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«E perché?»

«Per i motivi che ti spingono a farmi quello che stai cercando di fare.»

Bolbay guardò Jasmel: «È stata una tua idea, vero?»

«Sì, come mia è stata l'idea di venire qui prima che Adikor proceda davanti al giudice. Questo è un affare di famiglia: tu sei stata la compagna di mia madre, e Adikor è il compagno di mio padre. Anche tu hai sofferto, come tutti noi, per la perdita di mia madre.»

«Questo non ha nulla a che fare con Klast!» scattò Bolbay. «Niente. Questa è una cosa che riguarda lui» disse lanciando un'occhiataccia ad Adikor.

«Perché? Perché riguarda me?»

Bolbay scosse nuovamente il capo. «Noi non abbiamo niente da dirci.»

«Al contrario. Se non risponderai alle mie domande qui, lo farai davanti a un giudice. Sarai costretta a farlo.»

«Stai bluffando.»

Adikor alzò la mano sinistra, il polso rivolto verso di lei. «Sei Daklar Bolbay, e risiedi qui nel centro di Saldak?»

«Non accetto notifiche da te.»

«Stai solo ritardando l'inevitabile. Mi rivolgerò ad un ufficiale giudiziario, che può accedere al tuo impianto, che tu lo voglia o meno.» Si fermò un attimo, quindi proseguì: «Te lo chiedo nuovamente: sei Daklar Bolbay, e risiedi qui nel centro di Saldak?»

«Lo faresti sul serio?» disse Bolbay incredula. «Mi trascineresti davvero davanti a un giudice?»

«Come tu hai fatto con me.»

«Per favore» si intromise Jasmel. «Diglielo. È meglio così… è meglio per te.»

Adikor incrociò le braccia, in attesa: «Allora?»

«Non ho niente da dire» rispose Bolbay testarda.

Jasmel emise un lungo sospiro, poi tornò alla carica: «Chiedile del suo compagno.»

«Tu non ne sai niente» scattò nuovamente la donna.

«Ah, no? E come hai saputo che è stato Adikor a colpire mio padre?»

Bolbay non rispose.

«Ovviamente te lo ha detto Klast» la incalzò Jasmel.

«Era la mia compagna» disse Bolbay con aria di sfida «e con me non aveva segreti.»

«E anche mia madre,» le tenne testa Jasmel «e nemmeno con me aveva dei segreti.»

«Ma… lei… io…» balbettò la donna.

«Parlami del tuo compagno» la esortò Adikor. «Io… io non credo di averlo mai conosciuto, vero?»

Bolbay scosse lentamente il capo. «No. È stato via a lungo; ci siamo separati tanto tempo fa.»

«È per questo che non hai figli?» le chiese Adikor con delicatezza.

«Guarda come sei compiaciuto» gli rispose Bolbay. «Credi che sia così semplice? Che non abbia saputo tenermi il mio compagno e che quindi non mi sia riprodotta? E questo che pensi?»

«Io non penso un bel niente» ribatté Adikor.

«Sarei stata una buona madre» disse Bolbay, forse più a se stessa che all'uomo che aveva davanti. «Chiedilo a Jasmel. Chiedilo a Megameg. Da quando Klast è morta, sono stata una madre impeccabile. Non è così, Jasmel? Non è così?»

Jasmel annuì. «Ma tu sei una 145, come Ponter e Klast. E come Adikor. Potresti ancora avere un figlio. Il prossimo anno è prevista la riproduzione. Potresti…»

Adikor inarcò le sopracciglia. «Sarebbe la tua ultima possibilità, non è così? Il prossimo anno avrai cinquecentoventi mesi — quaranta anni — come me. Potresti avere un figlio, della generazione 149, ma non più tra dieci anni, quando ci sarà la generazione 150.»

«Hai bisogno del tuo fantasioso computer quantistico per fare questi calcoli?» disse Bolbay con voce carica di scherno.

«Ponter» proseguì Adikor annuendo lentamente «non aveva una compagna. In fondo avete amato la stessa donna, eri già tabant delle sue due figlie, così hai pensato…»

«Tu e mio padre?» l'interruppe Jasmel. Più che sconvolta, sembrava semplicemente sorpresa.

«E perché no?» rispose Bolbay sprezzante. «Lo conosco almeno da quando lo conosce lui, e siamo sempre andati d'accordo.»

«E adesso nemmeno lui è più qui» insisté Adikor. «Sai, ho pensato subito che eri disperata per la sua perdita, e ne volevi scaricare la responsabilità su di me. Ma vedi, Daklar, hai commesso un errore. Io amavo Ponter, non avrei mai interferito con la sua scelta di una nuova compagna, quindi…»

«Tutto questo non c'entra un bel niente» lo interruppe Bolbay scuotendo il capo. «Assolutamente niente.»

«Allora perché mi odi così?»

«Non ti odio per quello che è accaduto a Ponter.»

«Comunque mi odi.»

Bolbay non rispose. Jasmel, il capo chino, fissava il pavimento.

«Perché? Non ti ho mai fatto niente.»

«Hai colpito Ponter» scattò Bolbay.

«È accaduto tanto tempo fa, e mi ha perdonato.»

«E così non ti hanno fatto niente. Hai potuto avere un figlio. L'hai fatta franca.»

«Per cosa?»

«Per il crimine che hai commesso quando hai cercato di uccidere Ponter!»

«Ma non ho tentato di ucciderlo.»

«Sei sempre stato violento, un mostro. Ti avrebbero dovuto sterilizzare. Ma il mio Pelbon…»

«Chi è Pelbon?» chiese Adikor.

Ancora una volta, Bolbay non rispose.

«Il suo compagno» disse Jasmel con un filo di voce.

«Cosa gli è accaduto?» domandò Adikor.

«Tu non sai cosa si prova» disse Bolbay distogliendo lo sguardo. «Non puoi nemmeno immaginarlo. Ti alzi un giorno e trovi due energumeni della forza pubblica ad aspettarti, che ti portano via il tuo compagno, e che…»

«Cosa?»

«Te lo castrano.»

«Perché?» volle sapere Adikor. «Cosa aveva fatto?»

«Non aveva fatto niente. Assolutamente niente.»

«E allora perché…» cominciò Adikor, poi capì. «Ah, uno dei suoi parenti…»

Bolbay annuì, senza incrociare il suo sguardo. «Suo fratello aveva aggredito qualcuno, così decisero di sterilizzare…»

«Tutti coloro che avevano il cinquanta per cento del suo materiale genetico» completò la frase Adikor.

«Il mio Pelbon non aveva fatto mai niente a nessuno, eppure è stato punito. E anche io sono stata punita. E tu, che hai quasi ammazzato un uomo, l'hai fatta franca! Avrebbero dovuto castrare te, non il mio povero Pelbon!»

«Daklar» disse Adikor «mi dispiace. Davvero…»

«Fuori di qui» disse Bolbay con voce ferma. «Lasciami in pace.»

«Io…»

«Fuori!»

38

Finito il suo hamburger, Ponter guardò Louise, poi Reuben e infine Mary. «Non vorrei lamentarmi,» disse dopo un po' «ma sono stanco di mangiare questa carne di… di mucca, la chiamate? Sarebbe possibile farci portare qualche altra cosa per stasera da quelli lì fuori?»

«Cosa ti piacerebbe?» gli chiese Reuben.

«Oh, qualsiasi cosa. Magari qualche bistecca di mammut.»

«Cosa?» disse Reuben.

«Mammut?» ripeté Mary, stupefatta.

«Forse Hak non ha tradotto bene. Mammut, quella specie di elefante con la pelliccia che vive nelle zone più fredde.»

«Sì, sì» disse Mary. «Sappiamo cos'è un mammut, ma…»

«Ebbene?» chiese Ponter, aggrottando il lungo sopracciglio.

«Be', sai… i mammut sono estinti» gli disse Mary.

«Estinti?» ripeté Ponter, sorpreso. «Ora che ci penso, non ne ho visti qui, ma, be', pensavo che preferissero non avvicinarsi troppo alle città così grandi.»

«No, no, sono estinti» confermò Louise. «In tutto il mondo. Estinti da migliaia di anni.»

«Qual è la causa? Una malattia?» volle sapere Ponter.

Nessuno rispose. Mary espirò lentamente, sforzandosi di trovare le parole adatte. «No, non è stata questa la ragione» disse infine. «Uhm, vedi, noi — la nostra specie, i nostri progenitori -abbiamo dato loro la caccia fino a sterminarli.»

Ponter spalancò gli occhi. «Cosa avete fatto?»

Mary si sentì disgustata; non sopportava che la storia dell'umanità venisse riassunta in quel modo. «Li uccidevamo per mangiare, e, insomma, abbiamo continuato fino all'ultimo esemplare.»

«Oh» disse Ponter debolmente. Guardò fuori dalla finestra, verso il grande giardino, poi aggiunse: «Adoro i mammut. Non solo la loro carne, che è deliziosa, ma proprio l'animale, come parte del paesaggio. Un piccolo gruppo vive nei pressi della mia abitazione: mi piace moltissimo starli a guardare.»

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