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Greywolf non ribatté. Lasciarono il pontile e imboccarono in silenzio il sentiero nel bosco verso Tofino. Davanti alla Davies Whaling Station, Greywolf si fermò. «Poco prima che me ne andassi, ho sentito dire che gli esperimenti con le orche nucleari avevano fatto un decisivo passo in avanti. In quell'occasione, venne anche pronunciato un nome, collegato alla neurologia e a qualcosa che hanno chiamato 'computer neurali'. Dicevano che per raggiungere il controllo totale sugli animali bisognava seguire le idee di un certo professor Kurzweil. Ho pensato di dirtelo. Non so se servirà a qualcosa.»

Anawak rifletté. «Certo», mormorò. «Penso proprio di sì.»

Château Whistler, Canada

Verso sera, Karen Weaver bussò alla camera di Sigur Johanson. Com'era sua abitudine, non attese risposta e abbassò la maniglia per entrare, ma la porta era chiusa.

Lo aveva visto ritornare da Nanaimo e sapeva che voleva incontrare Bohrmann. Allora Karen scese nella hall e lo trovò al bar, seduto con lo scienziato tedesco e con Stanley Frost. Erano chini su alcuni diagrammi e immersi in una discussione concitata.

«Salve.» Karen si avvicinò. «Avete fatto qualche passo avanti?»

«Siamo bloccati», sospirò Bohrmann. «Nell'equazione abbiamo ancora un paio d'incognite.»

«Bah, prima o poi riusciremo a trovarle», brontolò Frost. «Dio non gioca a dadi.»

«Questo l'ha detto Einstein», notò Johanson. «E aveva torto.»

«Dio non gioca a dadi!» ripeté Frost, convinto.

Lei attese qualche istante, poi toccò Johanson su una spalla. «Potrei… Scusa il disturbo, ma potrei parlarti a quattr'occhi?»

Lui esitò. «Subito? Stiamo esaminando lo scenario di Stan. È una cosa che fa venire i sudori freddi.»

«Davvero, dovrei parlarti.»

«Perché non ci fai compagnia?»

«Non potresti venire con me per un paio di minuti? Non mi serve molto tempo.» Sorrise. «Poi parteciperò anch'io, mi lascerò mostrare tutte le simulazioni e vi farò saltare i nervi con osservazioni di un'intelligenza nove volte superiore alla media.»

«Una prospettiva splendida», ghignò Frost.

«Dove andiamo?» chiese Johanson, non appena ebbero lasciato il tavolo.

«È lo stesso. Nella hall.»

«È qualcosa d'importante?»

«Importante è un eufemismo!»

«Bene.»

Uscirono. Il tramonto ricopriva di una luce rossastra lo Château e le cime innevate. Gli elicotteri davanti all'albergo sembravano giganteschi insetti. Mentre si avviavano in direzione del villaggio, Karen avvertì un vago senso di disagio. Di certo, gli altri si sarebbero convinti che lei e Johanson avevano dei segreti. Ma non era così: lei voleva soltanto sentire la sua opinione. Toccava a lui decidere quando e come presentare la sua teoria all'unità di crisi… e ciò significava che doveva essere informato prima di tutti.

«Com'è andata a Nanaimo?» chiese Karen.

«Da brivido.»

«Significa che Long Island è stata invasa da granchi killer?»

«Granchi con alghe killer», disse Johanson. «Simili a quelle dell'Europa, solo più velenose.»

«Sembra una nuova ondata di attacchi.»

«Sì. Oliviera, Fenwick e Rubin le stanno analizzando.» Si schiarì la voce. «Senti, apprezzo il tuo interesse, ma non eri tu che volevi raccontarmi qualcosa?»

«Ho trascorso tutto il giorno a studiare i dati dei satelliti. Poi ho confrontato le analisi dei radar con le registrazioni multispettro. Avrei voluto vedere anche i dati dei drifter di Bauer, ma non trasmettono più. Gli elementi sono comunque sufficienti. Lo sai che la superficie dei mari nelle zone esterne ruota in giganteschi vortici oceanici?»

«L'ho sentito dire.»

«Una di queste zone esterne è la Corrente del Golfo. Bauer presumeva che in quella regione fosse successo qualcosa. Non trovava più i vortici, quelli in cui l'acqua sprofondava, ed era arrivato alla conclusione che qualcosa stava turbando il comportamento delle grandi correnti, ma non ne era sicuro.»

«E allora?»

Si fermò e lo guardò. «Ho fatto i calcoli, li ho confrontati, valutati, li ho rifatti, li ho confrontati ancora, ho avuto dei dubbi, li ho rivalutati e rifatti ancora. La curvatura della Corrente del Golfo è sparita.»

Johanson aggrottò la fronte. «Vuoi dire…»

«Il vortice non ruota più come prima e, se osservi le analisi spettrografiche, arrivi alla conclusione che il calore è sparito. Non ci sono dubbi, Sigur. Ci stiamo avviando verso una nuova Era Glaciale. La Corrente del Golfo non scorre più. Qualcosa l'ha fermata.»

Consiglio di sicurezza nazionale

«Questa è una vera porcheria! E qualcuno dovrà pagare.»

Il presidente voleva veder scorrere il sangue.

Era arrivato all'Offutt Air Force Base e, come prima cosa, aveva indetto una videoconferenza del consiglio di sicurezza nazionale. Erano collegati Washington, Offutt e lo Château. Alla Casa Bianca c'erano il vice presidente, il segretario alla Difesa e il suo vice, il segretario di Stato — una donna -, il consigliere per la sicurezza nazionale, il direttore dell'FBI e il capo degli stati maggiori riuniti. Nella centrale per la lotta al terrorismo, in una sala sotterranea priva di finestre all'interno del quartier generale della CIA, a Langley, si trovavano il direttore della CIA, il vice direttore per le operazioni, il direttore del Centro nazionale per la lotta al terrorismo e il capo delle operazioni speciali. La cerchia era completata dal generale Judith Li e dal vice direttore della CIA, Jack Vanderbilt, seduti nella War Room provvisoria dello Château, davanti a una fila di schermi nei quali si vedevano gli altri partecipanti alla riunione. Alcuni esibivano un atteggiamento di ferma determinazione, altri apparivano disorientati.

Il presidente non si sforzava neppure di nascondere la rabbia. Nel pomeriggio, il suo vice aveva proposto di affidare allo stato maggiore la gestione di un'unità di crisi, ma il presidente era rimasto dell'idea di dirigere personalmente la seduta plenaria del consiglio di sicurezza nazionale. Non voleva farsi sottrarre il potere decisionale.

E con questa scelta agiva nel senso auspicato da Judith Li.

Nella gerarchia dei consiglieri, Judith non era la voce più importante. Il più alto rango militare era rivestito dal capo degli stati maggiori riuniti. Era il primo consigliere militare del presidente e anche lui aveva un vice. Tutti gli idioti avevano un vice. In ogni caso, Judith sapeva che il presidente la ascoltava e ciò la faceva ardere di orgoglio. L'evoluzione della sua carriera era sempre al centro dei suoi pensieri e lo era anche in quel momento. Da generale comandante sarebbe diventata capo degli stati maggiori riuniti. L'attuale capo era sul punto di essere esonerato dall'incarico e il suo vice era notoriamente un incapace. Poi, con qualche giro di valzer politico, sarebbe approdata al dipartimento di Stato o alla Difesa e infine si sarebbe potuta presentare alle elezioni presidenziali. Se ora faceva bene il suo lavoro — cioè nell'esclusivo interesse degli Stati Uniti — la sua elezione era pressoché sicura. Il mondo stava sprofondando. Judith Li era in ascesa.

«Abbiamo di fronte un nemico senza volto», disse il presidente. «Alcuni pensano che dovremmo puntare il dito contro quella parte dell'umanità che ci è ostile. Altri sono convinti che si tratti di qualcosa in più di una tragica accumulazione di processi naturali. Per quanto mi riguarda, non voglio lunghi discorsi, ma esigo che si trovi un accordo per agire. Voglio dei piani, voglio conoscere i costi e la durata.» Socchiuse le palpebre. Il livello della sua rabbia e della sua determinazione si poteva leggere in quel semplice movimento. «Personalmente non credo alla favola della natura impazzita. Siamo in guerra. Questa è la mia opinione. L'America è in guerra. Quindi che facciamo?»

Il capo di stato maggiore disse che non bisognava più stare sulla difensiva. Si doveva passare all'attacco. Sembrava molto determinato.

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