— Non ha importanza. Ti ho detto cosa farò, e poi ti ho detto cosa farai tu. Non c’è altro da dire.
— Non credo — disse Gea, osservandola attentamente. — Infatti, si tratta di una richiesta che non può essere accettata. Tu lo sai, e devi avere qualche minaccia in serbo, anche se non riesco assolutamente a immaginare che minaccia sia.
Cirocco non disse niente. Si limitò semplicemente a guardarla.
— Non avrai pensato che io dessi supinamente retta alle tue ri… anzi, che io accogliessi le tue pretese, se preferisci questo termine. Che siano richieste o pretese, la cosa ha poca importanza, quando la risposta è no. Adesso dimmi cosa farai.
— La risposta è no?
— Esattamente.
— Allora ti ucciderò.
Non si udiva alcun rumore nell’immensità del mozzo. Varie centinaia di umani formavano piccoli capannelli dietro la sedia di Gea, tesi a cogliere ogni sua parola. Ciascuno di loro era un pavido, perché altrimenti non si sarebbe trovato lassù, e certo gran parte di loro si stava semplicemente chiedendo come Gea avrebbe eliminato quella donna. Ma alcuni, guardando Cirocco, cominciavano a chiedersi se non avessero sbagliato padrona.
— Davvero, devi essere fuori di senno. Non hai materiali fissili, e non avresti modo di procurarteli. E non credo che saresti in grado di fabbricare una bomba, anche se avessi il materiale occorrente. E se, grazie alla magia che t’illudi di possedere, tu riuscissi a evocare una bomba nucleare, non la useresti per timore di distruggere i titanidi cui sei tanto legata. — Sospirò ancora, e agitò una mano. — Non ho mai pensato di essere immortale. So esattamente quanto tempo mi resta. Non sono indistruttibile. Le armi atomiche… in grande quantità, e poste nei punti opportuni… potrebbero spezzare il mio corpo, o rendermi inabitabile. A parte questo genere di armi, non so cosa possa causarmi gravi danni. Come pensi di uccidermi?
— A mani nude, se necessario.
— O morire nel tentativo.
— Se così deve essere.
— Esattamente. — Gea chiuse gli occhi, e mosse le labbra senza parlare. Alla fine guardò di nuovo Cirocco.
— Dovevo aspettarmelo. Ritieni meno doloroso sprecare la tua vita che vivere dopo ciò che è successo. È colpa mia, lo ammetto, ma mi spiace che tu vada sprecata così. Tu vali quanto questo intero gruppo, e anche più.
— Io non valgo niente, se non posso fare quello che voglio.
— Cirocco, chiedo scusa di quello che ho fatto. Aspetta, aspetta, ascoltami. Pensavo di riuscire a nascondere le mie azioni, ma mi sbagliavo. Comunque, non negherai che stava congiurando per rovesciarmi, e che tu la aiutavi…
— Rimpiango soltanto di avere esitato per troppo tempo.
— Certo. È comprensibile. Conosco la profondità della tua amarezza e del tuo odio. E non ce n’era affatto la necessità, perché la mia azione è stata dettata più dall’orgoglio che dal timore. Non penserai che fossi seriamente preoccupata dei suoi miseri tentativi…
— Attenzione a come parli di lei. Non ti darò altri avvisi.
— Scusa. Il fatto è che né lei né tu eravate in grado di fare qualcosa di preoccupante. L’ho distrutta per l’insolenza dimostrata nel pensarlo e, così facendo, ho perso il tuo rispetto. Trovo che sia un prezzo eccessivamente alto. Ti rivoglio, temo di non poterti riavere, eppure voglio che tu rimanga, anche solo per dare a questo luogo un po’ di classe.
— Ne ha davvero bisogno, ma non rivolgerti a me, perché io non ne ho.
— Non devi sottovalutarti. Ciò che hai chiesto è impossibile. Non sei la prima Maga da me nominata nei miei tre milioni di anni. C’è un solo modo di lasciare l’incarico, ed è con i piedi in avanti. Nessuna ha mai lasciato l’incarico, e nessuna lo lascerà mai. Ma una cosa posso farla. Posso riportarla in vita.
Cirocco si prese la testa tra le mani e per molto tempo non disse niente. Alla fine drizzò la schiena, infilò entrambe le mani sotto la coperta informe e cominciò a dondolare avanti e indietro.
— Ecco l’unica cosa che temevo — disse, senza parlare a nessuno in particolare.
— Posso ricrearla esattamente come era — proseguì Gea. — Sai che ho campioni di tessuto di tutte e due. Quando siete state esaminate originariamente, e quando vi presentate per i trattamenti immortalizzanti, io registro i vostri ricordi. I suoi sono aggiornatissimi. Posso farle crescere un corpo e riempirlo con la sua essenza. Sarà di nuovo lei, lo garantisco; sarà impossibile trovare una differenza. È quello che farei anche nel caso tuo, se, nonostante tutto, fosse necessario ucciderti. Posso ridartela con un solo cambiamento, ossia di cancellare il suo desiderio di distruggermi. Solo quello, nient’altro.
Rimase in silenzio, e Cirocco non disse niente.
— Va bene — disse Gea, spazientita. — Non cambierò neppure quello. Sarà lei sotto tutti gli aspetti. Non posso fare di più.
Cirocco aveva continuato a guardare in alto. Ora riabbassò gli occhi.
— Era l’unico mio timore — ripete. — Anzi, non volevo neppure venire qui, per non dover ascoltare l’offerta e non dover subire la tentazione. Perché si tratta davvero di una tentazione forte. Sarebbe un ottimo modo per riconciliarmi con tante cose e per trovare la scusa di continuare a vivere. Ma poi ho pensato a cosa ne avrebbe detto Gaby, e ho capito che sarebbe un’oscena, vergognosa, abietta necromanzia. Sarebbe inorridita, al pensiero di lasciare, come propria superstite, una piccola bambolina Gaby, creata dalla tua carne corrotta. Mi avrebbe chiesto di ucciderla immediatamente. E pensando meglio alla cosa, ho capito che ogni volta che l’avessi vista mi sarei ulteriormente mangiata il fegato.
Sospirò. Alzò la testa, poi fissò Gea.
— È la tua ultima offerta, allora? — chiese Cirocco.
— Sì. Non…
Non ci fu distacco tra un’esplosione e l’altra. Cinque fori, vicini tra loro, si aprirono sulla coperta di Cirocco, e il rinculo la spinse indietro di due metri, prima che avesse finito di sparare. La nuca di Gea esplose in uno schizzo di sangue. Almeno tre dei proiettili la colpirono al petto. Venne spinta all’indietro e rotolò per una trentina di metri prima di fermarsi.
Cirocco si alzò in piedi, ignorando il pandemonio scoppiato attorno a lei, e si avvicinò al corpo di Gea. Tirò fuori, da sotto la coperta, la Colt 45 di Robin, mirò alla testa di Gea e sparò gli ultimi tre colpi. Muovendosi rapidamente, nel silenzio generale, estrasse anche una latta metallica, la aprì, e versò sul corpo un liquido trasparente. Accese un fiammifero e indietreggiò, mentre le fiamme si alzavano e si estendevano su tutto il tappeto.
— Per chi apprezza i bei gesti — disse, e poi si voltò verso la folla. Con la pistola, indicò la cattedrale più vicina.
— Se volete salvarvi, correte verso il raggio — disse loro. — Arrivati al bordo, saltate giù. Gli angeli vi raccoglieranno e vi lasceranno su Iperione. — Detto questo, si dimenticò di loro. Che vivessero o che morissero, non aveva più importanza.
A denti stretti, ansimando, sfilò il caricatore vuoto e ne prese un altro, carico, dalla tasca nascosta. Lo infilò nel calcio, mise il colpo in canna, lentamente. Poi si allontanò dalla zona dell’incendio.
Quando si fu allontanata a sufficienza e tornò a vedere chiaramente, allargò bene le gambe e sollevò la pistola al di sopra della testa. Mirando quasi in verticale, cominciò a sparare contro la sottile linea rossa. Distanziò i colpi, senza fretta, prendendo bene la mira, e smise solo quando il caricatore fu vuoto.
Sfilò quello vuoto e lo sostituì con uno carico.