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«Piccola?» ripeté Ponter, sgranando gli occhi incavati. «Ma ci saranno… non so quanti, ma almeno diecimila abitanti.»

«Nell'area metropolitana di Sudbury vivono circa centosessantamila persone» lo corresse Mary, che l'aveva letto in una guida trovata nella stanza dell'albergo dove aveva pernottato.

«Centosessantamila» ripeté Ponter. «E questa sarebbe una piccola città? Tu vieni da un altro posto, vero? Un'altra città. Quante persone vivono lì?»

«Nella zona urbana di Toronto vivono due milioni e quattrocentomila persone. In tutta l'area urbana forse tre milioni e mezzo.»

«Tre milioni e mezzo?» ripeté Ponter incredulo.

«Più o meno.»

«Quanti siete?»

«In tutto il mondo?»

«Sì.»

«Poco più di sei miliardi.»

«Un miliardo è… mille milioni?»

«Esatto. Almeno qui nel Nord America. In Gran Bretagna… no, scusa. Sì, un miliardo equivale a mille milioni.»

Ponter si chinò in avanti. «Ma è… un numero incredibile di persone.»

Mary inarcò le sopracciglia. «Quanti abitanti ci sono nel tuo mondo?»

«Centottantacinque milioni» rispose Ponter.

«Perché così pochi?»

«Perché così tanti?»

«Non lo so. Non ci ho mai pensato.»

«Voi non… Nel mio mondo sappiamo come evitare le gravidanze. Forse potrei spiegarvi…»

Mary sorrise. «Anche noi conosciamo dei metodi.»

Adesso fu la volta di Ponter a inarcare il grosso sopracciglio. «Forse il nostro metodo è più efficace.»

Mary rise. «Forse.»

«C'è cibo a sufficienza per sei miliardi di persone?»

«Ci nutriamo soprattutto di vegetali. Li coltiviamo,» a questo punto ci fu un bip, il segnale che Hak non conosceva una parola o non riusciva a capirne il significato dal contesto «li facciamo crescere appositamente per nutrirci. Ho notato che non ti piace il pane,» un altro bip «uhm, cibo fatto con il grano, e qui la maggior parte della gente mangia pane o riso.»

«Riuscite a nutrire a sufficienza sei miliardi di persone con i vegetali

«Be', no» rispose Mary. «Circa mezzo miliardo di persone non ha cibo a sufficienza.»

«Questa è proprio una brutta cosa» commentò Ponter con semplicità disarmante.

Come non essere d'accordo? Mary si rese improvvisamente conto che Ponter aveva visto solo la parte meno cruenta della vita sulla Terra. Aveva passato un po' di tempo davanti alla TV, ma questo non bastava a far capire come andavano le cose. E poiché era molto probabile che vi dovesse trascorrere il resto dei suoi giorni, bisognava parlargli della guerra, della criminalità, dell'inquinamento, della schiavitù: la lunga scia di sangue che ha caratterizzato la storia umana.

«Il nostro mondo è un luogo molto complesso» disse, quasi scusandosi per il fatto che così tanta gente morisse di fame.

«Sì, me ne sto rendendo conto» rispose Ponter. «Nel nostro mondo esiste solo una specie di esseri umani, anche se in passato ce n'erano diverse. Ma qui sembra che ce ne siano tre o quattro.»

Mary scosse lievemente il capo. «Cosa intendi?»

«Le diverse specie umane. Tu fai parte di una specie, e Reuben di un'altra. E il maschio che mi ha soccorso sembra appartenere a una terza specie.»

Mary sorrise. «Quelle non sono specie diverse. In questo mondo esiste solamente una specie di umanità: l'Homo sapiens.»

«E potete riprodurvi tra voi?»

«Certo.»

«E la prole è fertile?»

«Sì.»

Ponter aggrottò la fronte. «Sei tu la genetista, ma… ma… se potete riprodurvi tra di voi, perché siete così diversi? Nel tempo non dovreste essere tutti simili, una mescolanza di tutte le possibili combinazioni somatiche?»

Mary sbuffò rumorosamente dal naso. Non si aspettava di impegolarsi in quel pasticcio così presto. «Be', uhm, in passato — non oggi, capisci? — ma…» si fermò, deglutì in cerca delle parole appropriate, quindi riprese: «Be', non oggi ma nel passato, la gente di una razza» un bip diverso, segno che il Companion aveva riconosciuto la parola ma non la comprendeva in quel contesto «la gente con un certo colore di pelle non voleva avere molto a che fare con la gente di un altro colore.»

«E perché?» chiese Ponter. Davvero una domanda semplice semplice…

Mary alzò impercettibilmente le spalle. «Be', la differenza del colore della pelle è dovuta al fatto che tanto tempo fa le popolazioni erano geograficamente isolate. Ma con il tempo… con il tempo ci sono stati degli incontri, seppur limitati a causa dell'ignoranza, della stupidità e dell'odio.»

«Odio» ripeté Ponter.

«Sì, è triste ma è così.» Scrollò appena le spalle. «Ci sono un sacco di cose nel passato della specie a cui appartengo di cui non vado per niente fiera.»

Ponter rimase a lungo in silenzio, infine espresse le sue considerazioni: «Ho pensato molto a questo vostro mondo. Sono rimasto sorpreso dalle immagini dei cranii all'ospedale. Li avevo già visti, ma nel mio mondo sono conosciuti solo come reperti archeologici. Sono rimasto sbigottito nel vedere della carne su quello che finora avevo visto solo come ossa.»

Indugiò di nuovo, guardando Mary come se fosse ancora sconcertato dal suo aspetto. Sotto quello sguardo, la donna si mosse un po' sulla sedia.

«Non sapevamo niente del colore della vostra pelle» continuò Ponter «o del colore dei vostri capelli. I…» ci fu un altro bip, poiché Hak emetteva quel suono anche quando Ponter usava una parola di cui non trovava l'equivalente «del mio mondo sarebbero sbalorditi se potessero vedervi.»

Mary sorrise. «Be', non tutto ciò che vedi è naturale. Per esempio, i miei capelli non sono veramente di questo colore.»

Ponter la guardò sbalordito. «E qual è il loro vero colore?»

«Una specie di marrone chiaro.»

«E perché l'hai cambiato?»

Mary scrollò le spalle. «Per esprimere la mia personalità, e… be', ti ho detto che erano marroni, ma a dire il vero erano anche un po' grigi. A me — come a molte persone, del resto — non piacciono i capelli grigi.»

«I capelli della mia specie diventano grigi con l'età.»

«Questo accade anche a noi; nessuno nasce con i capelli grigi.»

Ponter aggrottò di nuovo la fronte. «Nella mia lingua, la parola per denotare tutti quelli che hanno maturato la conoscenza attraverso l'esperienza è la stessa di quella usata per indicare il colore dei capelli che mutano colore: 'Grigio.' Non riesco a immaginare che ci sia qualcuno che voglia nasconderlo.»

Ancora una volta Mary scrollò le spalle. «Noi facciamo un sacco di cose che non hanno senso.»

«Questo è proprio vero» assentì il Neandertal. Si fermò un momento, quasi stesse considerando se fosse il caso di proseguire. «Ci siamo spesso chiesti che fine abbia fatto la vostra specie… nel nostro mondo, voglio dire. Perdonami, non voglio sembrare» — bip — «ma saprai che i vostri cervelli sono più piccoli dei nostri.»

Mary annuì. «In media, più piccoli del dieci per cento circa, se non ricordo male.»

«E siete fisicamente più esili. A giudicare dalle ossa, abbiamo calcolato che la tua specie aveva solamente la metà della nostra massa muscolare.»

«Direi che più o meno è così» confermò Mary annuendo.

«E mi hai parlato della vostra incapacità a convivere con le altre razze della vostra stessa specie.»

Mary annuì ancora.

«Nel mio mondo ci sono testimonianze archeologiche di quello che dici. Un'ipotesi molto seguita è che vi siate sterminati a vicenda… dimostrando che non eravate poi così intelligenti…» E a quel punto abbassò il capo. «Ti chiedo di nuovo scusa, non è mia intenzione offenderti.»

«Quello che hai detto è tutto vero» convenne Mary.

«Sono certo che esiste un'altra spiegazione. Ne sappiamo così poco su di voi.»

«In un certo senso» rifletté Mary «sapere che sarebbe potuta andare in modo diverso non potrà che farci bene. Ci ricorderà quanto sia preziosa la vita.»

«Non è una cosa ovvia?» esclamò Ponter sbalordito, gli occhi spalancati.

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