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«Scienziato Huld,» lo apostrofò il giudice Sard «qui abbiamo delle tradizioni da rispettare, e io mi aspetto che anche lei lo faccia. Non sopporto le perdite di tempo, quindi per oggi non la rimando a casa a cambiarsi, ma domani si vestirà in blu.»

«Naturalmente, signor giudice» rispose Adikor. «Mi perdoni.»

Sard annuì. «Si apre il dibattimento del processo intentato contro Adikor Huld di Saldak, accusato dell'omicidio di Ponter Boddit, anch'egli di Saldak. La giuria del tribunale è composta da Farba Dond» il vecchio annuì «da Kab Jodler e da me, Komel Sard. L'accusa è sostenuta da Daklar Bolbay, per conto della minore Megameg Bek, figlia della sua ultima compagna.» Osservò l'aula ricolma di gente, e un sorriso compiaciuto le si dipinse sul volto. Era consapevole che si stava dibattendo un caso del quale si sarebbe parlato a lungo. «Cominciamo con le dichiarazioni dell'accusa. Prego, Daklar Bolbay.»

«Con tutto il rispetto, signor giudice» interloquì Adikor alzandosi in piedi «mi stavo chiedendo se può parlare prima la difesa.»

«Scienziato Huld» ribatté Dond aspramente «il giudice Sard le ha già fatto notare la sua inottemperanza alle regole. Per convenzione si comincia sempre con l'accusa, e…»

«Oh, me ne rendo conto» lo interruppe Adikor. «Ma veda, al giudice Sard non piace perdere tempo, per questo vorrei che si cominciasse dalla difesa.»

Bolbay si alzò, fiutando l'occasione favorevole. In effetti, se avesse parlato dopo, avrebbe avuto un vantaggio. «Signor giudice, non mi oppongo alla richiesta.»

«Grazie» disse Adikor inchinandosi cerimoniosamente. «E adesso, se…»

«Scienziato Huld!» scattò Sard. «L'accusato non ha facoltà di decidere il protocollo. Procederemo secondo le regole, cominciando dall'accusa, e…»

«Pensavo solo che…»

«Silenzio!» esclamò Sard, rossa in viso. «Lei non può parlare.» Poi, rivolta a Jasmel: «Jasmel Ket, lei è l'unica ad avere la facoltà di parlare in difesa dell'imputato; faccia in modo che non si verifichino altre interruzioni.»

Jasmel si alzò in piedi. «Con tutto il rispetto, Vostro Onore, non sarò io a difendere Adikor. Lei stessa gli ha suggerito di trovarsi qualcuno più adatto di me.»

Sard annuì bruscamente. «Vedo con piacere che l'imputato riesce a stare un po' senza interrompere. Bene,» disse scrutando la folla «chi parlerà in difesa di Adikor Huld?»

Ponter Boddit, che aspettava nell'anticamera, fece il suo ingresso. «Io» disse.

Un brusio percorse la folla.

«Molto bene» disse Sard abbassando il capo e accingendosi a prendere nota. «Qual è il suo nome?»

«Boddit.» La testa di Sard scattò. «Ponter Boddit.»

L'uomo attraversò la sala a passi lenti. A quel punto Jasmel, che aveva trattenuto Megameg, lasciò libera la sorella, che corse incontro al padre. Ponter la prese tra le braccia.

«Silenzio!» urlò Sard. «Silenzio o faccio sgombrare l'aula!»

Ponter aveva un sorriso a trentadue denti. Temeva che le autorità avrebbero potuto decidere di non rendere di pubblico dominio l'esistenza dell'altra Terra. In effetti, anche nel mondo parallelo Singh e Montego avevano faticato molto perché non venisse portato via dalle autorità dei Gliksin, correndo il rischio di scomparire per sempre. Ma in quel momento, grazie agli Esibizionisti, migliaia di persone stavano seguendo il processo da casa per mezzo dei Voyeur, e i Companion di tutti i presenti stavano registrando la scena. Tutto il mondo — quel mondo — avrebbe presto saputo la verità.

Bolbay scattò in piedi. «Ponter!»

«Cara Daklar, lo slancio con cui volevi vendicarmi è lodevole, ma, come puoi vedere, sei stata troppo frettolosa.»

«Dove sei stato?» gli chiese. Sembrava più arrabbiata che contenta.

«Dove sono stato?» ripeté Ponter, guardando a testa alta gli Esibizionisti vestiti d'argento. «Sono lusingato dal fatto che un caso trascurabile come il presunto omicidio di un fisico qualunque abbia attirato qui tanti Esibizionisti. Con la loro presenza, e con centinaia di Companion che stanno registrando la scena, sarò felice di spiegare cosa è successo.» Esaminò i volti dei presenti per misurare l'effetto delle sue parole: facce larghe, piatte, dai nasi proporzionati, non stretti come quelli dei Gliksin; pelose quelle dei maschi, con fronti prominenti e mascelle dritte; facce piacevoli, bellissime, le facce dei suoi amici, della sua gente, della sua specie. «Ma prima vorrei dire che non esiste posto più bello del proprio mondo!»

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Adikor e Ponter giunsero a casa di Dern, l'ingegnere specializzato in robotica, che spense il Voyeur e li fece accomodare. Ponter scoprì che era un fan di Lulasm.

«Signori, sono felice di vedervi. Avete seguito il servizio di Lulasm dal Consiglio?» chiese indicando lo schermo nero.

I due amici scossero la testa.

«La tua amica Sard si è dimessa dall'incarico. Sembra che i colleghi abbiano reputato il suo comportamento non esattamente imparziale, visto l'epilogo del processo.»

«Non esattamente imparziale?» ripeté Adikor stupito. «Be', questo è un eufemismo.»

«Ad ogni modo,» prosegui Dern «i Grigi hanno deciso che avrebbe potuto dare un contributo maggiore insegnando in un corso avanzato di mediazione alla generazione 146.»

«Probabilmente nessuno darà la notizia, ma anche Daklar Bolbay viene aiutata con una terapia per il controllo del dolore, della rabbia e cose del genere» disse Ponter.

Adikor sorrise. «Le ho fatto conoscere il mio vecchio scultore della personalità, che l'ha messa in contatto con le persone giuste.»

«Bene» disse Dern. «Chiederai le pubbliche scuse?»

Adikor scosse il capo. «Ho di nuovo il mio Ponter, e questo mi basta» rispose semplicemente.

Dern sorrise e mandò uno dei suoi robot a prendere qualcosa da bere. «Vi ringrazio per la visita» disse sdraiandosi su un grosso divano, i piedi incrociati e le mani intrecciate dietro la testa, il ventre obeso che seguiva il movimento del respiro.

Ponter e Adikor si misero a cavalcioni delle sedie a forma di sella. «Hai detto che avevi qualcosa di importante da comunicarci» lo sollecitò Ponter cortesemente.

«Infatti» disse Dern spostando pigramente la testa per poterli vedere entrambi. «Stavo pensando che dovremmo trovare un modo di mantenere sempre aperto il varco tra le due versioni della Terra.»

«Mi è sembrato che sia rimasto aperto finché c'è stato un oggetto fisico in comune tra i due mondi» disse Ponter.

«Be', s', almeno per poco» confermò Adikor. «Ma non sappiamo se sia possibile mantenerlo permanentemente aperto.»

«Se fosse possibile» disse Ponter «ci sarebbero opportunità sbalorditive. Pensate un po': turismo, scambi commerciali, culturali, scientifici.»

«Già» disse Dern. «Dài un po' un'occhiata.» Si alzò a prendere un oggetto sul tavolino di legno levigato. Era un tubetto cavo, fatto di una maglia di filo metallico leggermente più lunga del suo dito medio e dello spessore del pollice, «È un tubetto di Derkers» spiegò. Infilò due dita in una estremità per allargarla: la membrana elastica cedette stendendosi sempre più, fino a raggiungere le dimensioni di tutta la mano, quindi Dern passò l'oggetto a Ponter. «Prova un po' a romperlo.»

Ponter lo prese tra le mani e cominciò a stringere, prima piano, poi sempre più forte, ma il tubetto non cedette.

«Questo è solo un piccolo esemplare» disse Dern «ma nella miniera ne abbiamo alcuni che raggiungono un diametro di tre braccia. Sono impiegati per rinforzare le gallerie contro il pericolo di frane. Sai, non possiamo permetterci di perdere i robot.»

«E funziona?» chiese Ponter.

«La maglia è composta da una serie di sezioni metalliche snodabili dentellate alle estremità. Quando le forzi per allargarle, l'unico modo di spezzarle è quello di aprire con una pinzetta uno per uno i dentini incastrati tra loro.»

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