

Che peccato. Come gli dispiaceva che non fosse lì. Quella tranquillità e quella pace profonda le sarebbero piaciute. Ma lei era morta, uccisa dalla violenta ribellione della natura contro una piaga creata della civiltà umana, una piaga che, simile a una muffa, si stendeva lungo le coste. Tina era stata spazzata via, come tutto il resto. Però l'immagine impressa sulla sua retina rimaneva. Il lago era eterno. Quella notte non sarebbe finita. E all'essere solo sarebbe seguito il benefico nulla, il piacere finale dell'egoista.

Voleva quello? Voleva davvero essere solo?

Da una parte, perché no? Essere solo aveva una serie di vantaggi impagabili. Si passava tempo prezioso con se stessi. Si stava in ascolto del proprio animo e si sentivano cose sorprendenti.

Ma, dall'altra… Su quale linea correva il confine della solitudine?

Improvvisamente provò paura.

La paura faceva male. Gli mordeva il petto, gli toglieva il respiro. Sentì freddo e prese a tremare. Le stelle del cielo si trasformarono in luci rosse e verdi ed emisero un ronzio elettrico. Tutta l'immagine si sfocò in qualcosa di splendente, spigoloso. Lui non era più seduto davanti al lago. Il lago non c'era più. Lui era disteso, stretto in un tunnel, in una canna, in un tubo.

All'improvviso riprese coscienza.

Sei morto, pensò.

No, non era morto. Ma sentiva che gli rimanevano solo pochi secondi. Era disteso all'interno del batiscafo che doveva portare il veleno negli abissi per ripagare il crimine compiuto dagli yrr -ammesso che fosse davvero un crimine — con un crimine peggiore, un crimine contro gli yrr e contro l'umanità.

Davanti a lui non splendevano le stelle, ma le apparecchiature del Deepflight. Erano accese. Alzò lo sguardo, sbirciò attraverso la cupola di vetro e vide il bordo superiore del ponte a pozzo sparire verso l'alto.

Erano nella chiusa.

Con un incredibile sforzo di volontà, riuscì a girare la testa. Nella cabina tubolare di fianco a lui riconobbe il bel profilo di Judith Li.

Juiith Li.

Judith Li l'aveva ucciso.

Quasi.

Il batiscafo sprofondava. Passarono davanti ai pannelli d'acciaio rivettati. Ben presto sarebbero stati fuori. Niente e nessuno poteva impedire a Judith Li di scaricare in mare il suo carico mortale.

Non poteva finire così.

Fece scivolare le mani da sotto il busto e allargò le dita. Cominciò a sudare e quasi perse i sensi. Là c'era la console. Lui era nella cabina del pilota. Judith Li aveva trasferito i comandi e guidava il batiscafo dalla cabina del copilota.

Ma quella cosa si poteva cambiare.

Era sufficiente premere un tasto e i comandi sarebbero tornati a lui.

Ma dov'era quel pulsante?

Era stata Kate Ann Browning ad addestrarli. L'aveva fatto in maniera esaustiva e lui era stato attento. Quelle cose lo interessavano. Il Deepflight rappresentava l'inizio di una nuova era nelle immersioni abissali, e Johanson nutriva un grande interesse per il futuro. Sapeva dov'era quel tasto! Sapeva anche a cosa servivano gli altri strumenti e cosa bisognava fare per ottenere l'effetto desiderato. Doveva soltanto ricordare.

Ricorda!

Le sue dita strisciavano come ragni sulle tastiere sporche di sangue. Il suo sangue.

Ricorda!

Là. Il tasto. E di fianco…

Non poteva più fare granché. La vita lo stava abbandonando, ma lui aveva ancora un residuo di forza. Sarebbe bastato.

Va' all'inferno, Judith Li!

Judith Li

Judith Li fissava fuori dalla cupola. A pochi metri da lei, si stendeva la parete d'acciaio della chiusa. Il batiscafo scendeva lentamente verso il mare aperto. Ancora un metro, forse meno, e avrebbe fatto partire l'elica. Poi si sarebbe spostata di lato. Voleva essere il più lontano possibile dall'Independence nel momento in cui sarebbe affondata.

Quando avrebbe incontrato il primo insieme di yrr? Un insieme massiccio avrebbe potuto crearle dei problemi, lo sapeva, e non aveva la minima idea di quanto potessero diventare grandi quelle creature. Forse sarebbe stata anche attaccata dalle orche. In entrambi i casi, il suo armamento le avrebbe liberato la strada. Non c'era motivo di preoccuparsi.

Doveva solo aspettare la nuvola blu. Il momento giusto per sparare era poco prima della fusione.

Quei maledetti esseri unicellulari avrebbero avuto una bella sorpresa.

Che pensiero divertente. Un organismo unicellulare poteva essere sorpreso?

Ma subito dopo fu lei a meravigliarsi. Nelle apparecchiature era cambiato qualcosa. Si era appena spenta una spia, quella che indicava che i controlli dalla sua parte…

I comandi!

Non aveva più il controllo dei comandi! Tutte le funzioni erano state trasferite al pilota. Si era acceso un display che mostrava la disposizione dei quattro siluri, due sottili e due più grandi, i siluri perforanti.

Uno dei siluri perforanti era illuminato.

Judith Li sobbalzò, terrorizzata. Colpì la console per riportare i controlli alla sua postazione, ma il comando di sparo non si poteva bloccare. Nei suoi occhi acquamarina si riflettevano, inesorabili, le cifre del conto alla rovescia.

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