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Un gruppo di scienziati francesi ha rilasciato un comunicato secondo il quale, anche se l'arrivo sulla Terra di Ponter Boddit è avvenuto sul suolo canadese, è indubbio che egli non sia da considerarsi nativo di quella nazione, poiché la specie dei Neandertal non è mai vissuta nel Nord America. La sua cittadinanza, affermano gli scienziati, dovrebbe essere francese, poiché i fossili più recenti della specie dei Neandertal sono stati rinvenuti in Francia…

I sostenitori dei diritti civili statunitensi e canadesi hanno condannato la decisione del Governo di mettere in isolamento il presunto uomo di Neandertal, sostenendo che non esistono prove sul fatto che rappresenti una minaccia alla salute pubblica…

Tutte le analisi del sangue furono negative. Qualunque fosse la malattia di Ponter, sembrava essersi attenuata, e non erano state rinvenute tracce di elementi patogeni pericolosi per la razza umana. Malgrado questo, il Ministero della sanità non aveva ancora deciso di porre fine alla quarantena.

Ponter indossava sempre la camicia che aveva dal giorno del suo arrivo. La polizia militare gli aveva procurato un piccolo guardaroba preso al Mark's Work Wearhouse di Sudbury, vestiti che per la verità non gli calzavano granché bene: gli abiti preconfezionati non si adattavano a una persona che sembrava la versione leggermente più tarchiata di Mister Universo.

Ponter — o Hak — faceva passi da gigante con l'inglese. Il Companion non riusciva a pronunciare il fonema ee, ma ne aveva registrato il suono per impiegarlo nelle parole dove compariva; il risultato, però, era alquanto buffo: quando chiamava Mary, usciva fuori qualcosa come 'Mare-ee,' la prima parte del nome pronunciata con la voce di Hak, la seconda con quella di Reuben o di Mary. Così quest'ultima aveva detto al Companion di non preoccuparsi; in fondo, un sacco di persone la chiamavano Mare, e non ci sarebbe stato nessun problema se anche lui avesse continuato a chiamarla così. Da parte sua, Louise aveva fatto lo stesso: andava benissimo che il Companion la chiamasse semplicemente 'Lou.'

Alla fine, Hak aveva annunciato di aver accumulato un vocabolario sufficiente a sostenere una conversazione in piena regola. Le eventuali difficoltà e lacune potevano essere superate e colmate in corso d'opera.

Così, mentre Reuben era impegnato al telefono con i suoi colleghi per i risultati delle analisi, e la nottambula Louise era andata al piano di sopra, a riposare sul letto dove aveva dormito l'incredibile ospite, Mary e Ponter, comodamente sistemati in soggiorno, svolsero la loro prima autentica conversazione. Ponter parlava piano, scandendo le parole nella sua lingua, e Hak, con la voce maschile, forniva la traduzione. «È bello parlare» furono le sue prime parole.

Mary si lasciò sfuggire un risolino nervoso. Non poter comunicare con Ponter era frustrante e non stava nella pelle ora che finalmente poteva farlo, tanto che non le veniva nulla da dire. «Sì, è molto bello.»

«È una giornata bellissima» continuò Ponter guardando fuori dalla finestra.

Mary rise divertita. Evidentemente le chiacchiere di argomento meteorologico erano un convenevole che trascendeva le barriere tra specie diverse. «Sì, splendida.»

Finalmente si scosse, sovvenendosi che gli argomenti da affrontare erano ben altri, che anzi aveva così tante domande che non sapeva da dove cominciare. Ponter era uno scienziato, doveva quindi avere qualche nozione di base sulla genetica, per esempio sulla diversità del gene dell'Homo e di quello Pan, e della…

Ma no. Ponter era prima di tutto una persona che aveva vissuto un'esperienza sconvolgente: la scienza poteva aspettare. Avrebbe dovuto parlare di lui, di come si sentiva, di quello che provava. «Come ti senti?»

«Bene» rispose la voce di Hak.

Mary sorrise. «Dico davvero, come ti senti, cosa provi?»

Ponter sembrò esitare; Mary si chiese se i maschi Neandertal condividessero con i maschi della razza umana la stessa riluttanza a parlare dei loro sentimenti. Invece, dopo un lungo sospiro tremulo, rispose: «Ho paura. E mi manca la mia famiglia.»

Mary inarcò le sopracciglia, sorpresa: «La tua famiglia?»

«Le mie figlie. Ho due figlie, Jasmel Ket e Megameg Bek.»

Rimase a bocca aperta; non le era passato per la mente che Ponter potesse avere una famiglia. «Quanti anni hanno?»

«La più grande ha… noi calcoliamo il tempo in mesi, mentre voi lo fate per lo più in anni, vero? La più grande ha… Hak?»

La voce femminile di Hak rispose: «Jasmel ha diciannove anni, Megameg nove.»

«Mio Dio!» esclamò Mary. «Come staranno? E la loro madre?»

«Klast è morta due dieci mesi fa» disse Ponter.

«Venti mesi» puntualizzò il sollecito Hak. «Un anno e otto mesi.»

«Mi dispiace» disse Mary dolcemente.

Ponter annuì. «Le cellule, nel sangue, sono mutate…»

«Leucemia» precisò Mary, suggerendogli la parola adatta.

«Mi manca ogni mese» disse Ponter.

Per un attimo si chiese se Hak avesse tradotto correttamente quello che Ponter intendeva; probabilmente voleva dire che gli mancava ogni giorno. «Essere rimasti senza genitori…»

«Sì» disse Ponter. «Naturalmente Jasmel adesso è maggiorenne, quindi…»

«Quindi può votare, e cose del genere?»

«No, no. Forse Hak ha fatto male i conti.»

«Certo che no!» ribatté Hak piccato, usando la voce femminile.

«Jasmel è troppo, troppo giovane per poter votare» puntualizzò Ponter. «Anche io sono troppo giovane per questo.»

«A che età si acquisisce il diritto di voto nel tuo mondo?»

«Bisogna aver visto almeno seicentosessantasette lune: i due terzi della vita media, mille mesi.»

Hak, che evidentemente voleva dissipare ogni dubbio sulle sue capacità matematiche, convertí prontamente il calcolo in anni: «Si può votare a cinquantuno anni; l'età media è di settantasette anni, anche se oggigiorno molti vivono più a lungo.»

«Qui in Ontario si vota al compimento dei diciotto anni» lo informò Mary.

«Diciotto!» esclamò Ponter. «Ma è pazzesco.»

«Non conosco nessun posto dove la maggiore età è più alta dei ventuno anni.»

«Questo la dice lunga sul vostro mondo» affermò Ponter. «Noi non permettiamo che la gente decida le nostre sorti politiche finché non abbia accumulato giudizio ed esperienza.»

«Ma se Jasmel non ha diritto di voto, cos'è che la rende maggiorenne?»

Ponter alzò impercettibilmente le spalle. «Suppongo che queste distinzioni nel mio mondo non siano così significative come qui da voi. Comunque, al compimento dei duecentocinquanta mesi, un individuo acquista la capacità di agire, e solitamente è pronto per andare a vivere da solo.» Scosse la testa e aggiunse: «Mi piacerebbe far sapere a Jasmel e a Megameg che sono ancora vivo. Sto pensando a come fare. Anche se non potrò tornare a casa, farei qualsiasi cosa pur di comunicare con loro.»

«Davvero non c'è modo di tornare a casa?» gli domandò Mary.

«Non vedo proprio come. Oh, forse qui si potrebbe costruire un computer quantistico, e ricreare le condizioni che hanno determinato il mio… spostamento. Ma io sono un fisico teorico, e conosco solo superficialmente come è strutturato un computer quantistico. Il mio collega, Adikor, saprebbe come fare, ma non ho modo di mettermi in contatto con lui.»

«Deve essere una sensazione veramente frustrante» considerò Mary.

«Mi dispiace molto» disse Ponter. «Non volevo farti carico dei miei problemi.»

«Nessun problema» lo tranquillizzò lei. «Possiamo… possiamo aiutarti in qualche modo?»

Ponter pronunciò solo una sillaba nella sua lingua, carica di tristezza, che Hak tradusse: «No.»

Mary sentì il bisogno di tirarlo un po' su. «Be', almeno non ci terranno in isolamento ancora per molto. Quando usciremo di qui potrai fare un bel giro nei dintorni. Sudbury è una piccola città, ma…»

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