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Ora che la folla aveva capito come la pensava il giudice, non si trattenne più: una risata generale si propagò per tutta la sala.

Adikor sentì il cuore martellare come impazzito e i pugni serrarsi, malgrado sapesse bene che quella era l'ultima cosa da fare. Non poteva frenare la tachicardia, ma si sforzò di distendere le mani. «Signor giudice,» disse cercando di usare un tono il più rispettoso possibile «l'esistenza di universi paralleli è alla base delle teorie contemporanee di fisica quantistica, e…»

«Silenzio!» tuonò Sard, tanto che parecchi rimasero a bocca aperta. «Scienziato Huld, durante tutta la mia carriera di giudice non ho mai sentito un alibi più inconsistente. Ritiene forse che tutti quelli che non hanno frequentato la vostra tanto decantata Accademia scientifica siano così ignoranti da poter essere raggirati da simili fandonie?»

«Vostro Onore, io…»

«Stia zitto!» gli intimò Sard. «Stia zitto e si metta a sedere.»

Adikor respirò a fondo e trattenne il fiato, così come gli avevano insegnato duecentocinquanta mesi prima durante il trattamento subito per aver colpito Ponter. Poi espirò lentamente, immaginando di buttare fuori anche l'ira che gli ribolliva dentro.

«Le ho detto di sedersi!» scattò Sard.

Adikor obbedì.

«Jasmel Ket!» chiamò il giudice spostando il suo sguardo fiammeggiante sulla figlia di Ponter.

«Sì, signor giudice?» rispose la ragazza, la voce tremula.

Anche il giudice tirò un profondo respiro, ricomponendosi. «Ragazza,» disse con voce ferma «so che recentemente tua madre è morta di leucemia. Posso solo immaginare quanto sia stato doloroso per te e per la piccola Megameg.» Sorrise alla sorella di Jasmel, e sulla fronte nuove rughe si aggiunsero alle vecchie. «Adesso sembra che anche tuo padre sia morto… anche lui prematuramente, una morte inaspettata, in giovane età. Comprendo la tua riluttanza ad accettare la sua scomparsa e dare credito ad una spiegazione così stravagante…»

«Non è così, vostro onore…» disse Jasmel.

«Ah, no? Non sei così disperata da aggrapparti a qualsiasi cosa, a una qualunque speranza che tuo padre sia ancora vivo?»

«Io… non lo so.»

Sard annuì. «Ci vorrà del tempo per accettare quello che è accaduto a tuo padre. Io ne so qualcosa.» Si guardò intorno, poi il suo sguardo si posò su Adikor. «Va bene» disse. Quindi si fermò come se stesse meditando, infine comunicò le sue decisioni: «Dunque, la mia decisione è la seguente: ritengo che il processo si sia svolto in modo legittimo, che il dibattimento sia stato esauriente, con l'esame circostanziato degli elementi del reato di cui è accusato l'imputato, per cui dispongo che il caso sia rimesso al tribunale in forma collegiale, composto da tre giudici, nel presupposto che tutti vogliano andare a fondo della questione.» Quindi si rivolse a Bolbay: «Vuole sostenere l'accusa davanti al tribunale, in qualità di tutore della minore Megameg Bek?»

«Sì.»

Adikor sentì un tuffo al cuore.

«Molto bene» concluse Sard. Consultò il calendario e fissò l'udienza: «La corte si riunirà in questa stessa aula tra cinque giorni, il 148/119/03. Sino ad allora lo scienziato Huld sarà sottoposto a sorveglianza speciale. Ci siamo intesi?»

«Sì, signor giudice. Ma se solo potessi scendere nel…»

«Nessun ma» scattò il giudice. «E ancora una cosa, scienziato Huld. Sarò io a presiedere la corte, e ragguaglierò della questione gli altri due giudici. Ammetto che il fatto che sia stata la figlia di Ponter a prendere le sue difese ha prodotto un certo impatto emotivo, ma la prossima volta non andrà così. Le suggerisco decisamente di trovarsi qualcuno più idoneo a difenderla.»

29

Nel primo pomeriggio arrivarono buone notizie. Reuben aveva contattato per telefono e per posta elettronica diversi esperti del Centro per la prevenzione e la cura delle malattie infettive di Atlanta e dei laboratori specializzati di Winnipeg. «Avete notato che Ponter non gradisce i prodotti caseari e a base di grano?» disse disteso sul divano del soggiorno mentre sorseggiava l'aromatico caffè etiope di cui, come Mary aveva scoperto, era tanto ghiotto.

«Sì» rispose Mary, che dopo la doccia si era ripresa, anche se la infastidiva indossare gli stessi abiti del giorno precedente. «Preferisce carne e frutta, ma non mangia i prodotti coltivati, il pane e il latte.»

«Esatto» disse Reuben. «E gli esperti con cui ho parlato hanno detto che questo è un bene per noi.»

«E perché?» domandò Mary che proprio non sopportava quel caffè. Aveva chiesto che le portassero un po' di Maxwell House, latte al cioccolato e qualche capo di vestiario, e per il momento si era accontentata di una coca cola.

«Perché la sua alimentazione indica che non proviene da una società agricola. D'altra parte, questa ipotesi è confermata dalle informazioni che mi ha dato Hak. Sembra che la popolazione di quella versione della Terra sia di molto inferiore alla nostra, quindi non hanno la necessità di coltivare la terra né di allevare animali.»

«Ho sempre pensato che tutte le civiltà si fondassero su questi mezzi di sussistenza, indipendentemente dalla grandezza della popolazione» disse Mary.

Reuben annuì. «Non vedo l'ora che Ponter possa darci delle risposte. Comunque, mi hanno detto che la maggior parte delle malattie pericolose per gli esseri umani hanno avuto origine negli animali domestici, e che solo in un secondo momento sono state trasmesse all'uomo. Morbillo, tubercolosi e vaiolo provengono dai bovini; l'influenza dai maiali e dalle anatre, la tosse convulsa dai maiali e dai cani.»

Mary aggrottò la fronte. Dalla finestra vide avvicinarsi un elicottero: altri giornalisti in arrivo. «In effetti è così, a pensarci.»

«E» continuò Reuben «le malattie epidemiche si sviluppano solo nelle aree ad alta densità di popolazione, dove le vittime potenziali sono in numero maggiore. Sembra che in aree a bassa densità i germi di tali malattie abbiano scarse potenzialità evolutive: una volta ucciso l'organismo ospitante, non hanno più dove attecchire.»

«Sì, anche questo è vero.»

«Probabilmente è troppo semplicistico affermare che la società di Ponter non sia agricola ma composta da cacciatori e di raccoglitori» disse Reuben. «Eppure, a giudicare dalle descrizioni di Hak, sembra questo il modello che più gli si avvicina. Tale tipo di società è caratterizzata da una minore densità di popolazione e da un'altrettanto bassa incidenza di malattie.»

Mary annuì, e Reuben proseguì: «Mi hanno spiegato che il principio è lo stesso che ha caratterizzato l'incontro tra gli esploratori europei e gli indigeni delle Americhe. Gli europei provenivano tutti da società agricole densamente popolate, ed erano portatori di germi contagiosi. Gli indigeni vivevano in gruppi, in zone scarsamente popolate, e praticavano poco l'allevamento del bestiame; non erano portatori di germi, perlomeno di quelli che si trasmettono dagli animali all'uomo. Questo spiega la devastazione unilaterale di quell'incontro.»

«Ho sempre pensato che la sifilide fosse stata portata in Europa dal Nuovo mondo» disse Mary.

«Be', sì, c'è qualche indizio in tal senso» confermò Reuben. «Ma anche se la sifilide ha forse avuto origine nell'America settentrionale, qui da noi non si è trasmessa sessualmente. Solo quando giunse in Europa sviluppò quel mezzo di trasmissione, efficace a tal punto da divenire una delle maggiori cause di morte. In effetti, la forma endemica e non venerea di sifilide è tuttora esistente, anche se confinata tra le tribù beduine.»

«Davvero?»

«Già. Quindi la sifilide, piuttosto che rappresentare un'eccezione rispetto al corso generalmente unilaterale delle malattie epidemiche, conferma che lo sviluppo delle malattie contagiose richiede determinate condizioni sociali che sono caratteristiche delle civiltà sovrappopolate.»

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