I titanidi portarono a riva la Costanza e per cinque minuti saltellarono tra le onde sempre più alte, per portare a riva tutto l’equipaggiamento. La vela venne trascinata via dal vento quando provarono a staccarla. A parte quella, tutto il resto fu messo in salvo.
— Be’, con un po’ di fortuna ce l’abbiamo fatta — disse Cirocco, una volta giunti in un punto elevato dove si poteva montare l’accampamento perché c’era una fila di alberi che faceva da barriera al vento. — Cosa abbiamo perso, oltre alla vela?
— Si è aperta la mia sacca — disse Valiha. — L’acqua è entrata all’interno e ha fatto dei danni, e la tenda di Chris è finita in bocca ai pesci. — Aveva un’aria talmente triste, che Chris non poté fare a meno di ridere.
— Può venire nella mia — disse Robin. Gaby non si aspettava una simile proposta. Adocchiò Robin, che continuava a fissare la tazza di caffè bollente che stava bevendo. Sedeva accanto al fuoco che era stato acceso dai titanidi, aveva una coperta sulle spalle e sembrava un topo bagnato.
— Immagino che voialtri preferiate stare nelle tende, questa volta — disse Cirocco, guardando i titanidi.
— Se voialtri ci darete il permesso — disse Salterio. — Anche se credo che sarete una compagnia alquanto noiosa.
Gaby sbadigliò. — Penso che abbiate ragione. Cosa ne dite, piccolini? Ci infiliamo a letto e li annoiamo?
Gaby era diventata di fatto il capo della spedizione, perché Cirocco non aveva voluto diventarlo lei. Da quando aveva rinunciato al grado di capitano, Cirocco non aveva più cercato quel tipo di responsabilità, anche se si era sempre comportata nel migliore dei modi quando era stata costretta ad accettarle. Questa volta non era neppure disposta ad ascoltare; il capo era Gaby, e basta. Gaby accettò la situazione: non provava alcun fastidio neppure quando i titanidi guardavano involontariamente Cirocco quando Gaby dava loro le istruzioni. Non riuscivano a evitarlo. Cirocco era la Maga, ma erano disposti a fare tutto quello che diceva Gaby, purché fosse chiaro che Cirocco non aveva obiezioni.
E Cirocco migliorava progressivamente. Il risveglio era ancora il momento peggiore della giornata. Poiché passava più tempo dormendo di chiunque altro, doveva affrontare un maggior numero di risvegli. Al risveglio aveva sempre un aspetto funereo. Le tremavano le mani, e si guardava attorno con aria smarrita, come se cercasse aiuto e non lo trovasse. I suoi sonni non era molto meglio. Nella notte, Gaby la sentiva piangere.
Ma doveva essere lei stessa a risolvere il proprio problema. Gaby al momento si preoccupava soltanto di problemi di viaggio. Erano approdati sull’arco settentrionale della Lunga Baia. Quando Gaby attraversava Nox, si dirigeva sempre alla Baia del Serpente, il sottile istmo che conduceva a Ofione. Le due baie erano separate da una costola di roccia. Per via di terra, dal punto in cui si trovavano al fiume c’erano soltanto cinque chilometri, percorrendo invece la costa ce n’erano non meno di venticinque. Gaby non conosceva bene quella regione, non ricordava se la spiaggia si interrompeva in qualche punto. Le pareva che nella catena rocciosa a nord ci fosse un passo, ma non ne era del tutto certa. Inoltre c’era la tempesta. Seguendo la costa, avrebbero trovato un vento fortissimo. Passando per via di terra avrebbero invece incontrato fango e sentieri scivolosi, e l’oscurità della foresta.
Attese qualche ora, per vedere se la tempesta si decideva a diminuire di intensità, poi si consultò con Cirocco, che risultò saperne quanto lei, e infine ordinò di togliere le tende e disse a Salterio di prendere la via di terra.
Non seppe mai se fosse stata la scelta migliore, ma in complesso non fu una cattiva scelta. In alcuni punti dovettero fare attenzione a dove passavano, ma il percorso era meno accidentato del previsto. Discesi dalle montagne, si trovarono sulla costa meridionale della Baia del Serpente: una costa molto stretta, perché la baia aveva le pareti a picco come un fiordo norvegese; ma da quel punto in poi Gaby sapeva la strada. La Circum-Gea si univa a Ofione in quel punto, dopo avere attraversato la parte settentrionale di Rea ed essere discesa per i tortuosi passi dei Monti Nemesi occidentali.
Per qualche motivo, la costruzione di Gaby era in migliori condizioni, in quel tratto di una trentina di chilometri, che in qualsiasi altro punto di Gea. L’asfalto era fessurato e pieno di buche, in parte era stato portato via dalla pioggia, ma per tratti lunghi a volte anche un centinaio di metri si poteva camminare su una superficie non molto diversa da quella preparata dalle squadre di Gaby. In quella zona il terreno era particolarmente stabile e robusto. Gaby aveva dovuto usare gli esplosivi per aprirsi la strada, ma era convinta che le piogge l’avessero cancellata già da tempo.
Arrampicandosi sulla montagna, la strada passava accanto alle sette grandi pompe collocate sul ciglio della rupe. Gaby le aveva chiamate Dotto, Gongolo, Eolo, Brontolo, Pisolo, Cucciolo e Mammolo, e da tempo aveva smesso di chiedere scusa di quella libertà; ma non aveva potuto farne a meno, avendo esaurito la scorta di nomi greci. Di tutti quei nomi, Brontolo era il più appropriato, perché le pompe facevano un baccano infernale.
La tempesta era quasi finita quando giunsero in cima al sistema. Era il punto più alto di Ofione. Dal livello di Nox, che era il più alto dei dieci principali mari di Gea, i Sette Nani sollevavano l’acqua di altri 4000 metri. Il punto era chiamato Passo di Rea. Da lassù, guardando a ovest, si scorgevano le valli alpine dei Monti Nemesi: neri denti di pescecane visibili sullo sfondo verde e azzurro di Crio, di cui, dietro quelle montagne, si scorgevano i laghi settentrionali e le pianure meridionali, che salivano verso il cielo. Sul passo pioveva ancora a rovesci, ma più a est il cielo era sereno. Gaby decise che era meglio costruire le canoe e discendere il fiume fino a trovare un terreno asciutto, prima di montare le tende.
Ancora una volta, Gaby si divertì a osservare Chris. Il giovanotto era tutt’occhi nel vedere come i titanidi sceglievano gli opportuni alberi-canoa e come, con pochi colpi di scure, si procuravano centine e plance già pronte per il montaggio. Scuoteva la testa, meravigliato, nel vedere come s’incastrassero perfettamente tra loro a formare uno scheletro che richiedeva soltanto più la copertura di tessuto impermeabile, la stessa che era stata recuperata dalle canoe originali. In poco più di una rivoluzione erano pronti a partire.
Continuò a guardare Chris anche mentre i titanidi portavano sulle canoe l’equipaggiamento. Lei stessa era sorpresa della cosa, ma trovava irresistibile Chris sotto vari aspetti. La sua curiosità, l’attenzione con cui ascoltava lei e Cirocco quando gli spiegavano le meraviglie di Gea, erano come quelle di un bambino, e destavano in lei una punta di invidia. Anche lei era così, un tempo. In questo, Chris era diametralmente opposto a Robin, che di solito ascoltava quanto le bastava per capire che la cosa non la riguardava. Probabilmente, era stata la vita dura a far diventare Robin così, ma neanche Chris doveva avere avuto la vita facile. Lo si capiva dai suoi accessi di malinconia. Era un po’ timido, ma non fino al punto di confondersi con la tappezzeria. Quando era sicuro di essere ascoltato, diventava un grande chiacchierone.
Inoltre, e tanto valeva ammetterlo, si sentiva fisicamente attratta da lui. Cosa alquanto inconsueta, perché la sua ultima avventura con un uomo risaliva a vent’anni prima. Ma quando Chris sorrideva, si sentiva contenta anche lei. E quando sorrideva a lei, si sentiva al settimo cielo. Aveva la faccia leggermente storta, e questo lo rendeva più interessante; aveva braccia e spalle robuste, fianchi sottili. Il leggero strato di grasso attorno allo stomaco stava già scomparendo, e in qualche settimana sarebbe diventato ancora più snello e robusto: come piacevano a lei. Provava già un mezzo desiderio di passargli una mano tra i capelli e l’altra nella braghetta per controllare la situazione.