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Mary annuì.

«Senza consapevolezza, non si è in grado di capire che una versione diversa dal modello originale prodotto in serie potrebbe essere migliore. I reperti archeologici a nostra disposizione non mostrano variazioni o miglioramenti consapevoli nel tempo. E l'unica spiegazione che mi viene in mente è che i miglioramenti apportati al modello originale non erano frutto di una scelta: chi costruiva quegli oggetti non era consapevole, non era in grado di rendersi conto che quel particolare modo di scheggiare la pietra produceva uno strumento migliore rispetto al procedimento consueto. Il modello era immutabile.»

«È un ragionamento interessante» disse Mary sinceramente ammirata.

«Quando siamo di fronte a un comportamento complesso e ripetitivo degli animali, come la costruzione di una diga, lo chiamiamo istinto: e questo secondo me vale anche per la costruzione di utensili da parte dei primi ominidi. No, sono convinta che fino alla comparsa dell'Homo sapiens non si possa parlare di consapevolezza, e — qui è l'arcano — anche per i successivi sessantamila anni.»

«Che cosa intende?»

«Quando è apparso il primo uomo anatomicamente uguale a noi?» le chiese Louise riprendendo il bicchiere di caffè.

«Circa centomila anni fa.»

«Ho letto la stessa cosa sul Web. Quindi, ho capito bene? Centomila anni fa per la prima volta fecero la loro comparsa delle creature molto simili a noi, che camminavano su due gambe. Creature, a giudicare dai cranii ritrovati, con il cervello avente la stessa forma e grandezza del nostro, giusto?»

«Sì, è così» confermò Mary che aveva finito le patatine. Tirò fuori un fazzolettino dalla borsa e si nettò le dita unte.

«Ma» continuò Louise «a giudicare da quanto ho letto, per almeno sessantamila anni non manifestarono una particolare capacità intellettiva, limitandosi a seguire comportamenti fondamentalmente istintuali. Finché, quarantamila anni fa, avvenne qualcosa che cambiò radicalmente la situazione.»

«Il grande balzo in avanti!» esclamò Mary spalancando gli occhi.

«Esatto!»

Mary sentì il cuore in gola. Il grande balzo in avanti era l'espressione con la quale alcuni antropologi denominavano il grande risveglio culturale avvenuto quarantamila anni fa, che altri invece chiamavano la rivoluzione del paleolitico superiore. Come aveva detto Louise, i primi esseri umani con le stesse caratteristiche fisiche dell'uomo moderno erano comparsi già da circa seicento secoli, ma non avevano prodotto manufatti artistici, non indossavano monili, e non inumavano i morti con oggetti di nessun genere. Ma improvvisamente, a partire da quarantamila anni fa, gli esseri umani cominciarono a dipingere splendide scene sulle mura delle caverne, a indossare collanine e braccialetti e a seppellire i propri cari con cibo e oggetti di valore di varia natura che si credeva potessero essere utili ai defunti nell'altro mondo. Arte, moda e religione fecero simultaneamente la loro comparsa: davvero un grande balzo in avanti.

«Quindi vorrebbe dire che quarantamila anni fa qualche Cro-Magnon ha improvvisamente cominciato a fare delle scelte, determinando la prima scissione dell'universo?»

«Non proprio» rispose Louise, che si era alzata a prendere un secondo caffè. «Il nodo da sciogliere è stabilire cos'è che ha dato il via al grande balzo in avanti.»

«Nessuno può dirlo» disse Mary.

«Si tratta di un punto di svolta testimoniato dai reperti archeologici, che segnano la nascita della consapevolezza dell'umanità, vero?»

«Suppongo di sì» rispose Mary.

«Ma a quel momento non si accompagna nessuna mutazione fisica di rilievo; non apparve all'improvviso una nuova forma di umanità che tutto a un tratto cominciò a creare opere d'arte. Cervelli dotati di una consapevolezza in embrione esistevano già sessantamila anni fa, ma non erano in grado di attivare questa funzione. Finché non accadde qualcosa.»

«Sì, il grande balzo in avanti. Ma come ho già detto, nessuno sa cos'è che l'ha determinato.»

«Ha mai letto The Emperor's New Mind di Roger Penrose?»

Mary scosse il capo.

«È un matematico di Oxford. Sostiene che la coscienza umana segue i principi di meccanica quantistica»

«E con ciò cosa intende?»

«Che quello che noi comunemente crediamo siano l'intelligenza e la sensibilità non è determinato dalle sinapsi dei neuroni, o da spiegazioni altrettanto primitive, bensì da particolari processi quantistici. Insieme a un certo Hameroff, un anestesiologo, sostiene che la superimposizione quantistica di elettroni isolati nei microtuboli delle cellule cerebrali determina il fenomeno della coscienza.»

«Ah!» fece Mary dubbiosa.

«Be', non capisce?» disse Louise sorseggiando il secondo caffè. «Questa teoria è in grado di spiegare il grande balzo in avanti. Probabilmente centomila anni fa i nostri cervelli erano gli stessi di oggi, ma la coscienza si attivò solo quando si verificò il fenomeno di meccanica quantistica, probabilmente dovuto al caso: l'unica scissione che ha dato vita a un nuovo universo è avvenuta proprio nel modo ipotizzato da Everett.»

Mary annuì; era una teoria estremamente interessante.

«E i fenomeni quantistici, per la loro stessa natura, danno luogo a una molteplicità di risultati» continuò Louise. «Quella fluttuazione quantistica, o qualunque cosa fosse, potrebbe aver attivato la consapevolezza nell'Homo sapiens, o anche nell'altra specie umana esistente quarantamila anni fa, l'uomo di Neandertal. Il primo sdoppiamento dell'universo sarebbe quindi avvenuto per un caso fortuito, un colpo di fortuna quantistico. Nel nostro mondo, le capacità di pensiero e di cognizione si attivarono in un nostro progenitore, nel mondo di Ponter in un suo avo. Ho letto che i Neandertal sono comparsi sulla terra circa duecentomila anni or sono, è vero?»

Mary annuì.

«Ed erano dotati di una calotta cranica superiore alla nostra?»

Mary annuì di nuovo.

«Ma nella nostra versione del mondo, nel nostro percorso evolutivo, la scintilla della consapevolezza nei cervelli dei Neandertal non si è mai accesa. Nei nostri invece sì, e questo ci conferì quel margine di superiorità — ingegnosità e conoscenza della realtà circostante — che ha determinato il nostro trionfo sulla loro specie, rendendoci padroni del mondo.»

«Ah! Ma nel mondo di Ponter…»

Louise annuì. «Nel mondo di Ponter è avvenuto l'esatto contrario: sono stati i Neandertal ad acquisire la consapevolezza e a sviluppare la cultura, l'arte e… l'ingegnosità. Lì sono stati loro a compiere il grande salto in avanti, mentre la nostra specie è rimasta allo stato semi-selvaggio come nei sessantamila anni precedenti.»

«Be', è un'ipotesi plausibile» disse Mary. «Potrebbe scriverci un bel saggio.»

«Anche qualcosa di più» replicò Louise mandando giù un sorso di caffè. «Se questa ipotesi fosse esatta, il nostro amico potrebbe tornare a casa.»

«Cosa?» esclamò Mary sentendosi mancare.

«L'ipotesi si basa in parte su quanto mi ha detto Ponter, in parte sulle nostre conoscenze fisiche. Supponiamo che l'universo non si sdoppi come fosse un'ameba, dove la cellula madre cessa di esistere, ma con un processo simile a quello che presiede la riproduzione dei vertebrati: cioè, l'universo originale continua a vivere anche dopo la creazione di un nuovo universo.»

«E questo cosa comporterebbe?»

«Be', se così fosse gli universi non avrebbero la stessa età. Apparirebbero perfettamente identici, ma l'uno avrebbe dodici miliardi di anni, e l'altro… be', poche ore di vita, e pur essendo giovanissimo dimostrerebbe anch'esso dodici miliardi di anni.»

Mary aggrottò la fronte. «Uhm, Louise, qualcosa mi dice che lei non crede alla teoria della creazione, eh?»

«Oui?» fece la ragazza, che poi scoppiò a ridere. «No, no, capisco a cosa allude, ma la mia è un'argomentazione prettamente fisica.»

«Se lo dice lei. Ma se tutto ciò fosse vero, Ponter come potrebbe tornare a casa?»

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