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Del resto, formavano una coppia affiatata anche per altre ragioni. Adikor era mattiniero; appena alzato andava a correre e amava il nuoto. Lui invece carburava lentamente, e si occupava sempre della cena.

La bombola continuava a pompare acqua. A Ponter piaceva quel suono, un rauco rumore bianco. Sospirò soddisfatto e saltò giù dal letto, sul muschio che gli solleticava i piedi. Andò alla finestra, afferrò le maniglie attaccate al pannello di metallo e sfilò la persiana dal telaio magnetico. Quindi sporse in fuori la testa, e fissò la persiana al pannello di metallo incassato nel soffitto, nella sua posizione diurna.

Un raggio di sole che sorgeva tra gli alberi gli ferì gli occhi. Chinò il capo sino a toccare il petto con il mento, in modo che la fronte schermasse la luce. A poche centinaia di passi un cervo si abbeverava a un ruscello. Saltuariamente Ponter andava a caccia, mai però nelle zone residenziali; i cervi sapevano che lì non avevano nulla da temere dagli umani. In lontananza, scorse il luccichio dei pannelli solari stesi lungo l'erba della casa del vicino.

«Hak,» disse rivolto al Companion impiantato nel suo polso, a cui aveva dato quel nome «che tempo si prevede?»

«Splendido. Temperatura diurna massima, sedici gradi; la minima notturna, nove.» Il Companion aveva risposto con una voce femminile. Non era molto che Ponter lo aveva riprogrammato con la voce di Klast, che aveva preso dal suo archivio degli alibi, ma si era subito reso conto di aver fatto una fesseria: non solo non si sentiva meno solo, ma ogni parola pronunciata da quella voce gli squassava il cuore.

«Non è prevista pioggia» continuò il Companion. «Moti ventosi al venti per cento deasil, a milleottocento passi per un decimo del giorno.»

Ponter annuì. L'impianto era dotato di analizzatori in grado di percepire e decifrare agevolmente ogni suo movimento.

«Il bagno è pronto» lo avvertì Adikor. Ponter si volse e lo vide scivolare nella vasca circolare incassata nel pavimento. Azionò il motore e l'acqua cominciò a mulinare. Anche lui nudo, si avvicinò alla vasca e si calò dentro. Poiché Adikor preferiva l'acqua più calda, erano giunti a un compromesso: trentasette gradi, come la temperatura corporea.

Ponter pulì con le mani e con un pennello golbas la schiena del compagno, che poi gli ricambiò il favore.

L'aria era molto umida. Ponter respirò a fondo, inalando l'umidità nelle cavità sinusali. Pabo, la sua grossa cagna fulva, entrò nel bagno. Non amava l'acqua, quindi rimase a debita distanza dalla vasca. Era lì perché aveva fame.

Ponter guardò il compagno come a dire: 'Che vuoi farci?' e uscì dalla vasca, gocciolante sul manto di muschio. «Okay, bambina, dammi solo il tempo di vestirmi» si rivolse al cane.

Soddisfatta, Pabo uscì dal bagno con passo felpato. Ponter si avvicinò al lavabo e si asciugò. Poi si guardò nello specchio quadrato posto sul lavandino, e con le dita a mo' di pettine si sistemò i capelli con la riga nel mezzo.

Si avvicinò a una pila di panni puliti e scelse alcuni capi. Di solito non poneva molta attenzione al suo vestiario, ma se quel giorno l'esperimento fosse riuscito era probabile che qualcuno degli Esibizionisti si sarebbe fatto vivo. Raccolse una camicia grigio antracite, la indossò abbottonando frettolosamente le fibbie sulle spalle. Era un bel capo, pensò, un regalo di Klast.

Scelse un paio di pantaloni, li infilò facendo scivolare i piedi nelle larghe aperture dei gambali. Fissò i lacci alla caviglia e al collo del piede, provando una gradevole sensazione di calore.

Guardò Adikor uscire dalla vasca, poi il quadrante del suo Companion. Dovevano fare in fretta, l'hover-bus sarebbe arrivato tra breve.

Appena entrò in cucina, l'ambiente più grande della casa, Pabo gli si avvicinò saltellando. Si chinò ad accarezzarle la testa, rassicurandola: «Non preoccuparti bambina, non mi sono dimenticato di te.» Aprì il congelatore e tirò fuori un grosso osso di bisonte pieno di carne, avanzo della cena. Lo buttò a terra — in cucina il muschio era coperto da una lastra di vetro per rendere più agevoli le pulizie — e il cane si mise a rosicchiarlo. Adikor entrò e cominciò a preparare la colazione. Prese due grosse bistecche di alce dal congelatore e le mise nella pentola a laser, che riempì di vapore per reidratare la carne. Ponter gettò uno sguardo fugace al vetro della pentola, dove raggi rubino si intrecciavano in disegni complicati, cuocendo le bistecche alla perfezione. Adikor riempì una scodella di pinoli e due boccali di sciroppo d'acero diluito, quindi tirò fuori le bistecche dalla pentola.

Ponter azionò il Voyeur, il pannello quadrato fissato al muro che si accese all'istante. Lo schermo era diviso in quattro quadrati: uno trasmetteva immagini riprese dai Companion potenziato di Hawst, l'altro quelle di Talok, il quadrato in basso a sinistra le immagini di Gawlt e l'ultimo quelle di Lulasm. Sapeva che Adikor preferiva le trasmissioni di Hawst, quindi ordinò al Voyeur di ingrandirne l'immagine a tutto schermo. In effetti quell'Esibizionista trasmetteva sempre programmi interessanti; quella mattina si erano tutti recati nella periferia di Saldak, dove cinque persone erano rimaste sepolte vive sotto una frana. Tuttavia, se quel giorno si fosse fatto vivo uno degli Esibizionisti, sperava che fosse quella donna che faceva le domande più intelligenti, Lulasm.

Si sedettero a tavola e infilarono i guanti. Adikor prese una manciata di pinoli, li mise sulla bistecca e li sbriciolò con i palmi delle mani guantate. La cosa lo fece sorridere; non conosceva nessuno che facesse così: era una delle accattivanti eccentricità del suo amico.

Prese la bistecca ancora sfrigolante e ne staccò un pezzo. Aveva il sapore aspro della carne fresca; come aveva fatto la sua specie a sopravvivere prima dell'invenzione del congelatore?

Poco dopo notò l'hover-bus posarsi sullo spazio davanti casa. Si sfilarono i guanti, che gettarono nel pulitore sonico. Ordinò al Voyeur di spegnersi, diede una carezza al cane, quindi uscirono, lasciando la porta aperta in modo che l'animale potesse entrare e uscire a suo piacimento. Sull'hover-bus salutarono gli altri sette passeggeri e si recarono al lavoro come se fosse un giorno qualsiasi.

4

Ponter Boddit era cresciuto in quella parte del mondo, e conosceva da sempre la miniera di nichel. Eppure non aveva mai incontrato nessuno che si fosse spinto nei suoi recessi, dato che laggiù i lavori erano condotti da robot. Quando Klast aveva scoperto di essere affetta da leucemia, lei e Ponter avevano cominciato a frequentare altre persone malate di cancro, un po' per sostegno e solidarietà reciproci, un po' per scambiarsi informazioni. Si incontravano nei locali kobalant, che la sera erano liberi.

Ponter supponeva che molti dei malati fossero scesi nella miniera. Dopo tutto, a quelle profondità si era senza dubbio esposti a livelli di radioattività più alti del normale. Invece nessuno del gruppo che frequentava lo aveva fatto. Aveva cominciato a indagare, e aveva scoperto che quella era una miniera fuori dal comune, per il fatto che i livelli di radiazioni delle antiche rocce di granito erano eccezionalmente bassi.

Allora aveva elaborato una tesi. Era uno scienziato, e stava lavorando con Adikor Huld alla costruzione di computer quantistici. Ma i registri quantistici erano sensibilissimi alle perturbazioni esterne: avevano problemi con i raggi cosmici che provocavano delle decoerenze.

Per questo gli parve che la soluzione fosse proprio lì, sotto i loro piedi. Con un migliaio di passi di roccia sulla testa, i raggi cosmici non avrebbero più rappresentato un problema. A quelle profondità, i neutrini non avrebbero falsato gli esperimenti che lui e Adikor avevano in mente di tentare.

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