— Sottomarine.
Arrivati alla costa, i titanidi frugarono nelle sacche e ne trassero dei luccicanti cunei d’acciaio che erano la lama delle loro accette. Entrarono nella foresta con i coltelli, trovarono dei manici adatti, e presto cominciarono ad abbattere gli alberi a decine. Chris li osservò da una certa distanza, dopo essersi offerto di aiutare e dopo avere ricevuto, come sempre, un cortese rifiuto.
Quegli alberi erano molto strani. Tutti erano alti quindici metri, diritti, e avevano un diametro di cinquanta centimetri. Non avevano rami, e solo in cima avevano enormi foglie che parevano sottili come garza. A Chris parevano frecce piantate in un bersaglio.
— Ti sembrano strani, quegli alberi? — Mentre guardava, Gaby lo aveva raggiunto.
— Come si chiamano?
— Ecco… non saprei dirlo con esattezza. Li chiamano con vari nomi, ma non hanno un nome ufficiale. Io li chiamavo pali del telefono, ma questo mi faceva sembrare più vecchia della mia età. Nei boschi, la gente che costruisce capanne li chiama alberi-capanna. Vicino al mare sono alberi-zattera. La pianta è sempre la stessa, e forse sarebbe bene chiamarli alberi da travi.
Chris rise. — Tutti gli alberi sono alberi da travi quando sono tagliati e segati.
— Sì, ma questi alberi sono i migliori di tutti. È un esempio dell’abilità di Gea, quando è disposta a collaborare. A volte, rende le cose fin troppo facili. Osserva.
Si diresse verso la foglia di un albero che era stato abbattuto dai titanidi, prese il coltello e la tagliò. Chris vide che in cima l’albero era cavo. Gaby incise la corteccia, e questa si aprì da sola. Il taglio percorse l’intera lunghezza del tronco, e a questo punto la corteccia si staccò completamente, come se fosse stata una buccia di banana, e comparve l’«anima»: un lungo cilindro di legno giallastro che pareva fosse stato lavorato al tornio, tanto era preciso.
— Incredibile.
— E non è tutto. Valiha, me la presti per un attimo? — La titanide diede a Gaby la scure. Chris si inginocchiò a guardare il punto dove la corteccia aveva preso a staccarsi dal legno e vide che l’estremità del cilindro era perfettamente piana, e che su di essa era tracciata una serie di linee. Gaby colpì con la scure una delle linee, ma si udì soltanto un rumore sordo.
— I titanidi sono più bravi di me — mormorò Gaby. Liberò la lama e sferrò un secondo colpo. Con un secco crepitio, il tronco si suddivise in una decina di tavole levigate. Gaby posò il piede sulla catasta, si mise la scure sulla spalla e gonfiò il bicipite come se fosse un tagliaboschi in scala ridotta.
— Incredibile.
— Non è niente. Le meraviglie non sono ancora finite. La corteccia si suddivide in strisce robuste come l’acciaio. Le puoi usare per legare tra loro i tronchi, quando costruisci una zattera. Per un paio di rivoluzioni, dai punti colpiti con la scure continua a trasudare una colla epossidica. Soltanto un albero su venti si suddivide in tavole. Noi usiamo i tronchi normali per fare le zattere, e le tavole per costruire il ponte. In questo modo, non si rischia che l’intera imbarcazione si trasformi in un mucchio di tavole di legno a causa di un colpo sbagliato. Tra circa quattro o cinque rivoluzioni, la zattera sarà pronta. Fine della lezione.
— Ancora una cosa — disse Chris. — Hai parlato di lato di Gea disposto a collaborare. Questi alberi sono una specie nuova? Voglio dire…
— Nel senso in cui i titanidi sono una specie nuova? No, non credo. È più probabile che siano molto vecchi. Più vecchi di Gea. È una specie progettata dalla stessa razza che ha costruito gli antenati di Gea, miliardi di anni fa. A quanto pare, le piacevano le cose pronte per l’uso. Ecco perché, a un lato della scala, ci sono le piante che producono transistor e simili e, all’altro, certe cose fondamentali come questi alberi e i sorrisoni, che sono animali da cui puoi prendere la carne senza ucciderli. O chi li ha progettati pensava a periodi di decadenza della civiltà, o non gli piacevano le fabbriche rumorose.
Chris si recò a passeggiare sulla spiaggia, vagamente preoccupato. Sapeva di dover essere contento di poter viaggiare con Cirocco e Gaby, che gli insegnavano un mucchio di cose che gli sarebbero risultate utili se si fosse messo in viaggio da solo. Invece, riusciva soltanto a pensare alla propria inutilità nel quadro complessivo. Tutto pareva sotto controllo. Lui non era capace di cucinare, non sapeva costruire una zattera, viaggiare su una canoa. Non era neppure in grado di procedere a piedi senza farsi distanziare. In teoria, lui doveva essere alla ricerca dell’avventura, doveva trovare il modo di diventare un eroe. Invece si faceva portare a spasso. Non credeva di poter incontrare qualcosa che Gaby e i titanidi non fossero in grado di risolvere.
La sabbia della spiaggia era molto fine. Scintillava, anche nella penombra di Rea. E poiché camminare accanto agli alberi era faticoso, si diresse verso la battigia, dove l’acqua aveva consolidato la sabbia. Nox era molto placido, per una distesa d’acqua di quelle dimensioni. Si scorgevano soltanto onde basse, in lento movimento. Il loro rumore era più uno sciacquio che un ruggito. La schiuma gli giungeva ai piedi, poi era assorbita dalla sabbia.
Si era diretto verso la riva con l’intenzione di lavarsi. Dopo due giorni passati sulle rocce e in mezzo al fango, si sentiva sporco. Quando giunse in un punto dove poteva a malapena udire il rumore fatto dai titanidi intenti al lavoro, gli parve di essersi allontanato a sufficienza. Poi inciampò in un oggetto che risultava pressoché invisibile sullo sfondo della sabbia buia. Era un mucchietto di vestiti.
— Hai portato il sapone?
Guardò attentamente nella direzione da cui giungeva la voce e scorse un cerchio scuro in mezzo all’acqua. Robin, che fino a quel momento era rimasta seduta sulla sabbia del fondo, si alzò in piedi, e Chris vide che l’acqua le arrivava alla vita. Una serie di cerchi argentei, concentrici, prese ad allontanarsi da lei.
— Per pura combinazione, sì — disse Chris, prelevando dalla tasca la sfera morbida. — La Ma… Cirocco diceva che l’acqua era fredda.
— Sì, ma sopportabile. Me lo porti, per piacere? — Tornò a sedere, e di lei si vide solo la testa.
Chris si tolse i vestiti ed entrò lentamente nell’acqua. Era fredda, ma non eccessivamente. Il fondale era abbastanza basso. Non c’erano creature scivolose che andassero a finire sotto i piedi, e neppure conchiglie. C’era solo sabbia levigata e uniforme, che sarebbe stata ideale per riempire un clessidra.
Percorse a nuoto gli ultimi metri, poi si alzò in piedi accanto alla ragazza e le passò il sapone. Lei cominciò a insaponarsi le spalle.
— Non perderlo — la avvertì lui. — Con questo buio, non riusciremmo più a trovarlo.
— Farò attenzione. Dove hai imparato?
— Che cosa? Ah, a nuotare? Ho imparato da piccolo, non so dove. Tutti coloro che conosco sono capaci di nuotare. Tu non lo sei?
— Non ho mai conosciuto nessuno che sapesse farlo. Mi insegni?
— Certo, se c’è tempo.
— Grazie, mi puoi insaponare la schiena? — Gli diede il sapone.
Chris rimase leggermente sorpreso dalla richiesta, ma fece come lei gli chiedeva. Usò le mani forse un po’ più del necessario, e, visto che lei non diceva niente, le massaggiò anche le spalle. Sotto la pelle fredda, sentì muscoli duri. Lei gli ricambiò il favore, e per arrivargli alle spalle dovette alzarsi in punta di piedi. Chris capì che quella ragazza continuava a essere un mistero, e questo gli dispiacque. Con qualsiasi altra donna non avrebbe avuto dubbi. L’avrebbe baciata e avrebbe lasciato a lei la decisione se proseguire. E avrebbe accettato la sua decisione, positiva o negativa che fosse. Ma con Robin non osava neppure farle la proposta.
Ma perché? si disse poi. Occorreva fare tutto come voleva lei? Al suo paese, era perfettamente lecito fare delle avance, se si era disposti ad accettare un eventuale rifiuto. Non aveva idea di come si regolassero alla Congrega: sapeva soltanto che quella situazione non poteva sorgere tra un uomo e una donna. Forse anche Robin aveva le stesse perplessità di comportamento.