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«Se sono medicinali reperibili in farmacia o all'ospedale St. Joseph, glieli porteremo stasera stessa.»

«Abbiamo anche bisogno di cibo» aggiunse Reuben.

«Vi faremo avere ciò che volete. Nella e-mail indichi anche i generi alimentari, i capi di vestiario, gli articoli da toletta e tutto quello di cui avete bisogno.»

«Magnifico» disse Reuben. «Raccoglierò dei campioni di sangue di tutti noi.»

«Bene» concluse Matthews.

Rimasero d'accordo che si sarebbero sentiti in caso di novità, e Reuben riattaccò. Mary lo sentì scendere le scale.

«Allora?» chiese Louise guardando alternativamente i due, rivelando così che Mary aveva ascoltato la conversazione.

Reuben sintetizzò la telefonata, quindi soggiunse: «Sono desolato per questi inconvenienti. Davvero.»

«E gli altri?» chiese Mary. «Tutti gli altri che sono entrati in contatto con Ponter.»

Reuben annuì. «Li elencherò all'ispettore Matthews. Probabilmente li metteranno in quarantena all'ospedale St. Joseph.» Andò in cucina e tornò con un block notes e una matita, che probabilmente adoperava per segnare l'elenco della spesa. «Bene, chi altro a parte noi è entrato in contatto con Ponter?»

«Uno studente che lavora con me» si ricordò Louise. «Paul Kiriyama.»

«La dottoressa Mah, naturalmente,» disse Mary «e… mio Dio, a quest'ora deve essere già in viaggio per Ottawa. Bisogna fermarla prima che incontri il Primo Ministro!»

«E c'erano anche altre persone lì al St. Joseph» disse Reuben. «Gli infermieri dell'ambulanza, il dottor Singh, un radiologo, un infermiere…»

Andarono avanti per un po' a buttare giù l'elenco.

Ponter giaceva ancora steso sul tappeto color champagne, apparentemente svenuto. Mary osservava il petto enorme seguire il ritmo del respiro. Aveva la fronte ancora madida di sudore, e si percepiva il movimento degli occhi sotto le palpebre, come animali sotterranei nascosti in fondo una tana.

«Bene,» disse infine Reuben guardando alternativamente i suoi ospiti «dovremmo aver messo tutti. Devo buttare giù anche l'elenco dei farmaci da somministrare a Ponter. Se siamo fortunati…»

Mary guardò Ponter, annuendo. Se siamo fortunati, pensò, ce la caveremo.

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QUARTO GIORNO
LUNEDÌ 5 AGOSTO
148/118/27
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Parola(e) chiave: Neandertal

Ponter Boddit ha acquisito il diritto di ottenere il visto di ingresso in Canada? La domanda continua a preoccupare gli esperti di immigrazione nazionali ed esteri. Questa sera è nostro ospite il professor Simon Cohen, ordinario di diritto amministrativo all'università McGill di Montreal…

I dieci motivi più importanti per cui affermiamo che Ponter Boddit è un Neandertal autentico…

10: La prima volta che ha incontrato una donna l'ha colpita con una clava trascinandola per i capelli.

9: In condizioni di scarsa visibilità lo si può scambiare per Leonid Brezhnev.

8: Quando Arnold Schwarzenegger lo è andato a trovare, Boddit gli ha detto: 'Chi è quello pelle e ossa tra noi due?'

7: Guarda soltanto le volpi.

6: I cartelli di McDonald's adesso recano la seguente scritta: 'Serviamo miliardi di Homo sapiens… e un Neandertal.'

5: Ha detto che Tom Arnold è 'un fusto.'

4: Quando gli hanno mostrato dei campioni di roccia antica, ha cominciato a scheggiarla fino ad ottenere una perfetta punta di lancia.

3: Porta orologi fossili e beve autenticissima Old Milwaukee.

2: Riscuote diritti d'autore marchiati a fuoco.

1: E la prima ragione per cui affermiamo che Ponter Boddit è un Neandertal? Ha le natiche pelose: tutte e quattro.

La rivista Quill Quire, che si occupa di editoria, riferisce che John Pierce, responsabile per l'acquisizione dei diritti editoriali per la Random House canadese, ha fatto a Ponter Boddit la più grande offerta mai registrata nella storia editoriale del nostro Paese, per l'esclusiva mondiale di una biografia autorizzata…

Circola la voce che il Pentagono è interessato a incontrare Ponter Boddit. Le implicazioni militari del modo in cui sarebbe giunto sulla Terra hanno attirato le attenzioni di più di un generale a cinque stelle…

E adesso, pensò Adikor Huld prendendo posto sulla panca nella Camera di consiglio, vediamo se ho commesso il più grande errore della mia vita.

«Chi rappresenta la difesa dell'imputato?» chiese il giudice Sard.

Nessuno si mosse. Il cuore di Adikor sobbalzò. Jasmel Ket aveva deciso di abbandonarlo? E, d'altra parte, come biasimarla? Solo il giorno prima aveva visto con i suoi occhi che una volta — anche se tanto tempo prima — Adikor aveva quasi cercato di uccidere suo padre.

Nell'aula regnava il silenzio, anche se uno spettatore, probabilmente facendo la stessa supposizione che Bolbay aveva formulato il giorno precedente, si lasciò sfuggire un breve riso di scherno: nessuno avrebbe difeso Adikor Huld.

Ma infine, Jasmel si alzò in piedi. «Io» dichiarò. «Sarò io a difendere Adikor Huld.»

La sala fu tutto un vociare.

Daklar Bolbay, seduta in disparte, scattò in piedi. «Signor giudice, è impossibile. La ragazza è uno degli accusatori.»

Il giudice Sard piegò la testa raggrinzita in avanti, cercando Jasmel: «È vero?»

«No» rispose. «Daklar Bolbay era la compagna di mia madre, e alla sua morte è stata nominata mia tabant. Ormai ho già compiuto duecentocinquanta lune, per cui chiedo di poter esercitare i diritti della maggiore età.»

«Sei della generazione 147?» le chiese Sard.

«Sì, Vostro Onore.»

Il giudice si girò verso Bolbay, ancora in piedi. «I nati della generazione 147 hanno acquistato la capacità di agire due mesi fa. A meno che lei non intenda affermare che la sua tutelata non abbia la capacità di intendere e di volere, la sua tutela è automaticamente cessata con la maggiore età. È forse incapace di intendere e di volere?»

Bolbay ribolliva d'ira. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi ci ripensò. Abbassò lo sguardo e si limitò a rispondere: «No, signor giudice.»

«Molto bene. Allora, si sieda, Daklar Bolbay.»

«La ringrazio, Vostro Onore» disse Jasmel. «Allora, se posso…»

«Ancora un momento, membro della generazione 147» la interruppe Sard. «Sarebbe stato più educato informare a tempo debito il tuo tabant che intendevi opporti alla sua accusa.»

Adikor capì perché Jasmel non lo aveva fatto. Se le avesse manifestato prima le sue intenzioni, Bolbay avrebbe fatto di tutto per dissuaderla. Ma la ragazza aveva lo stesso savoir-faire del padre. «Vostro Onore, la ringrazio per avermi fatto questa osservazione; farò tesoro del suo consiglio.»

Sard annuì soddisfatta e le fece cenno di procedere.

Jasmel si mise al centro dell'aula. «Giudice Sard, lei ha ascoltato un mucchio di insinuazioni fatte da Daklar Bolbay. Insinuazioni e attacchi basati su quello che sarebbe il carattere di Adikor Huld, e tutto questo senza conoscerlo personalmente. Adikor era il compagno di mio padre; anche se l'ho frequentato solo per brevi periodi, quando Due diventano Uno — qui in questa sala ci sono suo figlio, il giovane Dab, e accanto la sua donna, Lurt — ho avuto modo di incontrarlo spesso, molto più di quanto non abbia fatto Daklar.»

Si avvicinò all'accusato e gli pose una mano sulla spalla. «Io, la figlia dell'uomo che costui è accusato di aver ucciso, sono qui per dirvi che non credo alle accuse.» Si fermò un attimo, diede uno sguardo fugace ad Adikor, quindi incrociò lo sguardo di Sard, seduta nella parte opposta della sala.

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