Ma era impossibile saperlo. Sapeva però che in futuro non avrebbe mai più sottovalutato Cirocco.
Ofione uscì dal Mare del Crepuscolo come era uscito dal Nox: il mare si restrinse gradualmente, e a un certo punto divenne un fiume. Ma invece di una serie di pompe, il gruppo si trovò di fronte a cinque chilometri di rapide. Si fermarono nell’ultimo tratto tranquillo, e le quattro barche si accostarono per decidere come procedere. Solo Cirocco e Gaby conoscevano quella parte del fiume. I titanidi si limitarono ad ascoltare, pagaiando lentamente all’indietro per tenersi lontano dalla corrente.
Entrarono nella corrente uno alla volta: per primi Cirocco e Cornamusa, per ultimi Gaby e Salterio. Quando giunse il suo turno, Robin esultò per la velocità e per il rumore delle acque.
Si inginocchiò a prua e si mise a pagaiare vigorosamente, finché Oboe non le consigliò di risparmiare le forze e di lasciare che il fiume lavorasse per lei. Robin vide l’effetto dei pochi colpi di remo, forti e calcolati, della titanide, e fece del suo meglio per aiutare anziché ritardare. Occorreva trovare un ritmo, trovare il modo per entrare in sintonia con il fiume. Per due volte allontanò con il manico della pagaia massi sommersi, e una volta ricevette da Oboe un grido di incoraggiamento. Sorrideva ancora quando, girando dietro un’ansa, si trovarono in un tratto di acque caotiche, lungo cento metri, che parevano scendere a precipizio.
Non ci fu il tempo di riflettere. Robin recitò una preghiera, senza accorgersene, e si tenne forte.
La canoa tremò. Un’onda superò il bordo della canoa e bagnò la faccia a Robin, che poi dovette fare del suo meglio per mantenere la prua orientata in avanti. Le parve di udire un grido di Oboe, ma il rumore del fiume era troppo forte. Il legno si ruppe sotto di lei, e all’improvviso Robin si trovò nel fiume, appesa al bordo della canoa.
Quando riuscì a emergere con la testa dall’acqua e a riaprire gli occhi, vide che anche Oboe era finita in acqua, ma che teneva i piedi sul fondo ed era sommersa fino alla vita. Era riuscita a condurre la barca fino a una zona di relativa quiete accanto alla riva; ora salì su una piattaforma di roccia e sollevò la poppa della canoa.
— Tutto a posto? — chiese, e Robin annuì. Alzando gli occhi, scorse Gaby e Salterio.
Dopo avere esaminato la canoa, decisero che doveva giungere fino al termine delle rapide: le altre erano già sovraccariche. Robin doveva salire con Gaby, e Oboe doveva far compiere alla canoa il resto del tragitto. Robin non disse niente, ma salì sulla canoa di Gaby con un senso di fallimento.
— Non sono in grado di ripararla — disse Oboe, dopo avere esaminato le centine rotte della canoa. — Dobbiamo recuperare la tela e aspettare finché non incontreremo un altro gruppo di alberi-canoa.
— Robin può venire con me e Valiha — disse Chris.
Robin ebbe un attimo di esitazione, e poi annuì.
Erano sbarcati su una larga distesa di fango, alla confluenza dell’Ofione e del fiume Arges, nel centro di Febe. La zona era scura, e si scorgeva unicamente qualche albero rinsecchito che assumeva un colore argenteo e traslucido in quella penombra lunare. In realtà, Febe era leggermente più chiara di Rea. Questo grazie al Mare del Crepuscolo, che in parte era illuminato, e che rifletteva la luce assai meglio delle terre che salivano ai due lati del Nox. Ma quel leggero guadagno si perdeva a causa dello squallore del territorio. Rea, se non altro, era accidentata; la parte centrale di Febe era invece una palude.
Robin la trovò insopportabile. Era piantata nel fango fino alle caviglie e vedeva soltanto un territorio che doveva essere il paradiso delle anguille e delle rane, ma non di altri. Già si era scordata del piacere provato nel discendere le rapide. Era inzuppata fino all’osso e non c’erano prospettive di asciugarsi entro breve termine. E anche il pensiero che se non ci fosse stata lei nella parte anteriore della canoa, l’incidente non sarebbe successo, non le dava molta consolazione. Si chiese ancora una volta cosa facesse, laggiù.
E non era la sola, a non gradire quel posto. Nasu continuava ad agitarsi nella borsa. Il serpente aveva sofferto il viaggio. Robin sapeva che avrebbe dovuto lasciare il demone sulla Congrega: aveva pensato di farlo, ma all’ultimo momento non ne aveva avuto il coraggio. Allargò l’apertura, e il serpente tirò fuori la testa e assaggiò l’aria con la lingua. Vedendo però che era fredda e umida come l’interno della borsa, e non trovando posti asciutti dove mettersi a dormire, presto ritornò dentro
Oboe e Salterio smontavano la canoa danneggiata, e portavano nelle altre il suo contenuto. Robin vide che gli altri erano poco lontano, e che si erano portati in un punto che senza dubbio, per Febe, era terreno elevato, ossia avevano i piedi qualche centimetro al di sopra dell’acqua. Rocky sedeva su una roccia e fissava il cavo centrale di Febe, che giganteggiava su di loro, ma gli altri guardavano verso nord. A Robin non pareva di scorgere niente di rimarchevole, ma attraversò il fango per raggiungerli.
— Cosa c’è di interessante? — chiese.
— Non so ancora — disse Chris. — Aspetto che Cornamusa me lo spieghi.
Cornamusa muoveva i piedi sul terreno, irrequieto.
— Forse era meglio non dire niente — fece.
— Forse era davvero meglio — annuì Valiha, fissandolo con occhi di fiamma. Ma Cornamusa proseguì.
— Be’, voi siete qui per dimostrare a Gea il vostro eroismo. Io mi limitavo unicamente a segnalarvi le possibili occasioni. Prendere o lasciare.
— Io lascio, grazie — disse Robin. Guardò Chris. — Non dirai sul serio, spero.
— Non so — ammise Chris. — Io sono venuto perché Gaby diceva che se non mi mettevo in cerca, le occasioni non spuntavano da sole, e mi pareva che il discorso fosse giusto. Non ho mai veramente deciso se accettare le regole di Gea o se rifiutarle. Visto che sono qui, non devo averle rifiutate. Ma ammetto di non avere mai pensato seriamente ad andare in viaggio da solo.
— E non devi pensarlo — disse Valiha.
— Comunque, vorrei sapere cosa c’è laggiù.
Robin sbuffò, ma alla fine dovette ammettere che voleva saperlo anche lei.
— Quella montagna — disse Cornamusa. Robin vide una macchia nera, di forma conica. — È quasi ai bastioni settentrionali — proseguì. — A quanto si dice, è un brutto territorio, dove ci sono poche forme di vita. Io non ci sono mai stato. Ma so che ci abita Kong.
— Chi è Kong? — domandò Chris.
— Una scimmia gigantesca — disse Gaby, che si era unita a loro. — Che altro può essere? Andiamo, ragazzi. Le canoe sono pronte.
— Ancora un attimo — disse Chris. — Vorrei sentire la storia.
— Cosa c’è da sentire? Se ne sta lassù… — Lo guardò con sospetto. — Ehi, non penserai di… oh. Vieni con me, Chris, e ti parlerò di Kong. — Lo condusse qualche metro più in là, tenendo d’occhio Cirocco. Robin li seguì, ma i titanidi non si mossero. Quando riprese a parlare, Gaby parlò a voce bassa.
— Rocky non ama sentir parlare di Kong — disse, facendo una smorfia. — E io non le do torto. Kong è una creatura unica, cioè è l’unica della sua specie, e ha un centinaio di anni. Appartiene alla stessa categoria dei draghi di cui vi ha parlato Gea; uno diverso dall’altro, nessuna possibilità di riproduzione. Escono dalla terra dopo che Gea li ha creati, vivono per tutta la durata di vita per cui sono programmati, che di solito è abbastanza lunga, e poi muoiono.
"Kong è basato su un film visto da Gea, come il gigantesco verme delle sabbie di Mnemosine. Quaggiù ci sono molte creature dello stesso tipo. Naturalmente, i pellegrini vanno a cercarle nelle loro imprese, e io mi rifiuto di pensare a quante persone siano state uccise da Kong. A meno che non si abbia un cannone o un vagone di dinamite, è impossibile ucciderlo. Credetemi, ci hanno provato in tanti."’
— Eppure, deve essere possibile — disse Chris.