«Be', mettiamo che questo universo, quello in ci troviamo in questo momento, sia quello originale, che quindi sia stato l'Homo sapiens a sviluppare la consapevolezza; allora tutte le altre miriadi di universi abitati da Homo sapiens dotati di consapevolezza sono figli o nipoti o pronipoti del nostro.»
«È un'ipotesi un po' troppo ardita» opinò Mary.
«Lo sarebbe se non avessimo prove. Ma abbiamo la dimostrazione che il nostro universo è speciale: il fatto che Ponter sia finito proprio qui, anziché in altri mondi. Quando il suo computer quantistico ha processato tutte le altre versioni di se stesso esistenti in altri universi, cosa ha fatto? Be', ha individuato tutti gli universi diversi dal suo, e ha selezionato proprio quello che in origine si era separato dagli altri, quello cioè che quarantamila anni prima aveva intrapreso una strada diversa, con un tipo di umanità diversa. Ma non appena raggiunto un universo dove non esisteva un computer quantistico, esattamente nello stesso posto dove era stato tentato l'esperimento, il processo di fattorizzazione è fallito, e il contatto tra i due mondi si è interrotto. Ma se la gente di Ponter ripetesse esattamente l'esperimento che lo ha proiettato qui, penso che ci sarebbe una reale possibilità di ricreare il passaggio tra i due universi.»
«In queste sue ipotesi ci sono troppi se» rifletté Mary. «E comunque, se potessero davvero ripetere l'esperimento, perché non l'hanno già fatto?»
«Non lo so» si arrese Louise. «Ma se ho ragione, il varco verso il mondo di Ponter potrebbe aprirsi di nuovo.»
Mary sentì una fitta allo stomaco — non erano certo le patatine che aveva mangiato -, disorientata dal marasma di sensazioni che quell'ipotesi le scatenava.
43
Adikor Huld osservò con attenzione il robot minerario che Dern gli aveva procurato. Era un aggeggio dall'aria triste: un semplice assemblaggio di ruote dentate, pulegge e pinze automatiche, vagamente somigliante a un pino tozzo e spoglio. Sul metallo, qua e là, si vedevano chiaramente tracce di bruciato. In effetti, circa quattro mesi prima nella miniera era scoppiato un incendio. Alcuni dei componenti si erano fusi, altre parti erano rimaste danneggiate, e nell'insieme la macchina appariva annerita e fuligginosa. Dern gli aveva detto che quell'unità doveva essere demolita, quindi nessuno avrebbe indagato se fosse scomparsa.
Non fu semplice capirne il funzionamento. I robot dotati di intelligenze artificiali erano molto costosi. Quell'esemplare era azionato da un telecomando, ma i segnali radio avrebbero potuto interferire con i registri quantistici, annullando il tentativo di Adikor di riprodurre l'esperimento che aveva causato la scomparsa di Ponter. Per questo Dern aveva deciso di legare un cavo di fibra ottica al dorso del robot e collegarlo a una piccola scatola di comando, sistemata su una consolle nella sala di controllo del laboratorio. Posizionarono il robot sulla sommità del registro 69, in modo da evitarne le vibrazioni, come già aveva fatto Ponter, usando due joystick per manovrarne le mani.
«Tutto a posto?» si sincerò Adikor.
Dern annuì.
Entrambi guardarono Jasmel, che assisteva all'esperimento. «Pronti?»
«Pronti.»
«Dieci» cominciò il conto alla rovescia Adikor, in piedi accanto alla sua unità di controllo. Gridava forte i numeri, come aveva fatto la prima volta, anche se nella sala dei registri non c'era nessuno che potesse sentirlo.
«Nove.» Sperava disperatamente che l'esperimento riuscisse: per Ponter, ma anche per lui.
«Otto. Sette. Sei.»
Lanciò un'occhiata a Dern.
«Cinque. Quattro. Tre.»
Fece un sorriso di incoraggiamento a Jasmel.
«Due. Uno. Zero.»
«Ehi!» urlò Dern.
La scatola di comando cadde dalla consolle, sbatté sul pavimento e prese a scivolare, come se qualcuno avesse improvvisamente tirato con forza il cavo di fibra ottica a cui era legata.
Adikor sentì una forte ventata irrompere nella sala, ma non così violenta da fargli avvertire il contraccolpo nelle orecchie, non essendosi verificata una significativa variazione di pressione. Era come se ci fosse stato un semplice ricambio d'aria…
«Non ci posso credere» disse Jasmel, ma il vento coprì le sue parole.
Dern si fiondò per bloccare la scatola di controllo, fermando il cavo con un piede, mentre Adikor si precipitava verso l'apertura che affacciava sul piano sotterraneo dove si trovavano i registri, per controllare cosa fosse successo.
Il robot era scomparso, ma…
…ma il cavo a cui era fissato era completamente teso lungo il pavimento, dalla porta della sala di controllo a…
Scompariva accanto alla colonnina del registro 69, come nel buco di un muro invisibile, nell'aria fine.
I tre si guardarono, smarriti. Si precipitarono verso il monitor, che avrebbe dovuto mostrare quello che stava riprendendo la telecamera del robot. Ma lo schermo era vuoto, un quadrato nero.
Jasmel fu la prima a parlare: «Il robot si è disintegrato. Proprio come mio padre.»
«Chissà» disse Dern. «Potrebbe darsi che i segnali video non riescano ad attraversare quel… qualunque cosa sia quel buco lì.»
«Potrebbe anche essere che sia finito in un posto completamente buio» ipotizzò Adikor.
«Che… che dobbiamo fare?» chiese la ragazza.
Dern scrollò lievemente le spalle tondeggianti.
«Proviamo a tirare il cavo» propose Adikor. «Vediamo se torna qualcosa da… quel posto lì.» Scese nella sala dei registri, raccolse delicatamente il cavo, che a pochi passi da lui scompariva nel nulla, e cominciò a tirare piano, con tutte e due le mani.
Subito dopo sopraggiunse Jasmel, che lo aiutò a tirare.
Il cavo veniva su senza resistenza, ma tirando Adikor aveva l'impressione che alla sua estremità, da qualche parte al di là del buco, fosse attaccato un peso, come se il robot oscillasse sull'orlo di un precipizio.
«Quanto sono resistenti i connettori del cavo?» chiese lanciando un'occhiata fugace a Dern, che nel frattempo lo aveva raggiunto.
«Sono degli spinotti bedonk standard.»
«Cederanno?»
«Solo se tiri con forza. I connettori sono fissati a dei piccoli ganci di metallo.»
Adikor e Jasmel continuarono a tirare su facendo attenzione a non dare strattoni.
«E i ganci li hai chiusi?»
«Non… non ne sono sicuro» balbettò Dern. «Credo di sì.»
Avevano già recuperato almeno tre metri di cavo, quando…
«Guarda!» esclamò Jasmel.
La tozza sagoma del robot affiorava da… be', non sapevano da cosa, ma adesso era visibile la base, come se in qualche modo stesse passando attraverso un buco a mezz'aria che la sezionava trasversalmente in due parti.
Dern attraversò di corsa la sala, i risvolti dei pantaloni fruscianti sul pavimento levigato. Si protese ad afferrare uno dei bracci affusolati del robot che fuoriusciva dal varco oscuro. Fece appena in tempo, perché il connettore del cavo cedette, facendo cadere all'indietro Adikor e Jasmel. Si rimisero subito in piedi, mentre Dern recuperava il robot da… dall'altra parte.
Si precipitarono verso Dern, seduto sul pavimento con il robot rovesciato accanto. A una prima occhiata non sembrava più danneggiato di prima; ma Dern si guardava allibito la mano sinistra.
«Tutto bene?» gli chiese Adikor.
«La mano…»
«Che c'è? Una frattura?»
Dern alzò lo sguardo. «No, sta bene. Sta bene, ma… quando ho afferrato il robot… quando il cavo ha ceduto e il robot è caduto all'indietro la mia mano è finita dall'altra parte. L'ho vista scomparire attraverso… non so che cosa.»
Jasmel gli prese la mano e la studiò con attenzione. «Sembra che non ci sia niente di strano. Ti fa male?»
«Non sento niente. Ma è stato come se me l'avessero tagliata, proprio sotto le dita, la cesura era incredibilmente dritta e liscia, ma non sanguinava, e anche se era tagliata in due continuavo a muovere le dita mentre la tiravo su.»